2022-03-17
Alle radici dell'odio fra Russia e Ucraina: i massacri sovietici del 1941
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Una cerimonia commemorativa vicino al monumento alle vittime dell'Holodomor, carestia che flagellò l'Ucraina tra il 1932 e il 1933 e che causò più di cinque milioni di morti (Ansa)
Quando la Germania invase l’Unione sovietica, Mosca decise di liquidare tutti i prigionieri politici rinchiusi nelle carceri. In pochi giorni, decine e decine di migliaia di persone furono assassinate nei modi più brutali, soprattutto in Ucraina.Alle origini della guerra in corso in questi giorni non ci sono solamente le complesse vicende che hanno visto Ucraina e Russia ai ferri corti negli ultimi 8 anni, ma anche questioni storiche sedimentate nell'immaginario e nelle memorie nazionali. Si parla spesso dell'Holodomor, cioè della terribile carestia indotta che flagellò l'Ucraina tra il 1932 e il 1933, causando diversi milioni di morti. Meno noti sono i massacri avvenuti nel corso della seconda guerra mondiale per mano dell'Nkvd, il Commissariato del popolo per gli affari interni dell'Unione sovietica. Parliamo di decine e decine di migliaia di uccisioni, spesso avvenute nei modi più brutali, nell'arco di poche settimane. Per quanto massacri simili siano avvenuti nello stesso periodo in Polonia, Estonia, Lituania e Bielorussia, la maggior parte di queste stragi avvennero nei territori dell'Ucraina. Nell'aprile 1940, l'Nkvd aveva iniziato ad arrestare migliaia di persone, inclusi i familiari di coloro che erano stati precedentemente condannati, nonché medici, ingegneri, avvocati, giornalisti, artisti, professori universitari, insegnanti, commercianti e benestanti agricoltori. Molti di loro furono immediatamente deportati, altri vennero rinchiusi nelle carceri politiche. Si stima che quasi 140.000 prigionieri politici fossero detenuti nelle carceri dei territori occupati dai sovietici alla vigilia dell'operazione Barbarossa. Quando, il 22 giugno 1941, la Germania invase l'Unione sovietica, Mosca emanò l'ordine di evacuazione numero 00803, secondo il quale tutti i prigionieri politici dovevano essere liquidati. Ovvero uccisi sul posto o costretti a terribili marce della morte che, di fatto, si limitavano a procrastinare di qualche giorno la morte certa. Già il 23 giugno, nell'Ucraina occidentale l'Nkvd iniziò a giustiziare i prigionieri, indipendentemente dal fatto che fossero stati incarcerati per reati gravi o stessero semplicemente aspettando di essere interrogati. Difficile calcolare l'esatto numero delle uccisioni, anche perché, poco dopo che i sovietici se ne furono andati, sul posto arrivarono i tedeschi, che poi enfatizzarono molto quei massacri. Sull'argomento, del resto, la storiografia contemporanea non ha prodotto che balbettamenti, a confronto della mole di studi prodotta su altri drammi storici. Si parla comunque di circa 9.000 vittime in Ucraina e di 20-30.000 morti nella Polonia orientale (ora parte dell'Ucraina occidentale). In pochissimi giorni (poco più di una settimana) furono uccise circa 40.000 persone, ma il totale delle vittime potrebbe arrivare fino a 100.000.Ecco un elenco sommario dei massacri compiuti in Ucraina:- A Berezany, vicino a Ternopil, tra il 22 giugno e il 1 luglio vennero uccisi circa 300 cittadini polacchi, tra cui un gran numero di ucraini.- A Donetsk, uccisioni non meglio quantifiocate nell'area di Rutchenkovo.- A Dubno (nella Polonia prebellica), tutti i prigionieri nella prigione a tre piani, comprese donne e bambini, furono sono stati colpiti a colpi di arma da fuoco o pugnalati con le baionette mentre dormivano.