
Negli ultimi tempi l’attività di Susanna Tamaro è stata molto intensa: pamphlet contro il delirio sanitario, articoli di denuncia, romanzi, libri per ragazzi. A questi ultimi la scrittrice tiene particolarmente e ne parla sempre con entusiasmo. Gli ultimi due, Tutti abbiamo una stella e La strada che ci porta a casa (entrambi editi da Piemme) sono saldamente collocati nel percorso intellettuale che Tamaro sta percorrendo in questi anni: parlano di sfide, corpi che si mettono alla prova, coraggio di vincere le difficoltà. In un mondo in cui la violenza diviene elemento caratterizzante - talvolta in modo decisamente drammatico - per tanti ragazzi, questi libri mandano messaggi fondamentali.
Come stanno secondo lei i bambini e i ragazzi italiani in questo periodo?
«Stanno abbastanza male, anzi molto male, perché c’è stata un’alterazione negli ultimi venti-trent’anni del rapporto con la realtà, che rende i bambini fragili. Abbiamo vissuto per migliaia di anni in relazione con il reale, avendo una fisicità, muovendoci, facendo delle conquiste nel periodo della crescita, e questo ci viene sottratto: la nostra attenzione è tutta catturata da qualcosa che non è reale e questo inevitabilmente distrugge l’equilibrio della persona, l’equilibrio educativo».
Che cosa c’è di non reale?
«C’è un mondo terribile che si vede nei film, nei videogiochi, eccetera, che è reale, ma è comunque un mondo terribile, pieno di angoscia, di paure. In più, nella società, nella scuola e nella famiglia difficilmente si dice ai ragazzi: guardate, questo è il mondo, è così, pieno di complessità e di negatività, ma noi siamo esseri umani, abbiamo i mezzi per affrontarlo. C’è un abbandono direi quasi medievale dei bambini: si trovano davanti a tante cose orribili, non vivono la loro vita fisica, hanno timore dell’altro sempre di più, e sono stati espropriati dalla loro realtà di conquistatori dello spazio esterno».
I supporti digitali sono parte del problema dunque.
«Sì, sono una parte rilevante. Nell’ultimo libro ho inserito una scena che rivedo spesso quando mi capita di andare nei giardini pubblici. Ci sono bambini che si arrampicano sulle strutture per giocare, arrivano in cima e lanciano uno sguardo alla madre felici, per averne l’approvazione. Ma la madre sta guardando il cellulare. Questa mancanza di sguardo è la disperazione dei bambini. Vedi anche tante mamme che spingono la carrozzina e guardano lo smartphone: il bambino le guarda e loro guardano il tablet. Questa è una distruzione dell’umanità che ci porta al transumanesimo, dunque va assolutamente controllata, denunciata... Bisogna essere consapevoli di questa distruzione dello sguardo».
Ormai ha scritto tanti libri per ragazzi e bambini, e spesso il tema dell’avventura e dell’uso del corpo ritorna.
«Sì, io scrivo libri per bambini da 37 anni all’incirca. La fiaba è il punto più importante della narrazione, anche quello più difficile da attuare. Ti parla degli orchi, e quindi ti parla dei rischi della realtà e del fatto che tu sei un essere umano -magari il più fragile, il più sventurato, il figlio scemo del mugnaio che si trova sempre nelle fiabe classiche - e grazie alla tua forza interna puoi vincere la negatività del mondo. Tutti i miei libri parlano di questo. Il cerchio magico, uscito alla metà degli anni Novanta, parlava del potere delle televisioni. In Salta Bart ho parlato della vita controllata dagli schermi, in pratica la vita a tempi della dad anche se l’ho scritto prima della dad. Questi ultimi due libri, Tutti abbiamo una stella e La strada ci porta a casa, parlano proprio della riconquista dello spazio fisico e della riconquista del coraggio. Nessuno dice ai bambini che esistono le virtù e che un uomo diventa tale quando decide di essere virtuoso, che non vuol dire diventare un santo, ma avere coraggio di combattere per quello che si ritiene importante».
Spesso la letteratura per l’infanzia diventa anche un veicolo per la diffusione dell’ideologia, soprattutto negli ultimi tempi.
