2022-03-02
Riforma del catasto: spunta Giavazzi al tavolo dei lavori sulla delega fiscale
Francesco Giavazzi (Ansa)
Irrituale partecipazione del «commissario» di Draghi alla riunione di maggioranza. Appello al Colle: blocchi l’iter. Come un coniglio dal cappello riecco in scena la riforma del catasto che è un po’ come l’araba fenice «che ci sia ciascun lo dice dove sia nessun lo sa». Ciò che la distingue dalla fenice è che se passa la legge delega così com’è la riforma del catasto è una pistola con il cane sollevato che qualsiasi governo, nel caso in cui avesse bisogno di soldi - che in Italia è come dire se una pianta ha bisogno d’acqua - può attivare premendo il grilletto e il colpo parte alla volta di contribuenti italiani che, figuratevi voi, se in questo momento hanno bisogno anche di qualche tassetta in più. Il presidente Sergio Mattarella, nel suo discorso di reinsediamento, ha parlato alla Camera dei deputati e ha ribadito con forza che il Parlamento stesso deve tornare ad essere molto più centrale nel discutere i provvedimenti da adottare e nell’approvarli non utilizzando solo il ricorso del governo alla fiducia. Ora, se c’è un campo nel quale il Parlamento deve assolutamente dire la sua è proprio quello tributario. Questo per due motivi: uno storico, che tutti dovrebbero conoscere, e cioè che molti dei parlamenti - tipo quello della regina delle democrazie, l’Inghilterra - sono nati proprio per porre un freno e un limite alla tassazione del sovrano o del colonizzatore di turno. L’altro di tipo costituzionale e cioè che i parlamentari, nel rappresentare il popolo, rappresentano anche il patto fiscale che esiste tra lo Stato e il popolo stesso e qualsiasi variazione di esso non può che essere discussa ed approvata dal Parlamento, e che il ricorso alla fiducia non è adatto a questo tipo di materia. In parole povere: se il Parlamento non discute delle tasse di cosa deve discutere? Esse rappresentano l’entrata principale dello Stato, la fonte finanziaria dei servizi che incide direttamente sui diritti individuali della proprietà dei singoli cittadini, cioè su diritti inviolabili salvo nelle forme ragionevoli che la legge di volta in volta può stabilire. Sull’irragionevolezza del nostro sistema tributario non c’è molto da dire perché è talmente evidente essendo verificabile nelle tasche della maggior parte dei contribuenti italiani. Mario Draghi ha affermato che questa riforma dovrebbe essere fatta tenendo ferma la cosiddetta «invarianza di gettito». In parole povere lo Stato non incasserebbe di più (ad oggi parliamo di circa 40 miliardi di euro che provengono dalle tasse catastali) perché verrebbero solo riequilibrati i criteri in modo, ad esempio, che non succeda ciò che succede oggi che spesso per una casa nuova della periferia di Roma o Milano si paghino più tasse rispetto a quella nel centro delle stesse città, nel 99% dei casi con a disposizione più servizi e un ambiente notevolmente più vivibile e magari anche d’epoca. Poi c’è la questione che ce lo chiede l’Europa perché senza questa riforma non si possono spendere i fondi del Recovery Fund. Come avrebbe detto Marx «uno spettro s’aggira per l’Italia». In questo caso lo spettro mette più paura perché gli italiani sono stati già visitati da questo spettro, e non di notte ma di giorno, e non è entrato nella loro mente e nelle loro anime ma, purtroppo, nelle loro tasche e spesso non in quelle poste davanti ma in quelle poste di dietro dove viene generalmente posto il povero portafoglio a meno che non si tratti di una gentile signora che lo porta nella borsa e che quindi è fortunata perché, sempre generalmente, essa è posta di fianco. Questa benedetta riforma prevederebbe una rivalutazione delle rendite catastali al valore medio delle rendite di mercato, il conteggio dei metri quadri anziché i vani come avviene oggi e una riclassificazione delle categorie nelle quali sono suddivisi gli immobili. E fin qui uno potrebbe pensare che in fondo sia giusto che paghi di più chi abita in centro in un immobile d’epoca rispetto a chi abita in una periferia, magari degradata e priva di servizi e di sicurezza. Ma è realmente così? Ma sarà realmente così? Ne dubitiamo seriamente perché, riformando il catasto, l’impatto di questa riforma per molti non sarebbe una passeggiata. Solo ad esempio, l’Imu delle seconde case che notoriamente non appartengono solo ai ricconi - ma che spesso sono ereditate anche da famiglie a reddito molto basso e che costituiscono l’unica possibilità di una vacanza con poche spese - potrebbero aumentare se non si ritoccasse l’onere stesso dell’Imu. La stessa sorte potrebbe toccare alle tasse sui rifiuti. E la medesima potrebbe riguardare anche l’Isee, quel sistema bizantino e spesso sbagliato col quale si calcola la ricchezza delle famiglie e che serve alle famiglie stesse per usufruire ad esempio agli aiuti pubblici in quanto, col nuovo calcolo catastale, potrebbe alzarsi col rischio di far perdere alle famiglie stesse i vari bonus. È evidente che la riforma del catasto porta con sé una serie di conseguenze importanti che i parlamentari dovrebbero considerare e discutere in quanto rappresentanti di quel popolo sul quale queste conseguenze alla fine potrebbero ricadere. Tra l’altro, ieri sera si è riunita la maggioranza per discutere appunto della delega fiscale: l’assemblea era guidata dall’onorevole Luigi Marattin di Italia viva, presidente della Commissione Finanze della Camera, e non da Palazzo Chigi come d’abitudine; ma la presenza più strana è stata quella del professor Francesco Giavazzi, «commissario» di Draghi. Il suo ruolo, evidentemente, era quello di controllare che la delega fiscale non andasse fuori dal seminato. Sono noti i mal di pancia della Lega e di Forza Italia (ma non solo) a riguardo. Mah. Speriamo in bene.
Il giubileo Lgbt a Roma del settembre 2025 (Ansa)
Mario Venditti. Nel riquadro, da sinistra, Francesco Melosu e Antonio Scoppetta (Ansa)