2024-04-28
Riondino appende La Russa a testa in giù
Michele Riondino (Ansa). Nel riquadro il post sui suoi canali social che ritrae Ignazio La Russa a testa in giù
L’attore del «Giovane Montalbano» scrive un’invettiva sgangherata contro «i fascisti» («pecore»), con una foto del presidente del Senato capovolta, citando piazzale Loreto. Quando prendeva 1.200.000 euro dallo Stato per i suoi film pareva meno battagliero...Un giorno da leoni da tastiera. In quel grottesco Truman Show che è il nuovo Cln di vip e vippetti, star e starlette, c’è un solo modo per emergere: spararla sempre più grossa di quello che è venuto prima. Tanto non costa nulla. Michele Riondino, l’attore pugliese conosciuto soprattutto per essere stato il protagonista de Il giovane Montalbano, organizzatore del concerto del primo maggio di Taranto, capisce l’antifona e gioca l’asso: la seconda carica dello Stato a testa in giù. Così, giusto per rasserenare gli animi.L’attore, in occasione del 25 aprile, ha postato sui suoi canali social una vecchia immagine di Ignazio La Russa, risalente a più di 30 anni fa, in cui l’allora dirigente del Msi posava accanto a un ritratto di Benito Mussolini. A corto di idee originali, Riondino ha però pensato bene di postarla sottosopra, come farebbe un sedicenne che ha esagerato con il Tavernello al Concertone. Il riferimento è ovviamente a piazzale Loreto, un evento di cui gli antifascisti storici si vergognavano (fu Ferruccio Parri, non Giorgio Almirante, a definire lo scempio dei cadaveri dei gerarchi una «macelleria messicana»), e di cui invece quelli che per passare alla macchia si spostano dal tinello alla cameretta sembrano andare particolarmente orgogliosi. La foto è accompagnata da un’invettiva scombiccherata: «La cosa veramente divertente», scrive l’attore, «è che c’è stato un tempo in cui i fascisti erano più autentici, più spavaldi, erano leoni, anche se solo per un giorno. Rivendicavano la loro identità senza paura di essere accusati di essere traditori e assassini della patria. Oggi invece hanno paura di definirsi, di rivendicare la loro fede. Tradiscono la loro identità giurando sulla Costituzione antifascista e poi per stare seduti sulla poltrona diventano campioni della supercazzola, cintura nera di arrampicata sugli specchi. Lo dico sinceramente. Non ci sono più i fascisti di una volta. Solo pecore. Ecco cosa sono i fascisti di ieri che sono diventati i governanti di oggi. Meglio una vita da pecora che un giorno da leoni. Viva la resistenza». Ce lo immaginiamo, Riondino, mentre verga il suo proclama di guerra agghindato come Pierfrancesco Favino in Call My Agent, nell’episodio in cui l’attore si immedesima troppo in Che Guevara tanto da accamparsi in giardino. Solo che il finanziamento della resistenza immaginaria di Riondino non arriva dagli Alleati, ma da quello stesso Stato i cui rappresentanti egli amerebbe veder appesi. Per Palazzina Laf, suo debutto alla regia, Riondino ha infatti preso senza troppi complessi 200.000 euro di finanziamento pubblico, oltre a 1.040.334,14 euro di credito d’imposta. È solo uno dei casi di quel pozzo senza fondo rappresentato dalle sovvenzioni distribuite a pioggia al mondo del cinema, tanto più se si tratta di registi con le idee «giuste». Preveniamo l’obiezione: il fatto di ricevere contributi statali non può ovviamente vincolare gli artisti a un pensiero filo governativo o limitare la loro facoltà di critica. Ma certo, in termini di coerenza politica, la circostanza ha una sua importanza: se le istituzioni sono in mano ai fascisti, e se il fascismo è quella cosa orribile che non cessano di ripeterci, il sincero democratico prende la doppietta del nonno e va in montagna, non accetta i soldi da quello stesso Stato ormai caduto nelle grinfie della bestia bruna. Ma, del resto, si potrebbe anche obiettare che uno Stato che finanzia chi vorrebbe appendere per i piedi i governanti, di fascista non deve poi avere granché. Certo, Riondino quei soldi li ha presi tra il 2020 e il 2023, prendendo quindi solo uno scampolo di governo Meloni. Vuol dire che il prossimo contributo lo rifiuterà? Chissà, staremo a vedere.Prevedibili (e in fondo ricercate) le polemiche. Si tratta di un’uscita «vergognosa» per il presidente dei senatori di Fratelli d’Italia, Lucio Malan. «Non so chi sia Riondino, ma è una persona spregevole», ha commentato Maurizio Gasparri, presidente dei senatori di Forza Italia. «Indignazione» ha espresso il deputato di Fratelli d’Italia, Alessandro Amorese, mentre Tommaso Foti, capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, ha chiesto le dimissioni di Riondino dalla direzione artistica dell’Uno Maggio di Taranto. Nel frattempo non ci resta che considerare l’episodio come l’ennesimo termometro - bollente - sulla salute mentale e morale della sinistra ai tempi del melonismo. Qualcosa che sta tra la chat di Whatsapp di Massimo Giannini e le annunciate «botte ai nazisti» di Christian Raimo, tra «il 25 aprile è divisivo solo se sei fascista» e gli antifascisti che si menano tra loro come fabbri a ogni 25 aprile. Riondino sembra peraltro rimproverare a La Russa esattamente l’opposto di quel che si chiede a Giorgia Meloni: non di non essere antifascista, ma di non dirsi apertamente fascista. Sorge il leggerissimo dubbio che ciò che il centrodestra fa (di fascista o di antifascista) non abbia alcuna importanza, dato che il marchio della bestia pare comunque inemendabile. Un fattore di cui tener conto, la prossima volta che qualche esponente di quello schieramento proverà un’insana voglia di farsi accettare da chi, comunque sia, lo vuole sempre a testa in giù.
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Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco