2020-11-08
Renzi indagato spara su «Verità» e pm
L'ex premier, indagato per i 7 milioni di euro finiti alla Fondazione che organizzava la Leopolda, attacca l'inchiesta dei magistrati di Firenze: «Assurdo giuridico». Ma gli inquirenti preparano l'interrogatorio del 24.La battaglia finale è iniziata. La Procura di Firenze, guidata da quel Giuseppe Creazzo che i renziani volevano disarcionare dalla poltrona di procuratore nei giorni dell'hotel Champagne, ha inviato un invito a comparire a Matteo Renzi, Maria Elena Boschi, Luca Lotti, Marco Carrai e Alberto Bianchi per essere ascoltati in veste di indagati per finanziamento illecito. Una comunicazione a cui l'ex premier ha risposto in maniera violenta dalla terrazza del palazzo delle Generali a piazza Venezia, indirizzo noto per ben altri discorsi dai balconi. Il senatore semplice ha declamato il suo intervento di apertura della terza assemblea nazionale di Italia viva via Zoom tenendo alle spalle la colonna Traiana e due splendide chiese, Santa Maria di Loreto e il Santissimo nome di Maria al Foro. Il cuore dell'intervento è stato rilanciata sui social: «Io penso che a chi cerca la battaglia e la visibilità mediatica, bisogna rispondere con il diritto. Loro passano le informazioni alla Verità, noi pensiamo che la verità sia quella che ha detto la Cassazione», la quale avrebbe mandato «un chiaro segnale ai pm».Il riferimento è allo scoop del nostro giornale su «Renzi indagato» e a tre diverse sentenze della Corte suprema che nelle scorse settimane hanno accolto i ricorsi delle difese su perquisizioni e sequestri, presentati dai difensori di Carrai (che da anni ha lasciato la politica attiva per dedicarsi alle sue società), Patrizio Donnini (sotto inchiesta nello stesso fascicolo per appropriazione indebita e autoriciclaggio) e Davide Serra (finanziere non indagato). I giudici del Palazzaccio, nella più importante delle tre determinazioni, hanno stabilito che per poter contestare il finanziamento illecito è necessario che l'attività esplicata dalla fondazione debba essere del tutto riconducibile e sovrapponibile a quella del partito (le toghe parlano di «simbiosi operativa» o di «assenza di diversa concreta operatività»). In pratica tutte le risorse dovevano essere impiegate per finalità politiche. In concreto, secondo questa interpretazione rigorista, basterebbe che una parte seppur minima della fondazione fosse stata destinata ad altro per evitare di incappare nelle contestazioni penali. Certamente non tutti i giorni la Cassazione entra così nel dettaglio di un'inchiesta in sede di esame di legittimità di un decreto di sequestro probatorio. Ma torniamo a Renzi. L'ex premier ha parlato di «presunto scandalo» e ha usato gli stessi toni esibiti in Senato nel dicembre 2019, quando si era scagliato contro i magistrati, colpevoli di aver mandato «300 finanzieri a casa di 50 persone perbene che vengono svegliate la mattina alle 7 per chiedere se hanno contribuito alla Leopolda e alla Fondazione Open». Ecco spiegato il fuggi fuggi dei finanziatori di Italia viva. Secondo Renzi «bastava fare una ricerca su Google o al massimo sui motori di ricerca bancari per capire che tutto era alla luce del sole». E invece «si decide di fare le perquisizioni». Perché? «Perché ci sono dei magistrati, pochi fortunatamente, a cui la ribalta mediatica piace più che il giudizio di merito, che seguono la viralità sui social più che le sentenze della Corte di cassazione». Ma gli attacchi ai magistrati, che avrebbero creato a Italia viva «un danno pazzesco», non sono finiti. Infatti Renzi ha dichiarato che da loro si sarebbe «aspettato una lettera di scuse» e invece «è arrivato questa mattina (ieri, ndr) un avviso di garanzia, che riguarda tutto il consiglio di amministrazione di Open e anche il sottoscritto». In realtà non siamo veggenti, e la notifica risale a mercoledì scorso.Ma, come detto sopra, nella sua filippica Renzi ha usato toni esasperati: «Ci sono vari modi per replicare a quello che sembra un assurdo giuridico, la Cassazione aveva parlato appena qualche settimana fa. Io penso che a chi cerca la battaglia e la visibilità mediatica si debba rispondere con il diritto. Loro passano le informazioni alla Verità, noi pensiamo che la verità sia quella