2019-01-04
Renzi si crede Ulisse esiliato da Itaca: «Ritornerò. Non mi dimetto dall’Io»
L'ex premier in crisi di visibilità risponde a un lettore del «Foglio». Fra mitologia greca, attacchi ai compagni del Pd e il neologismo «vuotanza», gli scappa il tragicomico: «Ho storie gonfie di fantasia da raccontare».Non si è dimesso dall'Io. Ce l'ha voluto comunicare, Matteo Renzi, con la sua solita sobrietà. E così, scomodando Itaca e Kavafis, i Lestrigoni, i Ciclopi, Poseidone incollerito, Poseidone asprigno, la «vuotanza» (neologismo), i boy scout, la borraccia, la bussola (come se non l'avesse persa da tempo), gli empori dei fenici, la bella mercanzia, i profumi inebrianti, le banche popolari, il Titolo V della Costituzione, le città egizie, madreperle, coralli e lo Statuto dei lavoratori, è arrivato finalmente al punto: «Non mi dimetto dall'Io», ha sentenziato. Con l'inevitabile disperazione dell'Io medesimo che, per quanto abnorme, non ce la fa più nemmeno lui a contenere cotanto Renzi.L'ex premier, in evidente crisi di astinenza mediatica, dopo la cura omeopatica di ascolti del suo documentario su Firenze e l'overdose di messaggi social caduti nell'indifferenza generale, ormai non trova di meglio che rispondere alle lettere pubblicate nella rubrica dei lettori del Foglio. Si tratta, chiaramente, di uno degli ultimi stadi dell'onanismo comunicativo: avanti di questo passo, i prossimi passaggi saranno quelli di rispondere agli annunci di baby sitter appesi ai pali della luce o di intavolare una discussione sul reddito di cittadinanza con il paracarro di Pontassieve. Nell'attesa che si compia il mesto ciclo mediatico del renzismo, ci accontentiamo di questa brillante risposta alle lettere del Foglio, pubblicata ovviamente dal medesimo quotidiano. E quindi destinata a rimanere in eterno clandestina.Ma noi che siamo dei cultori dell'Io renziano non potevamo privarci (e privarvi) della gioia della lettura. Anche perché l'ex premier, scoprendo che l'autore della lettera in questione è Umberto Contarello, sceneggiatore premiato e amato dalla gente che piace, si sente in dovere di mettersi sullo stesso piano letterario. Se per dire, gli avesse scritto un astrofisico, ecco: lui avrebbe risposto con una dotta lezione sulle lune di Giove e di Saturno. Se gli avesse scritto un musicista, avrebbe composto seduta stante una sonata in si bemolle minore. Invece gli ha scritto uno sceneggiatore e dunque lui si avventura tra i Lestrigoni, Poseidone incollerito e i rudimenti di retorica, tipo «abbiamo sogni e sappiamo come realizzarli» oppure «abbiamo tante storie gonfie di fantasia da raccontare». Ecco cosa succede quando uno non ne vuol sapere di dimettersi dall'Io.Che poi Renzi avesse «storie gonfie di fantasia da raccontare» ce n'eravamo abbondantemente accorti da tempo. Non a caso lo chiamavano il Bomba. La notizia è che, non essendosi dimesso dall'Io, non si è dimesso neppure dal Bomba. E infatti anche la lettera al Foglio, tra un'elegia e l'altra, è piena di «storie gonfie di fantasia». Per esempio dice l'ex premier che con lui al governo in Italia «le cose marciavano». E che dalle banche popolari alla scuola, lui «ha dato una scossa a questo Paese». Lo vedete che fantasia? Magari le cose non marciavano ma marcivano; e magari la scossa data da lui a questo Paese era simile a quella di una sedia elettrica. Ma tant'è: sono «storie gonfie», quelle di Renzi, e non bisogna aggiungere altro. Infatti lui sospira soddisfatto: «Quante cose incredibili abbiamo fatto». Un sacco, davvero, amico mio. Proprio incredibili. Per fortuna, però, gli italiani se ne sono accorti in tempo.Anche se gli italiani, è evidente, in questo momento per l'ex premier non contano nulla. Sono, infatti, a suo dire tutti rimbecilliti perché anziché seguire lui, pallonaro principe, corrono dietro a un «governo palloncino». Possibile che non si accorgano che, in fatto di palle gonfiate, lui non ha concorrenti? È chiaro: i nostri connazionali sono preda di un «incantesimo». Il quale, però, per fortuna sta per finire perché lui, l'Io immedesimato in sé medesimo, al secolo Renzi, sta per tornare. E sta per colmare quella «vuotanza», di cui l'accusa lo sceneggiatore Contarello. Così darà una risposta alla «nostalgia» che tutti hanno di lui e raccoglierà la «tardiva riconoscenza» nei suoi confronti anche da parte «dei commentatori più implacabili». Come no? Ci manca solo il premio Oscar alla miglior trama fantasy e l'assegnazione del Pallone (gonfiato) d'oro, e il trionfo sarà completo.Non pensate che se li meriti? Lui di certo sì. Pensa di meritare tutto. Anche Palazzo Chigi. Non essendosi dimesso dall'Io, infatti, è convinto di non essere più premier soltanto perché i colleghi di partito anziché «cambiare il Paese» a un certo punto hanno deciso di «cambiare il carattere», anzi «il caratteraccio» (cioè lui). Ma gli italiani in realtà non hanno mai smesso di aspettarlo. E perciò lui non ha mai smesso di pensare alla rentrée. Adesso sta facendo la «battaglia culturale» (non a caso cita Poseidone anche mentre si fa il bidet), usa i social e dialoga con i ragazzi (a insaputa dei ragazzi medesimi), consapevole del fatto che prima o poi gli toccherà inevitabilmente ritornare perché c'è un gran «bisogno di politici che sappiano ritrovare il gusto di dire io». E lui, modestamente, quel gusto non l'ha mai perso. Solo che, purtroppo, bisogna aspettare. «Non possiamo precipitare il nostro viaggio», dice sapendo di sollevare l'immensa delusione delle folle. Ma lui insiste: «Precipitare il nostro viaggio significherebbe non partire proprio. E noi vogliamo partire, per arrivare. Per ritornare». E qui, bando all'ironia, non si può che essere d'accordo. Matteo deve ritornare. Ma non a Itaca, e nemmeno al governo. Deve ritornare in sé. Sempre ammesso che l'Io lo rivoglia, naturalmente.
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