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2019-03-29
Come Renzi si è intortato gli arabi di Mubadala
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Ansa
Il finanziamento di 250 milioni di euro per Piaggio Aerospace è stato di nuovo rimandato, così a distanza di un mese dalle promesse del ministero dello Sviluppo Economico di Luigi Di Maio torna lo spettro del fallimento per l'azienda strategica di Villanova d'Albenga specializzata in produzione di velivoli a pilotaggio remoto. Del resto, dopo 4 mesi in amministrazione straordinaria con il commissario Vincenzo Nicastro, dei presunti finanziamenti non c'è manco l'ombra. Per di più in questi due giorni è scoppiato anche un piccolo giallo, con il parlamentare 5 Stelle Giuseppe Buompane che aveva spiegato al Secolo XIX di aver «chiesto al governo di verificare e garantire la sostenibilità finanziaria del programma pluriennale per ciascun anno a partire dalla sua concreta attuazione», per poi smentire il giorno dopo su un'agenzia di aver rilasciato queste dichiarazioni. In tutto questo si è messo di traverso pure il Partito democratico, che ha portato avanti con i governi di Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni tutta la pratica Piaggio.
«Dove sono finiti i 776 milioni di euro che, in origine, erano destinati al programma P2hh di Piaggio? Dopo che il Mise aveva assicurato che una parte (250 milioni) sarebbe servita per la certificazione del P1hh e per l'acquisto di 4 sistemi, oggi il presidente della commissione Bilancio Claudio Borghi (Lega) dice che non c'è ancora, da parte del Governo, la garanzia delle coperture finanziarie», si sono domandati i consiglieri regionali del Pd ligure Giovanni Lunardon e Luigi De Vincenzi. In pratica è ormai il tutti contro tutti. Di fondo c'è di sicuro la spaccatura evidente che si è creata all'interno dell'Aeronautica militare, perché l'anno scorso l'ex capo dell'Aeronautica, ora capo di Stato maggiore della Difesa, Enzo Vecciarelli, sosteneva della necessità e nell'importanza di investire nei droni P1.hh di produzione Piaggio. Al contrario, il suo successore Alberto Rosso, ha spiegato alla metà di marzo, che il velivolo P1.hh non incontra le aspettative dell'Aeronautica, aggiungendo che «occorre trovare un programma non di tampone, che garantisca dei ritorni operativi ed occupazionali». Il problema è che di mezzo di sono più di 1.000 lavoratori che non sanno ancora quale destino li aspetta. C'è chi teme che di rinvio in rinvio si possa arrivare all'estate, per poi andare in fallimento e poi spacchettare le varie parti dell'azienda. Nel frattempo è tornato a circolare un dossier dell'ottobre del 2018 sull'azienda ligure.
Nelle 23 paginette della rivista specializzata Laran si ripercorre la storia dell'azienda sin dal 2010 e ci si sofferma sulle scelte dei governi di centrosinistra con l'azionista emiratino Mubadala, dal 2015 padrone al 100% della società. In particolare si ricorda «che nel 2014 gli Emirati arabi uniti firmarono un contratto per la fornitura di 8 sistemi P.1hh con consegne previste per il 2016, cioè prevedendo soli 24 mesi per il completamento delle attività di sviluppo, ingegnerizzazione e produzione. A ottobre 2014 fu annunciato il cambio di denominazione da Piaggio Aero Industries in Piaggio Aerospace per sottolineare il processo di evoluzione dell'azienda. A ottobre 2015 Mubadala acquistò dall'imprenditore Piero Ferrari anche l'ultimo 1,95% di quote azionarie di Piaggio Aerospace, arrivando a detenere il 100% dell'azienda». Ma, si legge ancora, «purtroppo, molti dei requisiti che erano associati al P.1hh e MPA1 si sono poi dimostrati nel tempo più difficili da raggiungere di quanto stimato inizialmente. In due anni Piaggio Aerospace avrebbe dovuto completare lo sviluppo, avviare la linea di produzione e consegnare gli 8 sistemi P.1hh agli Emirati. Si è infatti registrata una generale sottovalutazione della sfida tecnologica che avrebbe dovuto affrontare quest'azienda, che fino al 2014 aveva operato esclusivamente nel business civile della aviazione generale, con il P180 e con attività sui motori aeronautici, e non aveva esperienza nello sviluppo e produzione di sistemi militari, tanto meno nella realizzazione di velivoli a pilotaggio remoto. All'errata valutazione della complessità del programma, si sommarono un non adeguato finanziamento (circa 340 milioni) dei costi non ricorrenti (Nrc, Non recurring costs) e un eccessivo turnover del management (deciso dagli azionisti) che contribuì a generare un forte ritardo del programma P.1hh».
Non solo, nel dossier si spiegava anche che «L'approvazione parlamentare del decreto ministeriale relativo al programma P.2HH dovrebbe spingere Piaggio Aerospace e Leonardo a concretizzare la prevista forma giuridica di collaborazione (raggruppamento di imprese, joint venture o altro) con responsabilità solidale (al 50%) con la quale sarà successivamente siglato il contratto di sviluppo». Ma le previsioni non si sono verificate. Quella di Piaggio Aerospace rischia dunque di essere una storia di errori tipicamente italiana. Solo scelte strategiche nuove, fatte da chi possiede la competenza necessaria per identificarle e realizzarle, potrà evitarne una conclusione drammatica.
