2018-04-11
Scoop della «Verità» sulle mazzette Rai: l’inchiesta va verso i rinvii a giudizio
Notifica di chiusura indagini per il giro di soldi, favori e appalti negli show della tv di Stato. Fu il nostro giornale a scoperchiarli. Le presunte bustarelle per pilotare gli appalti Rai del Festival di Sanremo 2013 e di molte trasmissioni della stagione 2010-2015 costano un'accusa di corruzione e turbativa d'asta ai 16 indagati dell'inchiesta. Le scoperte raccontate sulla Verità da Carlo Piano nei mesi scorsi, ora sono condensate in un documento giudiziario con il quale i magistrati della Procura di Roma chiudono i conti con David Biancifiori (soprannominato Scarface) e suo fratello Danilo, le cui società sono specializzate nella fornitura di gruppi elettrogeni, scenografie e regie mobili, e con la cricca che all'interno di Mamma Rai incassava regali e prebende. La Procura di Roma ha fatto notificare dagli investigatori della Guardia di finanza l'avviso di chiusura delle indagini preliminari: atto che, di solito, anticipa una richiesta di rinvio a giudizio. Al centro dell'indagine, nata dalle dichiarazioni di Orietta Petra, una dipendente che, oltre che aver denunciato un sistema di contabilità parallela, ha alzato il velo sulle relazioni e sugli sponsor istituzionali dei Biancifiori, in passato beneficiari di appalti perfino a Palazzo Chigi. Secondo la super testimone «il denaro contante con cui pagare le tangenti veniva prelevato dai fondi neri attraverso un vorticoso giro di fatture false» emesse a fronte di «prestazioni inesistenti o minusvalenti intercorse fra varie società del gruppo». E così è finito sotto accusa Domenico Gabriele Olivieri, responsabile del centro di produzione tv di Roma dell'emittente di Stato fino al 2012 e dopo vicedirettore della direzione produzione tv. Secondo l'accusa, ha incassato dai Biancifiori una mazzetta da 100.000 euro. In cambio, aiutato da Maurizio Ciarnò (responsabile dell'unità organizzativa Gesione grandi eventi), Stefano Montesi (responsabile della struttura Riprese esterne) e Cesare Quattrociocche (dipendente della struttura Acquisti e appalti), avrebbe favorito le imprese dei Biancifiori «concordando con loro», scrivono i magistrati, «le caratteristiche e i contenuti dei bandi di gara». Nei capitolati venivano così riportate le indicazioni tecniche delle strumentazioni che, coincidenza, combaciavano con le offerte delle ditte dei Biancifiori. In alcuni casi, invece, insieme alle somme in contanti arrivavano anche i buoni benzina. E così sono finiti nei guai anche Marco Lucarelli, Massimo Castrichella e Fausto Carboni, direttori della fotografia, che per compiere atti contrari ai doveri d'ufficio, sostiene l'accusa, avrebbero incassato 40.000 euro il primo e 20.000 (ciascuno) il secondo e il terzo. Altro appalto, altro affare: il service per le luci del palinsesto Rai stagionale dal 2010 al 2015. In questo caso, insieme alla Di Bi Technology Srl dei Biancifiori hanno partecipato altre società che, stando all'accusa, per garantirsi la spartizione avrebbero depositato nella sede della Di Bi Technology asegni di rilevante importo che sarebbero serviti a turbare la procedura di gara.I fatti contestati dalla Procura di Roma riguardano gli anni che vanno dal 2011 al 2014. La testimone però era partita da lontano, raccontando anche retroscena legati ad alcuni appalti degli anni precedenti, a partire dal 2008, coperti probabilmente dalla prescrizione e forse per questo non presenti nell'avviso di conclusione delle indagini preliminari. In un'intervista alla Verità, la testimone aveva spiegato che il pagamento delle tangenti fosse per l'imprenditore «un fatto normale nella sua politica aziendale». Biancifiori, assicurava la donna, «ha sempre pagato tutti, privati e pubblici, e sollecitava accordi corruttivi pur di portare a casa i risultati (..) se ne faceva quasi un motivo di vanto». Era stato lo stesso Biancifiori ad ammetterlo, con queste parole, davanti ai magistrati: «Se posso usare un'immagine, la Rai è un resort a cinque stelle, dove gli ospiti invece di pagare vengono pagati. Dico questo perché, sebbene la Rai abbia tutta la filiera produttiva, con maestranze e mezzi di ottimo livello, quando vengono prodotti eventi in genere lo showman porta dietro regista e scenografo, tagliando fuori le maestranze interne, con significativi profili di costo. Poi costoro, nella fase di elaborazione delle gare, contattano il fornitore di service, come nel mio caso, per imporgli l'acquisto di strumenti tecnologici che poi sono indicati nei bandi di gara o che comunque generano nella scelta la preferenza di uno piuttosto che di un altro dei fornitori». Biancifiori accettava. E, stando all'accusa riassunta nel documento giudiziario firmato dal pubblico ministero Giorgio Orano, ricompensava gli amici che l'avevano favorito. Il sistema, insomma, era ben oliato. E ha funzionato finché una stretta collaboratrice di Biancifiori, Pamela Oliva (indagata anche lei), è scivolata sulla buccia di banana, passandole una chiavetta usb con alcuni documenti che le sarebbero serviti per un lavoro. Nel supporto informatico, però, la sbadata collaboratrice aveva lasciato una cartella che raccoglieva nomi, cognomi e importi delle presunte tangenti. Ovviamente la testimone ha consegnato tutto ai magistrati. E quando la Oliva se ne è accorta la frittata ormai era fatta.
Nel riquadro: Mauro Micillo, responsabile Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo (Getty Images)
L'ex procuratore di Pavia Mario Venditti (Ansa)
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