- A Ivano-Frankivsk (Stanislawów nella Polonia prebellica), oltre 500 prigionieri polacchi (tra cui 150 donne con dozzine di bambini) furono fucilati dall'Nkvd e sepolti in diverse fosse comuni.- A Kharkiv 1.200 prigionieri furono bruciati vivi.- A Lutsk, i prigionieri furono mitragliati dai carri armati sovietici, poi i sopravvissuti furono costretti a seppellire i morti, dopodiché anche loro furono assassinati. La stima varia da 1.500 a 4.000 morti.- A Leopoli, migliaia di prigionieri furono uccisi con granate lanciate nelle celle o fatti morire di fame nelle cantine. Si stima che oltre 4000 persone siano state uccise in questo modo. - A Sambir 570 uccisi.- Massacri analoghi ci furono anche a Sinferopoli e Yalta.Un dato che colpì molto i testimoni che ritrovarono i cadaveri era dato dalle numerose mutilazioni e dai segni di tortura presenti sui corpi: tracce di sadismo che avevano poco a che fare con la «necessità tecnica» di sbarazzarsi di prigionieri politici «ingombranti» durante una ritirata bellica. «Non è solo il numero dei giustiziati», ha scritto lo storico Yury Boshyk, «ma anche il modo in cui sono stati uccisi a scioccare la popolazione. Quando le famiglie degli arrestati si precipitarono nelle carceri dopo l'evacuazione sovietica, rimasero inorridite nel trovare corpi così gravemente mutilati che molti non potevano essere identificati. Era evidente che molti dei prigionieri erano stati torturati prima della morte».La scena dell'ingresso dei soldati tedeschi a Lutsk è stata descritta nel celebre romanzo Le Benevole, di Jonathan Littell, vincitore del prix Goncourt nel 2006, storia di fantasia ma ben ancorata ai fatti storici e non certo accusabile di indulgenza nei confronti del Terzo Reich: «Una puzza immonda mi colpì la faccia appena varcata la porta. Non avevo un fazzoletto e mi premetti un guanto sul naso per cercare di respirare. “Prenda questo, – mi propose lo Hauptmann dell’Abwehr porgendomi un pezzo di stoffa inumidito, – un po’ aiuta”. In effetti un po’ aiutava, ma non abbastanza; avevo un bel respirare dalla bocca, l’odore mi riempiva le narici, dolce, greve, nauseante. Deglutii convulsamente per trattenere il vomito. “La prima volta?”, domandò piano lo Hauptmann. Abbassai il mento. “Si abituerà, – continuò, – ma mai del tutto, forse”. Lui stesso stava diventando livido, ma non si copriva la bocca. Avevamo attraversato un lungo corridoio a volta, poi un cortiletto. “Da quella parte”. I cadaveri erano ammonticchiati in una grande corte lastricata, in cumuli disordinati, sparsi qua e là. Un immane, ossessivo ronzio riempiva l’aria: migliaia di grosse mosche blu svolazzavano sui corpi, sulle pozze di sangue, di materia fecale. Gli stivali mi si appiccicavano al lastricato. I morti si stavano già gonfiando, osservai la loro pelle verde e giallastra, i volti informi, come di gente presa a botte. L’odore era immondo; e quell’odore, lo sapevo, era l’inizio e la fine di tutto, il significato stesso della nostra esistenza. Quel pensiero mi rivoltò lo stomaco. Gruppetti di soldati della Wehrmacht muniti di maschere antigas tentavano di districare i cumuli per allineare i corpi; uno di loro tirava un braccio, che si staccò e gli rimase in mano; lo buttò su un altro mucchio con gesto stanco. “Ce ne sono piú di mille, – mi disse l’ufficiale dell’Abwehr, quasi mormorando. – Tutti gli ucraini e i polacchi che tenevano in carcere dall’invasione in poi. Abbiamo trovato donne, perfino bambini”. Volevo chiudere gli occhi, o coprirli con una mano, e al tempo stesso volevo guardare, guardare a sazietà e tentare di comprendere con lo sguardo quella cosa incomprensibile, lì, davanti a me, quel vuoto per il pensiero umano».