2021-03-10
La riforma elettorale dei dem Usa è pericolosa
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Era lo scorso 3 marzo, quando la Camera dei Rappresentanti ha approvato (a strettissima maggioranza) il For the people act: un corposo disegno di legge (da circa 800 pagine) che punta a introdurre delle drastiche riforme in materia elettorale. Riforme che tuttavia evidenziano più di un problema. Sostenuto dai democratici (che hanno comunque avuto una defezione), il provvedimento non ha invece ottenuto alcun voto dal Partito repubblicano. Non è la prima volta che questo disegno di legge viene presentato: già nel 2019 la Camera lo aveva approvato, ma era poi finito lettera morta al Senato che, all'epoca, era controllato dall'elefantino. Stavolta teoricamente lo scenario potrebbe rivelarsi differente, visto che i dem detengono la maggioranza anche alla camera alta. I numeri parlamentari per loro risultano comunque risicatissimi e basterebbe una singola defezione per far saltare tutto. Come che sia, in attesa di seguire i prossimi sviluppi al Congresso, è il merito di questa riforma che va analizzato con cura. Soprattutto in vista degli impatti che tale legge potrebbe produrre nelle elezioni dei prossimi anni. L'impianto generale della norma è quello di ridurre l'autonomia dei singoli Stati in materia elettorale, introducendo una serie di regole e obblighi validi per tutti. E la polemica intanto infuria. L'asinello sta difendendo il For the people act, sostenendo di voler proteggere e allargare il diritto di voto, innovando al contempo le norme sui finanziamenti elettorali. I repubblicani, di contro, ribattono affermando che questa riforma non faccia altro che incrementare il rischio di brogli. Ora, se è comprensibile che ciascuna delle due parti tiri proverbialmente l'acqua al proprio mulino, alcuni elementi oggettivamente bizzarri questo disegno di legge li contiene. In primo luogo, la riforma introduce la possibilità per l'elettore di registrarsi il giorno stesso del voto: un elemento che, neanche a dirlo, rende più difficile verificare per tempo se le informazioni fornite sono accurate e veritiere (si tenga presente che, secondo quanto riferito dal Brennan Center, al momento in molti Stati il termine ultimo per registrarsi sia fissato a circa quattro settimane dall'Election Day). In secondo luogo, si introduce l'obbligo per tutti gli Stati di prevedere almeno quindici giorni di voto anticipato. Il che, come è facile intuire, pone alcuni problemi non di poco conto. Il voto anticipato avviene principalmente per posta e, negli Stati Uniti, il voto postale è non di rado soggetto a dubbi e opacità: in questo senso si sono per esempio espressi la Commission on federal election reform nel 2005 e il New York Times nel 2012. Non solo: l'obbligatorietà delle due settimane di voto anticipato aumenta il rischio che l'elettore esprima la propria scelta nelle urne prima che possano emergere informazioni importanti e porta le campagne elettorali ad incrementare costi e sforzi per convincere i votanti antecedentemente all'Election day. In terzo luogo, significativa novità è quella che riguarda l' «absentee ballot», il voto postale, cioè, su richiesta dell'elettore. Le schede dovranno essere accettate fino a dieci giorni dopo l'Election day, mentre non sarà più necessaria l'autenticazione formale da parte del richiedente. «Uno Stato», recita il disegno di legge, «non può richiedere l'autenticazione notarile o la firma di un testimone o altra autenticazione formale (diversa dall'attestazione dell'elettore) come condizione per ottenere o esprimere un absentee ballot». Un provvedimento che, come è facile intuire, rende più alto il pericolo che possa votare chi non ne abbia formalmente la legittimità. In quarto luogo, la riforma prevede svariate agenzie statali e federali inviino delle informazioni ai funzionari statali addetti alle elezioni per consentire la registrazione automatica dei votanti (fatta eccezione per esplicito rifiuto di questi ultimi). Tuttavia, come ha fatto notare il think tank conservatore Heritage Foundation, questa misura accresce (nuovamente) il rischio di voto da parte di chi non ne abbia diritto, dal momento che «molte agenzie statali e federali non dispongono di dati sulla cittadinanza delle persone con cui hanno a che fare».Insomma, i problemi non sono pochi. Questa serie di misure rischia infatti soltanto di rendere il voto negli Stati Uniti ancor più opaco e farraginoso. A pensar male, verrebbe quasi da credere che si voglia attuare una simile riforma per tutelare degli interessi di parte. D'altronde, ci sono vari fattori che lasciano perplessi. In primo luogo, non ha molto senso potenziare il voto postale senza prima introdurre riforme tecniche per renderlo realmente sicuro: l'eventuale obiezione secondo cui sarebbe già sicuro è smentita – come abbiamo visto sopra – da vari pronunciamenti autorevoli effettuati negli scorsi anni. In secondo luogo, una materia così delicata come quella elettorale richiederebbe delle riforme il più possibile bipartisan: un obiettivo che i dem non si sono minimamente prefissati, anzi – come detto – alla Camera neanche un repubblicano ha sostenuto questo disegno di legge. E allora qui il problema è di natura strutturale, mettendo – una volta di più – in luce come l'asinello non sia forse realmente interessato a perseguire quell'unità nazionale di cui sovente si riempie la bocca.
Jose Mourinho (Getty Images)