2021-10-23
Brunetta si iscrive al partitone del «voto inutile»
Renato Brunetta (Getty Images)
Il ministro: socialisti e popolari assieme al governo, la «destra sovranista» no. Ma il rischio è che gli elettori non contino niente. Alle elezioni si chiama «voto utile» quello accordato al candidato che ha possibilità concrete di vittoria, in contrapposizione a quello per chi, magari più vicino alla sensibilità dell'elettore, mai e poi mai potrà farcela. Da qualche giorno i maggiori quotidiani tra l'allegro e il grottesco, teorizzano non solo l'esistenza, ma la necessità del voto inutile: una specie di placebo, una pratica destinata ad alterare alcune pennellate in un quadro in cui cornice, soggetto e colori (cioè: i partiti in maggioranza) sono fissi. E in cui l'astensione, lungi dall'essere un problema, è una luce molto gradita nel paesaggio.Prima Paolo Mieli, poi Angelo Panebianco hanno rafforzato in 24 ore il concetto nell'editoriale più nobile della prima pagina del Corriere della Sera. Due giorni fa, l'ex direttore di Via Solferino si chiedeva: «E se non votassimo più?». Ieri, il noto editorialista ipotizzava che, qualora invece le urne si aprissero ancora e vincesse Giorgia Meloni, poi comincerebbe «un'altra storia» perché il centrodestra non avrebbe i voti e verrebbe fuori più o meno un governissimo sostenuto da «pezzi del (fu) centrosinistra e pezzi del (fu) centrodestra». Sempre ieri, Renato Brunetta ha fatto da sponda alla tesi sulle colonne di Repubblica con una intervistata rilasciata a Francesco Bei, posta in apertura del quotidiano diretto da Maurizio Molinari col titolo «Un nuovo centrodestra: liberiamoci dei sovranisti» . Certo, a motivare l'uscita c'è la situazione leggermente confusa in seno a Forza Italia, che ha portato il livello dello scontro interno a dichiarazioni durissime che hanno contrapposto addirittura Silvio Berlusconi e Mariastella Gelmini. Ma il ministro della Funzione pubblica si innesta anche nella linea di pensiero secondo cui il governo di un Paese, la stabilità, la sua credibilità, siano cose troppo delicate per lasciarle nelle mani degli elettori. E che quindi - questo non lo dice apertamente ma si evince facilmente - sia meglio un sistema in cui governino il Pd e qualcosa che va da Matteo Renzi ai leghisti «buoni» passando per gli Azzurri non «cattivi».Dice Brunetta: «Il malessere nella maggioranza deriva dalla mancanza di un collante tra i partiti che ne fanno parte e che stanno iniziando a rispondere al richiamo della foresta, al richiamo del consenso». A giudizio del ministro, è una corsa vana perché «il popolo si fida di Draghi, ha capito». Si potrebbe obiettare che se l'adesione a (qualunque?) decisione del premier portasse automatico consenso, Forza Italia («partito più draghiano di tutti») non dovrebbe avere problemi a riconquistare quella egemonia nella coalizione che Silvio Berlusconi ha garantito per vari lustri. Ma la questione merita più profondità. Nel dipingere una «destra sovranista, anti europea, anti green pass» il ministro sembra indicare una conventio ad excludendum di un perimetro politico che non esiste.Se valutiamo gli atti del governo, prodotti dalla sua muscolarità e dai numeri del Parlamento le rare volte che esso viene chiamato in causa, dove stanno il «sovranismo» e l'«anti europeismo» in un timone politico inchiodato alle condizioni a cui attendere le pagelle della Commissione europea per (ri)avere i fondi del Pnrr? Il no al green pass dove si è espresso, se non in un dissenso irrilevante, e visto che il provvedimento più impattante da decenni (quello sul lavoro) è entrato in vigore senza neppure aver convertito in Aula il decreto che l'ha introdotto? E considerato che nessuna delle proteste gode di una vera «copertura» politica? In altre parole: teorizzare il rischio di un'offerta politica inaccettabilmente «altra», a vario titolo impresentabile (due anni fa populista, ieri estremista, oggi sovranista, domani chissà) occulta in modo maldestro il fatto che oggi il «gioco» politico è più stretto che mai. Su cosa si sta discutendo davvero? Sulle pensioni, se per uno o due anni avremmo quota 102 o 103. Sulla pandemia, se e quando pensare di allentare alcune misure mentre restiamo il Paese con più restrizioni d'Occidente. Sul fisco, su mini tagli di tasse a fronte di ineluttabili aumenti del catasto e mentre la riforma del Patto di stabilità è, per usare un eufemismo, di là da venire. Non si vedono, neppure sotto sforzo, Weltanschauung contrapposte in lotta, anzi: la rigidità dell'agenda non è mai stata così spietata, anche perché una vera alternativa richiede cultura politica, linguaggio, credibilità. Blindare posizioni di potere attorno a Draghi è comprensibile per chi occupa quelle posizioni. Il ministro Brunetta lo sogna al Colle, durevole garante di queste posizioni (e forse anche per prenderne il posto per un po'). Al lato pratico, però, potrebbe trovarsi a fianco la «destra sovranista», che si augura di issare il premier sul Quirinale perché ciò renderebbe contendibile Palazzo Chigi. E, ma questo è più difficile, farebbe forse riaprire le pagine di quella agenda.
Jose Mourinho (Getty Images)