Da una conturbante Nastassja Kinski avvolta da un pitone al ritratto di Malcom X, passando per top model, scrittori e rockstar, con più di 100 immagini che ne ripercorrono gli oltre sessan’anni di carriera. Milano (fino al 29 gennaio 2023) rende omaggio a Richard Avedon, uno dei grandi maestri della fotografia del Novecento.
Da una conturbante Nastassja Kinski avvolta da un pitone al ritratto di Malcom X, passando per top model, scrittori e rockstar, con più di 100 immagini che ne ripercorrono gli oltre sessan’anni di carriera. Milano (fino al 29 gennaio 2023) rende omaggio a Richard Avedon, uno dei grandi maestri della fotografia del Novecento. «Il mio lavoro era fare fotografie di identità. Devo aver fotografato centomila volti prima di rendermi conto che stavo diventando un fotografo »Così Richard Avedon, uno dei fotografi più rivoluzionari e innovativi del XXesimo secolo, parlava degli esordi della sua professione. Esordi non certo glam, visto che questo irrequieto e scapestrato figlio di un rigido commerciante ebreo russo, studi di filosofia (interrotti perché troppo noiosi ) alle spalle e una precoce passione per la fotografia, nel 1942 abbandona New York (dove era nato nel 1923) e si arruola nella Marina Militare US per immortalare autopsie e scattare foto di identità. Per lui, che già aveva fatto della sorellina minore, Louise, affetta da gravi turbe psichche, la sua prima musa ispiratrice, quest’esperienza altrettanto forte fu di fondamentale importanza e segnò per sempre il suo modo di «fare fotografia», con quella capacità unica di relazionarsi ai corpi e di coglierne la bellezza. Anche nella sua tragicità.Visitando la mostra milanese, in questa bellezza ci si immerge, la si tocca quasi con mano: 106 scatti (provenienti dalla collezione del Center for Creative Photography di Tucson e dalla Richard Avedon Foundation) in bianco e nero di meraviglia pura, che raccontano di Avedon e del suo mondo, le sue foto di moda e i suoi celebri ritratti in primis. A colpire chi guarda, la dinamicità dei soggetti, l’intensità dei volti e degli sguardi, gli sfondi minimalisti e uniformi. La «rivoluzione fotografica» di Avedon sta soprattutto in questo: nel dinamismo e nell’introspezione. I sui scatti vanno al di la del contesto temporale e dell’occasione che li hanno generati, per collocarsi in una zona fuori dal tempo. Immagini che hanno il dono dell’eternità, come quelle nate dalla collaborazione fra Avedon e Gianni Versace (cui la mostra a Palazzo Reale dedica un’intera sezione), iniziata con la campagna per la collezione primavera/estate 1980 - l'esordio dello stilista - fino a quella della collezione primavera/estate 1998, la prima firmata da Donatella Versace. Indimenticabili le immagini delle top dell’epoca, da Linda Evangelista a Christy Turlington, passando per Kate Moss e Aya Thorgren, le preferite da Versace e che Avedon fotgrafa magistralmente, in movimenti convulsi e sincopati, che mettono in evidenza la forma e la materialità degli abiti che indossano. Scatti eleganti e leggeri, quasi « filmici», caratteristica ricorrente nelle opere del fotografo americano: basta guardare Carmen (1957), dove la modella, posta al centro dell’inquadratura, resta sospesa a mezz’aria nel salto. Sullo sfondo, a fare da coreografia, Parigi e l’elegante Place François-Premier.Dall’eleganza alla spettacolarità il passo è breve. E anche se l’una non esclude l’altra, impossibile non definire spettacolari Dovima con gli elefanti (una delle fotografie di moda più famose del Novecento) e il ritratto di Nastassja Kinski languidamente distesa sul pavimento, abbracciata da un serpente: tale è la potenza visiva di questo scatto, datato 1981, da essere scelto come immagine guida della mostra. Un ritratto perfetto, quello della Kinski, ma non freddo e distante. Un ritratto quasi «confidenziale» e intimo, come tutti quelli firmati Avedon. Scatti dalla grande forza descrittiva, i dettagli dei volti - ciglia pesantemente ricoperte di mascara o sottile luccichio di lucidalabbra - bene in vista, totalmente rivelati a chi li guarda. Avedon amava i suoi soggetti, gli piaceva immortalarli a distanza di anni, nelle diverse fasi delle loro vite. Di molto era amico. Come nel caso di Truman Capote, «l’esempio più eclatante di relazione fotografica prolungata nel tempo»: la prima volta che Avedon lo immortalò fu nel 1949, l’ultima risale al 1974. Il ritratto più celebre è forse Truman Capote, New York, 10 ottobre 1955 : lo scrittore ha solo trentun anni e l’immagine lo mostra svestito, gli occhi chiusi e le braccia dietro la schiena, il mento rasato. Una posa quasi ieratica, che ne sottolinea la vulnerabilità e lo mette quasi a nudo di fronte allo sguardo compiaciuto dell’osservatore. A mostrare la sua intimità a Richard Avedon esibendo le sue cicatrici da arma da fuoco (dopo essere sopravvissuto a un tentativo di omicidio) anche Andy Wahrol: i suoi due ritratti, a mio parere, sono fra le « chicche » presenti in mostra. Senza nulla togliere a quella carrellata di celebrity , politici e attivisti, da Sophia Loren al Dalai Lama, dai Beatles a Michelangelo Antonioni, da Marilyn Monroe ad Allen Ginsberg, che l’obiettivo di Avedon ha saputo catturare e rendere eterni.Una mostra davvero imperdibile. E la conferma che Palazzo Reale continua a rivestire un ruolo di primaria importanza nella vita culturale della città.
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