
L’Istituto di previdenza continua a non attuare la sentenza della Consulta: la riduzione dell’assegno se il beneficiario ha altri redditi è incostituzionale da più di un anno.L’Inps avrebbe dovuto dare applicazione, da più di un anno, alla sentenza della Corte costituzionale numero 162 del 22 giugno 2022 (presidente Giuliano Amato, relatore Maria Rosaria San Giorgio), che ha dichiarato illegittima la norma che prevede la decurtazione effettiva della pensione di reversibilità quando il beneficiario possiede redditi aggiuntivi, giudicata una vera e propria «espropriazione» a carico del pensionato, in violazione del «principio di ragionevolezza a cui è informato il secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione».Tuttavia, l’istituto di via Ciro il Grande non ha ancora provveduto a rideterminare le pensioni in favore degli interessati. E così il Comitato direttivo dell’associazione nazionale magistrati ed avvocati dello Stato in pensione si è rivolto direttamente al Il Commissario straordinario INPS Micaela Gelera, informando anche il magistrato della Corte dei conti delegato al controllo dell’Inps, consigliere Patrizia Ferrari, segnalando l’urgenza di provvedere, in quanto si tratta di ragioni di giustizia «di immediata percezione».Il giudizio di costituzionalità era stato promosso dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Lazio, con ordinanza 7 maggio 2020 con la quale aveva sollevato, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del combinato disposto del terzo e quarto periodo del comma 41 dell’articolo 1 della legge 8 agosto 1995, numero 335 (riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), e della connessa tabella F, nella parte in cui prevede che la decurtazione effettiva della pensione ai superstiti il cui beneficiario possieda redditi aggiuntivi possa eccedere l’ammontare complessivo di tali redditi. Osservava la Corte dei conti che l’applicazione delle norme richiamate ha comportato «decurtazioni quantitativamente superiori rispetto ai redditi aggiuntivi il cui possesso [...] costituisce la causa efficiente delle decurtazioni stesse». Infatti, nel caso del ricorrente, per l’annualità 2015, a fronte di un reddito aggiuntivo pari a euro 30.106 euro sono state applicate «decurtazioni non inferiori a 43.174,43 euro», con eccedenza negativa pari ad euro 17.000 circa. L’esorbitanza quantitativa delle decurtazioni sofferte, a fronte dei redditi aggiuntivi che le hanno determinate, ridonda in violazione del «principio di ragionevolezza a cui è informato il secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione». Un argomento che la Consulta ha integralmente condiviso, disattendendo le argomentazioni dell’Inps (avvocato Antonella Patteri) e della Presidenza del Consiglio dei ministri (avvocato dello Stato Pio Giovanni Marrone) che avevano concluso per l’inammissibilità o la infondatezza della questione di costituzionalità che per i giudici delle leggi non hanno potuto trovare ingresso nel giudizio «in quanto si risolvono in mere clausole di stile, prive di qualsivoglia argomentazione». Una cattiva abitudine, espressione di quella diffusa arroganza del potere che porta a perseverare nell’errore.L’istituto della pensione ai superstiti, si legge nella sentenza, costituisce «una forma di tutela previdenziale ed uno strumento necessario per il perseguimento dell’interesse della collettività alla liberazione di ogni cittadino dal bisogno ed alla garanzia di quelle minime condizioni economiche e sociali che consentono l’effettivo godimento dei diritti civili e politici». La ratio dei trattamenti di reversibilità, ha ricordato la Corte, consiste nel «farne proseguire, almeno parzialmente, anche dopo la morte dei loro titolari, il godimento da parte dei soggetti a lui legati da determinati vincoli familiari, garantendosi, così, ai beneficiari la protezione dalle conseguenze che derivano dal decesso del congiunto [...] si realizza in tal modo, anche sul piano previdenziale, una forma di ultrattività della solidarietà familiare, proiettando il relativo vincolo la sua forza cogente anche nel tempo successivo alla morte». Pertanto, «la regolamentazione del cumulo tra la prestazione previdenziale e i redditi aggiuntivi del suo titolare, laddove comporti una diminuzione del trattamento pensionistico, deve muoversi entro i binari della non irragionevolezza». Ciò che, invece, la Corte ha ritenuto caratterizzare la norma dichiarata incostituzionale.
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