Impressionista, ma non solo. A Palazzo Roverella (sino al 25 giugno 2023), una mostra che svela gli aspetti meno noti del grande pittore francese - a cominciare dalla sua «moderna classicità» - e lo mette in dialogo con grandi artisti italiani, dai sublimi maestri del passato che lo ispirarono nella fase matura della sua carriera a molti suoi contemporanei, a cominciare dagli «italiens de Paris» Giovanni Boldini, Giuseppe De Nittis, Federico Zandomeneghi e Medardo Rosso.
Impressionista, ma non solo. A Palazzo Roverella (sino al 25 giugno 2023), una mostra che svela gli aspetti meno noti del grande pittore francese - a cominciare dalla sua «moderna classicità» - e lo mette in dialogo con grandi artisti italiani, dai sublimi maestri del passato che lo ispirarono nella fase matura della sua carriera a molti suoi contemporanei, a cominciare dagli «italiens de Paris» Giovanni Boldini, Giuseppe De Nittis, Federico Zandomeneghi e Medardo Rosso.Si parla di Renoir, e subito si pensa all' Impressionismo. Alla pittura all’aperto (en plein air, per dirla alla francese) e ai suoi massimi esponenti. Claude Monet, innanzitutto. E poi Édouard Manet, Edgar Degas, Alfred Sisley, Camille Pissarro, Gustave Caillebotte e tutta quella cerchia di artisti bohemien (e quasi tutti squattrinati) che sapevano «catturare» la luce e fissarla su una tela. Che si trattasse di ninfee, ballerine, prostitue, paesaggi, prati, boschi, caffè, quartieri cittadini, sapevano cogliere l’istante preciso dell’impressione visiva. Il particolare, il colore illuminato dalla luce. Gli impressionisti dipingevano quello che vedevano, con pennellate rapide e senza disegni preparatori. Le immagini non chiaramente definite, quasi sfocate. Anche Pierre-Auguste Renoir (1841-1919) era un impressionista, frequentava gli stessi ambienti degli altri, ne condivideva (anche se spesso solo in parte ) tecniche, filosofia, pensieri ed esperienze, ma, ben presto, la sua arte e il suo modo di dipingere rivelarono interesse soprattutto per le persone. Per i volti, ma in particolar modo per i corpi, inondati, quasi immersi nella luce della natura. Renoir , che artisticamente nasce impressionista, verso la fine degli anni Settanta l’Impressionismo lo mette in discussione e, scosso da una profonda crisi ed inquietudine creativa, lascia la Francia, il suo mondo e comincia a viaggiare: nella primavera del 1881 è ad Algeri e nell’autunno dello stesso anno arriva in Italia. E il nostro Paese lo strega. A Venezia scopre Tiepolo e Tintoretto (Tiziano e Veronese li conosceva già), a Firenze e a Roma i maestri del Rinascimento, a Napoli le pitture pompeiane e i capolavori antichi del museo archeologico. Il suo tour, dopo un passaggio in Calabria, termina a Palermo e con il viaggio in Italia termina anche il periodo impressionista di Renoir: è l’inizio della sua «rivoluzione creativa». Il suo tratto si fa più nitido e definito, quasi aspro; il suo stile, più attento ai volumi e alla monumentalità delle figure, è un chiaro richiamo al classicismo, «riveduto e corretto» in una nuova forma, personale e moderna, quasi un anticipo di quel «ritorno all’ordine» che si sarebbe poi affermato tra le due guerre. Ed è proprio dal periodo classico di Renoir, dalla seconda e ultima parte della sua carriera, che prende il via la bella mostra in programma a Palazzo Roverella, curata dallo storico dell’arte Paolo Bolpagni e - non a caso - intitolata «Renoir. L’alba di un nuovo classicismo».La MostraIn un percorso espositivo legato dal fil rouge delle vicende personali dell’artista, esposte al pubblico ben quarantasette opere di Renoir ( tra cui anche la Baigneuse s’arrangeant les cheveux - datata 1890 circa - di proprietà personale del principe Alberto di Monaco), alle quali si affiancano capolavori di grandi Maestri del passato ( da Carpaccio a Rubens, passando per Romanino e i già menzionati Tiepolo e Tiziano), contemporanei (Giovanni Boldini e Medardo Rosso, solo per citarne un paio fra i tanti) e anche di generazioni successive ( De Chirico, Carrà, De Pisis e Tosi, per esempio): in totale, le opere sono ottantatré, alle quali si aggiunge l’edizione storica della traduzione francese del Libro dell’Arte di Cennino Cennini, volume che può vantare la prefazione di Renoir, unico suo testo pubblicato in vita. Tra le «chicche» da segnalare, tre splendidi nudi femminili (La Baigneuse blonde, 1882; Nu au fauteuil, 1900; Femme s’essuyant, 1912-1914), una natura morta (Roses dans un vase, 1900), due celebri ritratti (Gabrielle, 1910 e Adèle Besson, 1918) e - documento davvero più unico che raro - alcuni spezzoni della versione originale del film Una gita in campagna , lungometraggio del 1936 che il figlio di Renoir (il celebre regista Auguste) dedicò al padre, quasi ricreando, nelle eleganti inquadrature, le scene e le atmosfere dei suoi dipinti. A differenziare la mostra di Rovigo dalle numerosissime altre dedicate a Renoir, è la sua chiave di lettura nuova e illuminante, che pone l’accento su tre temi ben precisi: il primo, è che il Maestro francese non è stato solo uno dei massimi esponenti dell’Impressionismo (anche se, di questo movimento artistico, fu tra i fondatori), ma anche altro; il secondo, è che l’Italia è stata tappa fondamentale nel percorso artistico di Renoir; il terzo, è che la fase matura e poi conclusiva della sua carriera non è stato affatto un periodo di decadenza, ma, al contrario, l’alba di un nuovo Classicismo…
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.