2021-11-18
Rai, Conte asfaltato minaccia lo sciopero M5s
Da sinistra: Monica Maggioni, Gennaro Sangiuliano e Simona Sala (Ansa)
L'ad Antonio Fuortes propone i direttori dei telegiornali: Monica Maggioni dopo i flop al Tg1, al Tg2 conferma di Gennaro Sangiuliano, Simona Sala al Tg3. I grillini non toccano palla e Giuseppi può solo frignare: «Lottizzazione, non andremo più in tv». Oggi in cda non si escludono sorprese. «Ha avuto la pazienza di un vietcong». A viale Mazzini nessuno è sorpreso; dopo tre anni e mezzo di mimetizzazione nella giungla dorata del settimo piano, Monica Maggioni è uscita allo scoperto e non ha fatto prigionieri. Era stata impalpabile direttrice di Rainews nell'era lettiana, poi impalpabile presidente nell'era renziana, infine conduttrice di Settestorie dall'impalpabile audience nell'era contiana. Insuccessi che dentro la Rai dei paradossi sono un trampolino di lancio per la poltrona più ambìta: quella di direttrice dell'ammiraglia dell'informazione, il Tg1. L'ad Antonio Fuortes ha proposto lei, la signora milanese con ferrei agganci a sinistra che sdoganò la parola embedded (incorporato) durante la guerra del Golfo. E se oggi nel cda di Napoli non ci saranno clamorose sorprese, sarà anche la prima donna a guidare la corazzata da cinque milioni di spettatori. Lo farà al posto di Antonio Carboni, baluardo del Movimento 5 stelle spazzato via dalle mosse di Mario Draghi, che attraverso il suo capo di gabinetto, Antonio Funiciello, ha guidato la tornata di nomine con il manuale Cencelli in mano, bypassando i vertici aziendali e scendendo a patti con quasi tutti i partiti. Il «quasi» riguarda Giuseppe Conte, tagliato fuori dalle designazioni e preso a schiaffi anche dentro il servizio pubblico. Quindi Maggioni al Tg1, Gennaro Sangiuliano confermato al Tg2, Simona Sala al Tg3, Alessandro Casarin confermato al Tgr, Alessandra De Stefano a Raisport, Andrea Vianello al Giornale radio al posto della Sala e, per concludere il domino, Paolo Petracca a Rainews24 al posto di Vianello. Lo scacco matto ai grillini ha il potere di mandare su tutte le furie Conte, che dopo tre anni si ritrova senza una scrivania amica sulla quale far atterrare le veline di Rocco Casalino. La sua reazione è feroce: «Fuortes non libera la Rai dalla politica ma ha scelto di esautorare una forza politica come il M5s. Siamo alla degenerazione del sistema, alla conferma della lottizzazione interna. Per questo il Movimento non farà più sentire la sua voce sui canali del servizio pubblico, ma altrove». Dopo aver utilizzato nel modo più pervasivo il potere mediatico televisivo durante la pandemia, l'ex premier scopre che basta poco per passare dalle stelle alle stalle. E che nella Rai gauchiste per antica tradizione, i parvenu possono ballare una sola (mezza) stagione. Si consolerà con gli studi de La7, dépendance della villa di Beppe Grillo. Mentre il suo rivale interno Luigi Di Maio sceglie il silenzio governativo (ormai è appiattito su Draghi anche per la scelta dell'aperitivo), Matteo Renzi gongola. Il suo 3% scarso funziona sempre. «La posizione grillina dimostra che non bisogna avere piani segreti per distruggere i 5 stelle: basta lasciar fare a Conte. Un anno fa mandava veline e immagini al Tg1, oggi annuncia che non andranno più in tv. È stato bello, grazie di tutto. In momenti come questo, un pensiero torna alla mente: sì ne valeva la pena». Altezzosa e fumantina, Maggioni era la sua presidente, scelta nella stagione di Antonio Campo Dall'Orto direttore generale e di Carlo Verdelli presunto genio della lampada. Proprio il giornalista, silurato dopo un paio d'anni, le ha riservato parole al veleno nel suo libro Roma non perdona. «In uno degli ultimi cda, dopo un paio d'ore di assalti, chiesi di uscire un attimo e feci per alzarmi dalla sedia dell'imputato. La presidente mi fulminò con lo sguardo: “Scusa Verdelli ma che fai, esci così?". Sussurrai “bagno". E lei severissima: “Prima si deve avere il via libera da chi presiede. Vai vai". Solo alle elementari». Oggi a Napoli i nomi saranno votati dal consiglio d'amministrazione a maggioranza (quattro su sette). Per galateo istituzionale il proponente Fuortes dovrebbe astenersi; se non lo facesse, proprio il governo delle regole ne infrangerebbe una. Per questo un minimo di incertezza su qualche nome rimane; in Rai gli sgambetti non sono mai da escludere. Al di là dello shock grillino, però sembrano tutti contenti. Il centrosinistra esce vincitore come sempre, il centrodestra ha visto confermare direttori graditi, il sindacato Usigrai è stato accontentato con le «scelte interne» al posto di costose assunzioni da fuori. Fuortes sarebbe anche andato a pescare sul mercato (Sarah Varetto, Barbara Stefanelli), ma dopo sei mesi l'ad conferma di essere ancora pesce fuor d'acqua in un'azienda complicata come mamma Rai. Sulle nomine non ha toccato palla, le ha decise Palazzo Chigi concordandole con i partiti e lui si è trovato con il pacchetto preconfezionato. Giocando sul suo passato teatrale, nei corridoi di Saxa Rubra comincia a diffondersi una battuta: «Dall'uomo Fuortes al fantasma dell'opera». Nascosta dalla chioma rossa della Maggioni e dal polverone sollevato da Conte, è passata inosservata la nomina più importante: quella dell'evergreen Mario Orfeo (in quota Pd) da numero uno del Tg3 a direttore del settore trasversale Approfondimenti. Sarà lui a supervisionare i programmi più delicati: Report, Porta a Porta, Presa diretta. Poiché le polemiche passano da lì, serviva un semaforo rosso.