«Sì, certamente. La letteratura per i bambini è davvero “la” letteratura. Se io non avessi letto Andersen mi sarei suicidata a otto anni: questa letteratura ti dà le risorse, è la più importante. Però ultimamente viene usata - come tutto, per altro - in senso ideologico, e questo non va bene. I bambini non hanno agganci interiori con l’ideologia, i bambini sono agganciati al mito, a quello che ci trascende. L’ideologia è un vicolo cieco. E porta a cose gravissime, ad esempio il fatto che abbiano censurato le opere di Roald Dahl e altri autori. Per cose del genere si dovrebbe gridare allo scandalo».
Prima ha citato il coraggio. Come lo definirebbe?
«Avere coraggio è avere una forza interiore, avere qualcosa in cui credere e avere la forza per affrontare le conseguenze delle proprie scelte. Una cosa che noto tantissimo nei bambini è che hanno un’enorme paura, hanno paura di tutto, perché vivono in un mondo che non è reale e che è pieno di cose orribili, nessuno dà loro una via per comprendere l’umano, e dunque sono in balia di un mondo spaventoso, hanno ragione ad avere ansia. Avendo per tanti anni insegnato arti marziali, poi, noto che c’è un calo della capacità di reggere le sfide fisiche che è vertiginoso: sia nella concentrazione sia nell’affrontare uno sforzo che può essere semplicemente correre quando non si è allenati, o sollevare un peso molto pesante. Ecco, i bambini tendono a pensare che non ce la faranno, rinunciano perché si sentono totalmente inetti davanti alla realtà. Tranne i bulli che ovviamente si sentono padroni del mondo».
Che cosa possono dare le arti marziali ai ragazzi di oggi?
«Credo che le arti marziali, così come lo scoutismo, siano due realtà che aiuterebbero moltissimo i genitori ad aiutare i bambini a trovare il centro di sé. Le arti marziali sono un modo per imparare a gestire lo spazio intorno a te. Tu sei consapevole del tuo corpo, sai dove sta, ti rendi conto di chi hai vicino, eccetera. Ti insegnano lo sforzo, lo sforzo anche oltre il tuo limite, perché tu devi superare il tuo limite per migliorare. Poi ti insegnano a usare la tua aggressività in modo controllato. Io credo che l’arte marziale classica, quella su base etica, dia una grandissima formazione ai bambini, e questa formazione li aiuta a crescere, perché nel momento in cui il fisico cambia anche la testa cambia. Purtroppo c’è un grande pregiudizio, perché si pensa che le arti marziali siano violente, siano qualcosa che istiga gli istinti peggiori. Ma credo che la rimozione dell’idea dell’aggressività sia uno dei grandi problemi alla base della nostra fragilità attuale, quella dei maschi prima di tutto. Io ho avuto fratelli maschi, sono cresciuta in un palazzo pieno di maschi: hanno una vitalità esplosiva, hanno un’aggressività anch’essa esplosiva, molto diversa da quella delle femmine in linea di massima. Adesso questa aggressività non si può più sfogare se non sulla tastiera e questo li fa implodere. Provate a sperimentare le arti marziali: imparare come si dà un pugno, migliorare la tecnica, significa stare nel reale, combattere con sé stessi».
Abbiamo terrore dell’aggressività e della violenza, le abbiamo combattute e in qualche modo rimosse a livello sociale. Salvo che poi ritornano fuori in maniera magari più mediata, sotto forma di violenza verbale (e talvolta anche fisica) e sono persino più diffuse di prima. Ovunque c’è rabbia che tracima.
«Certo, penso che i livelli di rabbia in questa società ormai siano altissimi e coinvolgono tutte le età, tutte le categorie. C’è un senso diffuso di impotenza e non si è imparato a gestire l’aggressività. Tutti noi abbiamo una grande energia che può salire dalla spina dorsale, è una cosa fisiologica. Con l’educazione e la cultura, la controlliamo. Ora parlato da zoologa: quando hai la mandibola contratta, in realtà hai bloccato l’istinto di mordere. Volevi mordere magari il tuo capo ufficio o qualcun altro. Ma non lo puoi fare, allora arriva la violenza verbale. La negazione dell’aggressività è una grande fragilità del nostro mondo, che la fa esplodere in maniere perverse, vedi i bulli. Fluidificare l’aggressività con un lavoro quotidiano aiuta a mantenere l’equilibrio in una società che è molto molto squilibrata».






