2023-09-09
«Repubblica» tifa la censura globale alla vigilia del voto in Ue e Stati Uniti
Maurizio Molinari (Imagoeconomica)
Maurizio Molinari si dice preoccupato per le troppe «fake news» che minerebbero dall’interno la democrazia. Un allarme lanciato per la tornata elettorale del 2024. In cui, però, le libere opinioni dovranno essere vagliate.Come per la difesa dell’ambiente, il problema non è la mancanza di democrazia e libertà d’informazione in Cina, in Russia e in molti Paesi arabi, ma la presenza di troppe libere opinioni in Nord America e in Europa.In Occidente, attraverso le famigerate «fake news», forze oscure sfrutterebbero le libertà costituzionali per indebolire dall’interno la democrazia. E così, il G20 e l’Unione europea preparano interventi pesanti per «tutelare» la libertà d’informazione, proprio alla vigilia delle prossime elezioni europee e della presidenziali Usa, nel 2024.Un bel giro di vite sulle idee sgradite o controcorrente che tornerebbe utile ai liberal da entrambe le parti dell’Atlantico. Un altro passo verso una sorta di conformismo planetario che vuole decidere per legge se un’idea o una convinzione personale siano intelligenti, discutibili o semplicemente stupide. Il tutto dimenticando che una società aperta e democratica, ma anche sicura e un minimo giusta, non ha bisogno solo di regole condivise e di partecipazione dei cittadini, ma anche di libertà, famiglie, educazione, cultura, mobilità sociale, senso civico. L’occasione per capire che cosa hanno in testa i Guardiani delle notizie arriva da un intervento pronunciato a Foligno da Maurizio Molinari, mentre riceveva un premio intitolato «Dodici giornali sottobraccio» contro le fake news. Il testo del discorso del direttore di Repubblica è stato pubblicato ieri dal giornale degli Agnelli-Elkann e spiega molto bene a che serve la crociata contro le suddette fake news, un’espressione ormai completamente malata.Sorvolando sul fatto che l’Italia ha un sistema politico e mediatico dove la bugia non paga dazio, veniamo alla lectio di Molinari. Il G20 sta discutendo di «Media freedom» e l’Ue prepara il Media freedom act e, secondo il giornalista romano, si tratta di risposte per difendere «qualità e indipendenza dei mezzi di comunicazione, così cruciali per la vita delle democrazie». Anime pie penserebbero che tali beni supremi si difendano con leggi severe in termini di assetti proprietari e tetti antitrust; muraglie cinesi tra informazione e pubblicità; indipendenza, preparazione (e coraggio) dei giornalisti.Invece Molinari va al so(l)do e parla di tutela del copyright dimenticando, per altro, che esiste, specie tra scrittori e musicisti, una corrente da sempre contraria per nobili ragioni, magari non condivisibili ma che non può essere messa tra i nemici della democrazia. Il problema del copyright esiste ed è assai grave per gli editori tradizionali, ai tempi di internet. Legittima preoccupazione di fatturato e giusta difesa dalla concorrenza sleale delle varie Google, il copyright però non ha a che fare con la democrazia. È uno scontro di prodotto e di poteri dove nessuno è santo.Invece il direttore di Repubblica sposta il tema dagli editori ai loro dipendenti e sostiene che la tutela del diritto d’autore «è un pilastro della credibilità della libertà di informazione perché ha a che vedere con la responsabilità personale, in ogni sua possibile declinazione». Dal che discende, evidentemente, che il giornalista che firma un servizio e percepisce un (equo?) compenso è anche responsabile civilmente e penalmente di ciò che racconta. Va bene, per carità, è già così in Italia. Ma non è simpatico ricordarlo in un sermone sulla libertà di stampa in pericolo.Il problema principale, comunque, sarebbero le fake news. Si tratta di uno strumento di disinformazione che «mira a colpire, delegittimare, isolare, infangare individui o collettività identificati come nemici da aggredire». Molinari ricorda che «gli Stati sovrani che usano le fake news (…) sono quasi sempre autocrazie, dittature e regimi di ogni genere» e cita ovviamente la Russia di Vladimir Putin e l’Iran degli ayatollah. Tuttavia sottolinea che anche in democrazia possono svilupparsi campagne basate su notizie false e cita il caso della campagna elettorale di Donald Trump nel 2016 e la legittimazione dell’assalto a Capitol Hill nel 2020.Decisamente più illuminante il punto di vista sull’Europa. Molinari stila una sorta di galleria degli orrori come «la negazione del Covid-19, la contestazione dei vaccini, il sarcasmo (sic!) sui cambiamenti climatici, i pregiudizi contro migranti e minoranze, fino a sostenere la superiorità delle autocrazie sulle democrazie». Senza tenere conto che non è l’istituzione della Polizia del pensiero a difendere una democrazia, ma proprio la libertà di dire anche una bestialità. A meno che la Polizia del pensiero non serva a produrre risultati elettorali graditi a lorsignori. Altra perla sfuggita al premiato direttore è questa: «Le fake news diventano lo strumento grazie al quale il populismo diffonde l’antimodernità al fine di aggredire la forza della ragione su cui si fonda lo Stato di diritto, da cui dipende la vita democratica». Veramente pensavamo che lo Stato di diritto si fondasse su regole che limitano l’arbitrio dello Stato stesso nei confronti dei cittadini, ma agitando la «forza della ragione» come in una loggia d’altri tempi si ottiene ben di più: si chiude la bocca a chi, per fare un esempio, è contrario al green pass e lo si confina nel girone dei superstiziosi e degli ignoranti. Lo si è sempre fatto, per carità, ma farlo per il bene dei cittadini e per difenderne la libertà è un capolavoro di ipocrisia.Per ogni regime, il miglior prigioniero è sicuramente quello che si consegna da solo: costa meno e non serve alcuna violenza. Basta una miscela di paure, di emergenze continue e di piccole menzogne quotidiane. Non serve raccontare che la terra è piatta.