2024-04-03
Radio Radicale silura lo speaker «scomodo»
La sede di Radio Radicale a Roma (Ansa). Nel riquadro Giorgio Kadmo Pagano
La storica testata (che incassa fondi pubblici dallo Stato) ha soppresso la trasmissione del giornalista Giorgio Kadmo Pagano poco prima di affrontare il tema dell’obbligo vaccinale. Il conduttore: «L’emittente non era a favore della libertà di pensiero?».«Collaboro con Radio Radicale dal 1976, andavo in onda dopo Marco Pannella, ma ormai mi sembra che qui di radicale non ci sia più niente». Giorgio Kadmo Pagano guida da anni l’associazione Era. È, o meglio è stato, una voce storica dell’emittente radicale, con una presenza settimanale al microfono. Si definisce un decano e non ha tutti i torti. Ma la sua trasmissione intitolata Translimen è stata chiusa in modo abbastanza inconsueto.A darne notizia è stata la casa editrice Arianna, che ha pubblicato Sospesa, libro di grande successo firmato da Raffaella Regoli di Fuori dal coro. «Come forse alcuni di voi già sapranno», si legge sulla pagina Facebook dell’editore, «il 4 febbraio 2024 sarebbe dovuta andare in onda su Radio Radicale la puntata di Translimen in cui veniva intervistata Raffaella Regoli sull’obbligo vaccinale considerato illegittimo e in violazione dei diritti dell’uomo e sul golpe globale sanitario a cui sta lavorando l’Oms. La trasmissione non è stata mandata in onda e alla richiesta di spiegazioni da parte dello storico conduttore Giorgio Kadmo Pagano ne è stata comunicata la chiusura».Sentito dalla Verità, lo speaker conferma questa versione dei fatti. La puntata con l’intervista alla Regoli, già registrata, non è mai stata trasmessa. «Ho chiesto spiegazioni», spiega Giorgio Kadmo Pagano, «e dopo due giorni mi arriva una Pec dalla direttrice in cui mi si dice che non ci sarà più la rubrica che ho tenuto per anni. Certo, qualche volta lo spazio è cambiato, è stato mutato l’orario, ma ho avuto questa rubrica per decenni. Anche perché io non sono soltanto una figura giornalistica, mi sono occupato per anni di una associazione di area radicale... Da quel che capisco si sono voluti privare di una voce libera e di un collaboratore storico, anche perché a Radio Radicale non è che ci siano voci più antiche delle mie... Per altro sono tra la figure che non stanno nel libro paga, dunque a maggior ragione mi sembra una scelta incredibile». A quanto sembra, i rapporti del conduttore con l’emittente erano in corso di deterioramento già da un po’, più o meno dall’inizio della pandemia, quando Giorgio Kadmo ha iniziato a mostrare un atteggiamento critico sulle scelte governative. «È evidente che eravamo di fronte a una dimensione di terrorismo sanitario incredibile, in cui la popolazione veniva trattata come sappiamo», commenta oggi lo speaker. A suo dire, da lì sono iniziati i guai. Anche perché la sua critica non si è fermata al Covid, ma si è allargata anche al modo in cui è stata affrontata la guerra in Ucraina. «Prima che la puntata andasse in onda», dice, «veniva trasmesso un annuncio, il quale in sostanza comunicava che la trasmissione non rispecchiava la linea editoriale di Radio Radicale. Ecco, a me risultava che il motto fosse “Conoscere per deliberare”, quello che è scritto sotto la testata della radio. Ma a quanto pare mi sbagliavo».In effetti il fatto che un collaboratore venga messo a tacere in questo modo appare parecchio discutibile, anche perché il mondo radicale ha sempre puntato molto sulla libertà totale di pensiero e di espressione. Ma qui emerge una delle più patenti contraddizioni esplode con il Covid: coloro che sono pronti a pretendere libertà assoluta di gestione del corpo quando si tratta di eutanasia e aborto, non appena si passa a parlare di vaccino mostrano un po’ troppe titubanze e sono pronti ad accettare restrizioni e discriminazioni. Lo stesso vale per la circolazione delle opinioni: sono tutte ammesse a patto che non disturbino il manovratore. Abbiamo provato a rivolgerci all’emittente per chiedere spiegazioni sulla linea, la chiusura di Translimen e l’interruzione della collaborazione con Giorgio Kadmo, ma non abbiamo ottenuto risposta. Resta chiaro: il direttore di una testata fa quello che vuole, e ha diritto di decidere in autonomia se un collaboratore debba o meno rimanere tale. In questa vicenda, però, ci sono di mezzo questioni di coerenza e non solo. Come noto, infatti, Radio Radicale riceve un bel po’ di soldi pubblici. Secondo alcuni calcoli, dal 1990 avrebbe ricevuto oltre 300 milioni di euro. Alcuni di questi denari arrivano grazie a una convenzione (risalente addirittura al 1994) fra l’emittente e le istituzioni per la trasmissione delle sedute del Parlamento. Nel 2019 ci fu un lungo dibattito pubblico sull’opportunità di interrompere i rapporti, ma alla fine la radio fu salvata e risulta che anche di recente le convenzioni siano state riconfermate. Sarebbe interessante sapere dalla viva voce dei responsabili dell’emittente se le scelte editoriali siano in qualche modo state condizionate da questa situazione di dipendenza dalle casse pubbliche.Per chi scrive, vale la pena di specificarlo, non è affatto un problema l’idea che lo Stato spende soldi per garantire la pluralità dell’informazione, anzi. Ma questa pluralità deve essere realmente garantita, altrimenti il sostegno statale diviene finanziamento alla propaganda e niente altro.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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