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Continuano le difficoltà economiche di Piaggio Aerospace, azienda specializzata nella produzione di droni: a rischio ci sono più di 1.000 lavoratori. La commissione bilancio della camera ha rimandato la discussione sullo stanziamento di 250 milioni di euro previsti dal Mise. E spunta un dossier dell'ottobre 2018 che descrive le promesse fatte agli investitori emiratini : «Si è registrata una generale sottovalutazione della sfida tecnologica che avrebbe dovuto affrontare quest'azienda, che fino al 2014 aveva operato esclusivamente nel business civile della aviazione generale».Il finanziamento di 250 milioni di euro per Piaggio Aerospace è stato di nuovo rimandato, così a distanza di un mese dalle promesse del ministero dello Sviluppo Economico di Luigi Di Maio torna lo spettro del fallimento per l'azienda strategica di Villanova d'Albenga specializzata in produzione di velivoli a pilotaggio remoto. Del resto, dopo 4 mesi in amministrazione straordinaria con il commissario Vincenzo Nicastro, dei presunti finanziamenti non c'è manco l'ombra. Per di più in questi due giorni è scoppiato anche un piccolo giallo, con il parlamentare 5 Stelle Giuseppe Buompane che aveva spiegato al Secolo XIX di aver «chiesto al governo di verificare e garantire la sostenibilità finanziaria del programma pluriennale per ciascun anno a partire dalla sua concreta attuazione», per poi smentire il giorno dopo su un'agenzia di aver rilasciato queste dichiarazioni. In tutto questo si è messo di traverso pure il Partito democratico, che ha portato avanti con i governi di Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni tutta la pratica Piaggio.«Dove sono finiti i 776 milioni di euro che, in origine, erano destinati al programma P2hh di Piaggio? Dopo che il Mise aveva assicurato che una parte (250 milioni) sarebbe servita per la certificazione del P1hh e per l'acquisto di 4 sistemi, oggi il presidente della commissione Bilancio Claudio Borghi (Lega) dice che non c'è ancora, da parte del Governo, la garanzia delle coperture finanziarie», si sono domandati i consiglieri regionali del Pd ligure Giovanni Lunardon e Luigi De Vincenzi. In pratica è ormai il tutti contro tutti. Di fondo c'è di sicuro la spaccatura evidente che si è creata all'interno dell'Aeronautica militare, perché l'anno scorso l'ex capo dell'Aeronautica, ora capo di Stato maggiore della Difesa, Enzo Vecciarelli, sosteneva della necessità e nell'importanza di investire nei droni P1.hh di produzione Piaggio. Al contrario, il suo successore Alberto Rosso, ha spiegato alla metà di marzo, che il velivolo P1.hh non incontra le aspettative dell'Aeronautica, aggiungendo che «occorre trovare un programma non di tampone, che garantisca dei ritorni operativi ed occupazionali». Il problema è che di mezzo di sono più di 1.000 lavoratori che non sanno ancora quale destino li aspetta. C'è chi teme che di rinvio in rinvio si possa arrivare all'estate, per poi andare in fallimento e poi spacchettare le varie parti dell'azienda. Nel frattempo è tornato a circolare un dossier dell'ottobre del 2018 sull'azienda ligure. Nelle 23 paginette della rivista specializzata Laran si ripercorre la storia dell'azienda sin dal 2010 e ci si sofferma sulle scelte dei governi di centrosinistra con l'azionista emiratino Mubadala, dal 2015 padrone al 100% della società. In particolare si ricorda «che nel 2014 gli Emirati arabi uniti firmarono un contratto per la fornitura di 8 sistemi P.1hh con consegne previste per il 2016, cioè prevedendo soli 24 mesi per il completamento delle attività di sviluppo, ingegnerizzazione e produzione. A ottobre 2014 fu annunciato il cambio di denominazione da Piaggio Aero Industries in Piaggio Aerospace per sottolineare il processo di evoluzione dell'azienda. A ottobre 2015 Mubadala acquistò dall'imprenditore Piero Ferrari anche l'ultimo 1,95% di quote azionarie di Piaggio Aerospace, arrivando a detenere il 100% dell'azienda». Ma, si legge ancora, «purtroppo, molti dei requisiti che erano associati al P.1hh e MPA1 si sono poi dimostrati nel tempo più difficili da raggiungere di quanto stimato inizialmente. In due anni Piaggio Aerospace avrebbe dovuto completare lo sviluppo, avviare la linea di produzione e consegnare gli 8 sistemi P.1hh agli Emirati. Si è infatti registrata una generale sottovalutazione della sfida tecnologica che avrebbe dovuto affrontare quest'azienda, che fino al 2014 aveva operato esclusivamente nel business civile della aviazione generale, con il P180 e con attività sui motori aeronautici, e non aveva esperienza nello sviluppo e produzione di sistemi militari, tanto meno nella realizzazione di velivoli a pilotaggio remoto. All'errata valutazione della complessità del programma, si sommarono un non adeguato finanziamento (circa 340 milioni) dei costi non ricorrenti (Nrc, Non recurring costs) e un eccessivo turnover del management (deciso dagli azionisti) che contribuì a generare un forte ritardo del programma P.1hh». Non solo, nel dossier si spiegava anche che «L'approvazione parlamentare del decreto ministeriale relativo al programma P.2HH dovrebbe spingere Piaggio Aerospace e Leonardo a concretizzare la prevista forma giuridica di collaborazione (raggruppamento di imprese, joint venture o altro) con responsabilità solidale (al 50%) con la quale sarà successivamente siglato il contratto di sviluppo». Ma le previsioni non si sono verificate. Quella di Piaggio Aerospace rischia dunque di essere una storia di errori tipicamente italiana. Solo scelte strategiche nuove, fatte da chi possiede la competenza necessaria per identificarle e realizzarle, potrà evitarne una conclusione drammatica.
Getty Images
Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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