2021-08-18
La Cgil fa la guerra al contratto dei rider
Presentata una class action contro l'applicazione dell'accordo firmato dall'Ugl: «È la prima in Italia in materia di diritto del lavoro». La giustificazione: «Sancisce il cottimo». Ma un sindacato che va all'attacco di altri lavoratori ha il sapore della lotta politica tra sigle.Potrà anche non piacere, si potrà discutere su come migliorarlo. Ma che un sindacato si schieri contro un contratto di categoria è quantomeno paradossale. Invece di mettersi contro i colossi della food delivery, ieri la Cgil ha fatto sapere di aver presentato la prima class action «per contrastare l'applicazione a livello nazionale» del contratto nazionale dei rider voluto dall'Ugl e dall'associazione di categoria Assodelivery.Come ha reso noto l'unione di lavoratori guidata da Maurizio Landini attraverso un comunicato, «Cgil, Nidil, Filcams e Filt, hanno depositato, presso il Tribunale di Milano, la prima class action per contrastare l'applicazione a livello nazionale» del contratto «che sancisce il cottimo come forma di retribuzione limitando i diritti dei lavoratori delle piattaforme del food delivery».Si tratta, si legge nella nota, della «prima class action dei lavoratori della gig economy presentata in Europa e la prima in Italia in materia di diritto del lavoro». Come precisa il sindacato, «con tale ricorso collettivo la Cgil intende estendere a tutti i rider di Deliveroo quanto recentemente stabilito dal giudice di Bologna che nel luglio di quest'anno, in accoglimento di un ricorso per condotta antisindacale, ha dichiarato illegittimo l'accordo, stipulato da Assodelivery con un solo sindacato considerato non rappresentativo, imposto dalle multinazionali del settore come condizione per potere proseguire a lavorare».La battaglia portata avanti dalla Cgil ha più il sapore di una lotta politica tra sigle sindacali, che non la tutela dei ciclofattorini. Se da un lato è infatti vero che a inizio luglio il tribunale di Bologna aveva dichiarato illegittimo il contratto nazionale voluto dall'Ugl a seguito di un ricorso portato avanti da Nidil, Filcams e Filt Cgil, è altrettanto certo che nessuna istituzione (sindacati compresi) ha mai proposto la benché minima alternativa concreta. Anche il ministero del Lavoro aveva in passato espresso alcune perplessità, senza però proporre mai una soluzione.«La class action», conclude il comunicato, «è una iniziativa nuova dai possibili effetti dirompenti per il mercato del lavoro. Un esito positivo consentirebbe, infatti, a tutti i rider di avere retribuzioni adeguate e condizioni di lavoro parametrate alla contrattazione collettiva di settore. Con questa ulteriore iniziativa giudiziaria, la Cgil interviene su uno dei principali fattori distorsivi della contrattazione del settore e di precarizzazione del lavoro tra i rider, che ha impedito fino ad oggi di avviare un dialogo trasparente e costruttivo finalizzato ad estendere e garantire forme di lavoro giuste e dignitose a lavoratori a forte rischio di marginalizzazione». D'altronde, che sia dirompente, non c'è dubbio. Questa è forse la prima volta che un sindacato si mette contro un contratto nazionale dei lavoratori. Inoltre, la questione è spinosa e tutt'altro che facile da inquadrare. Tanto che la Procura di Milano a febbraio aveva espresso non poche perplessità sull'inquadramento di questi lavoratori. L'inchiesta era partita a luglio 2019 per capire come si comportavano le aziende del settore per tutelare i lavoratori dopo una serie di incidenti avvenuti durante le consegne del cibo. Quello che è emerso è che il rider non è un lavoratore occasionale e che la prestazione non è eseguita né in autonomia né a titolo accessorio poiché la vita lavorativa dei ciclofattorini viene gestita attraverso un'app che detta le regole.Pertanto, l'inquadramento come professionista autonomo di tipo occasionale, quella utilizzata dai colossi del settore prima dell'arrivo del contratto, non sarebbe corretto. In più, dall'inchiesta emerge che il ciclofattorino non può considerarsi un lavoratore autonomo neppure in virtù della sua presunta possibilità di decidere le fasce orarie di lavoro. L'app dell'azienda committente, infatti, condiziona la volontà del lavoratore attraverso un punteggio che viene assegnato dal sistema informatico e che tiene conto anche degli ordini che accetta. Secondo la Procura, infatti, il rapporto di lavoro va inquadrato come collaborazione coordinata e continuativa e quindi non occasionale. Per questo motivo l'Ugl a settembre del 2020 aveva siglato un accordo con Assodelivery per un contratto in vigore da novembre. «Non crediamo che la soluzione al futuro dei rider sia da ricercare dinanzi al giudice, a colpi di ricorsi al Tar o nei tribunali del lavoro. Sarebbe importante, inoltre, comprendere se l'ultimo ricorso presentato dinanzi al giudice, identificato impropriamente come class action, sia firmato da tutti i 30.000 rider italiani, o solo da uno sparuto gruppo che si effige di essere rappresentativo e di rappresentare, a tal punto, tutti i rider», dice alla Verità Enzo Abbrescia, segretario nazionale Ugl dei rider. Ora non resta che attendere l'esito della class action. Quello che è certo è che, invece di continuare a intraprendere azioni legali, sarebbe il caso di trovare una soluzione di reale tutela verso i lavoratori. Quello che fino ad oggi, contratto a parte, sembra essere mancata.
Jose Mourinho (Getty Images)