della Cassazione». Non ha lasciato indifferenti il riferimento al nostro giornale a cui misteriosi «loro» avrebbero passato le notizie. Un pronome in cui molti hanno riconosciuto gli inquirenti. Un'accusa che, senza uno straccio di prova, rischia di ritorcersi contro al segretario di Italia viva che potrebbe essere accusato di diffamazione. Anche per questi ulteriori attacchi: «Noi ai magistrati auguriamo buon lavoro, e a tutti quelli che in queste ore vi stanno dando la solidarietà dico “sono io che do la solidarietà" perché la magistratura italiana è fatta per la stragrande maggioranza da persone perbene: l'ansia di visibilità di qualcuno rischia di nuocere anche al lavoro degli altri». L'ex premier ha assicurato di aver letto le sentenze della Cassazione e si è augurato «che le abbia lette anche il pm di Firenze o che almeno le abbia capite». Ed eventualmente a fargliele comprendere dovrà essere il gotha dell'avvocatura italiana, ingaggiato dagli indagati: si va da Paola Severino (per la Boschi) a Franco Coppi (Lotti), da Massimo Dinoia (Carrai) a Nino D'Avirro (Bianchi) e Giandomenico Caiazza per lo stesso Renzi.Un Dream team che ricorda il quintetto della nazionale Usa di basket alle Olimpiadi di Barcellona del 1992. L'avvocato Caiazza, difensore di Renzi preferisce scegliere la strada dell'ironia: «Se sono in contatto con gli altri difensori? No, mi pare una storia minore che non esige un impegno così strenuo». Dinoia soggiunge: «Ho altro per la testa, non ho tempo da perdere».Ma i fantastici cinque troveranno di fronte pane per i loro denti. Infatti nella convocazione messa nero su bianco dal procuratore aggiunto Luca Turco e il pm Antonino Nastasi è già chiara la strategia con cui i pm cercheranno di aggirare le obiezioni dei giudici della Cassazione.Per questo la Procura ha cercato di ancorare le proprie tesi nel modo più blindato possibile all'articolo 4 della legge sull'illecito finanziamento dei partiti rivista nel 1981. In quell'articolo si legge: «I divieti […] sono estesi ai finanziamenti ed ai contributi in qualsiasi forma o modo erogati, anche indirettamente» a tutta una serie di categorie, tra cui «i raggruppamenti interni dei partiti politici», le care vecchie correnti. Ecco perché nell'invito a comparire è evidenziato più volte il riferimento non solo al Partito democratico, ma pure alla «corrente renziana», sostenuta da ben 7,2 milioni di euro di erogazioni. In quest'ottica gli inquirenti hanno evidenziato i ruoli ricoperti dagli indagati dentro al partito. Nell'avviso a comparire Renzi viene indicato come «segretario nazionale del Pd dal 15 dicembre 2013 al 12 marzo 2018; Lotti e la Boschi come componenti della segreteria nazionale del Pd dal dicembre 2013 al febbraio 2017 e l'ex ministra di Laterina anche come coordinatrice della stessa segreteria dal dicembre 2013 al settembre 2014. Poi tutti e cinque vengono individuati come «componenti del consiglio direttivo della Fondazione Open, riferibile a Matteo Renzi (e da lui diretta), articolazione politico-organizzativa del Partito democratico (corrente renziana)». Infine i magistrati specificano che i tre «ricevevano dalla Fondazione Open contributi in forma diretta e indiretta», ma gli contestano solo quelli arrivati dal 7 novembre 2014 al 13 novembre 2018 (le cifre incassate precedentemente sono coperte dalla prescrizione), per un totale di poco superiore ai 5 milioni. Off the record uno dei difensori ha ragionato con La Verità su che cosa debbano aspettarsi i cinque indagati. Turco, magistrato di grande esperienza, viene considerato un osso duro e se ha iscritto sul registro degli indagati dei pezzi da 90 come Renzi e la Boschi, sino a oggi mai raggiunti da nessun avviso di garanzia, è il ragionamento del legale, qualcosa nel cassetto deve averlo sicuramente. Per saperne di più bisognerà attendere gli interrogatori, fissati per il 24 novembre. Anche se quel giorno gli indagati, per nulla intenzionati a farsi torchiare al buio, si avvarranno quasi certamente della facoltà di non rispondere. Come ben sanno pure i magistrati. Che infatti li hanno convocati tutti insieme e non certo per intasare gli uffici in tempo di Covid.
Antonella Bundu (Imagoeconomica)
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