2021-12-30
Quelli che dicevano «Chi ci segue è salvo» ora ordinano pure di ubbidire in silenzio
Fabrizio Pregliasco (Ansa)
Il governo che prometteva libertà e salute ha fallito. Gli esperti però invitano a non lamentarsi per le code e per le feste rovinate.È molto nota la triste vicenda del medico ungherese Ignác Semmelweis (1818-1865), passato alla storia come «il salvatore delle madri». Aveva scoperto l’importanza della disinfezione delle mani per la lotta alla febbre puerperale, ma la sua teoria fu ferocemente osteggiata da colleghi che si ritenevano gli unici depositari della «verità scientifica». Semmelweis finì i suoi giorni in manicomio, ucciso dalla setticemia. Solo anni dopo la sua morte la comunità scientifica riconobbe che aveva ragione. Storia nota, certo, ma forse non abbastanza. È utile, ogni tanto, richiamarla alla mente, perché insegna - come scrisse il filosofo Dario Antiseri - che il metodo scientifico consiste nel «tenere in stato d’assedio ogni teoria controllabile». La storia della scienza, spiegava Antiseri, è «un antidoto al dogmatismo», a darle forma è «l’etica della verità, non quella del potere». Il metodo scientifico «ci insegna a riconoscere gli errori e ad apprezzarli per migliorarci», ed è spesso grazie agli errori che gli studiosi riescono a fornire risposte. Ammoniva però Antiseri: «Non si danno risposte se non si pongono domande». Purtroppo, per molto tempo, da queste parti porre domande è stato impossibile. Chi osava farlo veniva trattato come Semmelweis, o peggio: insultato, deriso, messo a tacere in nome della «verità scientifica». Una verità farlocca (era chiaro sin dal principio) che ora si sgretola miseramente fra le mani dei Santoni del virus: esperti, commentatori, opinionisti e profeti assortiti al servizio della Cattedrale Sanitaria. Perfino oggi, benché in stato confusionale, costoro rifiutano di ammettere gli errori. Non volendo riconoscere il clamoroso fallimento, si nascondono dietro l’arroganza: «La scienza procede per tentativi ed errori», ripetono, «sciocco chi pensa il contrario». Eppure, nei mesi scorsi, i predicatori non sembravano così pronti a «tenere in stato d’assedio ogni teoria». Anzi, esalavano sicurezza e sicumera. Non solo i virologi: anche e soprattutto i politici. Adesso vogliono farci credere di aver sempre saputo che il green pass non sarebbe stato sufficiente (per usare un eufemismo) a fermare il virus. Ma le loro dichiarazioni sono lì a dimostrare il contrario. Lo hanno messo perfino in Gazzetta Ufficiale, il 21 settembre. Motivando la «straordinaria necessità e urgenza di estendere l’obbligo di certificazione verde nei luoghi di lavoro pubblici e privati», sostenevano che essa sarebbe servita a «tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori». Sì è visto. Qualche tempo prima, presentando al popolo il passaporto verde, Mario Draghi in persona affermò che «il green pass è una misura con la quale i cittadini possono continuare a svolgere attività con la garanzia di ritrovarsi tra persone che non sono contagiose». Già, ha offerto proprio una bella «garanzia». Andiamo avanti? Pierpaolo Sileri prometteva: «A Natale saremo liberi dalle restrizioni grazie al green pass». In agosto, Roberto Speranza appariva di granito: «In questa fase, la scelta del governo è investire sul pass per evitare chiusure e tutelare la libertà». A metà settembre, Giancarlo Giorgetti ribadiva il concetto, chiarendo che il tesserino serviva «non a limitare la libertà, ma ad aumentare la libertà e l’incontro». Mesi dopo, Enrico Letta non tentennava: «Più sicurezza vuol dire più libertà. Il governo ha fatto la scelta giusta. Queste decisioni ci consentono di non essere nella situazione tragica che c’è in Germania e in Austria». Davvero ora vogliono farci credere di aver sempre saputo che il green pass non avrebbe offerto garanzie o protezione totale? Su, non scherziamo. Pensate: ancora oggi, nella pagina ufficiale del governo dedicata alla tesserina si legge, testuale: «La certificazione verde Covid-19 facilita i viaggi in Europa. Nel nostro Paese rende più sicuri i cittadini al lavoro, a scuola e in molte attività quotidiane». Ovviamente, i media allineati hanno dato una grossa mano alla propaganda. Non si contano titoli, commenti, editoriali e interviste a sostegno della tesi «green pass uguale sicurezza e libertà». Giusto per dare l’idea citiamo l’imperioso attacco di un editoriale di Repubblica del 17 luglio: «La porta per la libertà è il vaccino ma la chiave per spalancare quella porta è il green pass». Commovente. Certo, potremmo attribuire tutto ciò all’umana debolezza, dimenticare e passare oltre. Ma non possiamo farlo, perché la Cattedrale Sanitaria non ce lo permette. I suoi adepti, gallonati di menzogne, insistono a pretendere che noi si stia zitti, che si obbedisca senza fare domande. La nuova direttiva è: «Italiani, non rompete». Lo ha chiarito bene il generale Figliuolo: tocca far la fila per i tamponi? La fate anche per il Black friday, dunque non lamentatevi e armatevi di pazienza. Il simpatico concetto balenava ieri pure nell’editoriale di Elena Stancanelli su Repubblica. La scrittrice spiegava che, in tempi di cenoni, «non è il tampone che ci salverà, ma la distanza. […] È la responsabilità bellezza, ed è un’enorme scocciatura. Non ci sono sconti e non ci sono soluzioni diverse». Analoga solfa sul Corriere della Sera, con i consigli per Capodanno ispirati da sua eminenza Fabrizio Pregliasco: non più di dieci ospiti, un metro di distanza, finestre spalancate. Niente baci a mezzanotte («vanno proscritti»), proibiti balli e trenini: «Bisogna farsene una ragione». Capito? Non lagnatevi e deglutite. Mesi fa bisognava avere «senso civico» e accettare il pass; ora per lo stesso motivo bisogna accettare che il green pass non funzioni (per Pregliasco è un «pannicello caldo»). E potremmo perfino accettarlo. Potremmo far cadere tutte le castronerie nell’oblìo e ritornare alla solita vecchia ricetta (finestre aperte e distanza). Potremmo farlo se la Cattedrale Sanitaria, constatata la debacle, eliminasse il green pass. E invece no: invece il tesserino resta, e c’è pure qualche zelota che vorrebbe affiancarlo all’obbligo vaccinale. È il caso del «sincero liberale» Carlo Alberto Carnevale Maffè, per cui l’obbligo «non è da considerarsi tema di opinioni soggettive»: va applicato e basta. Chi contesta non deve avere «potere di negoziazione»: taccia e obbedisca. Perché il metodo scientifico funziona per tentativi ed errori, ma «La Scienza» funziona diversamente: per diktat e ideologia. E se non vi piace, fatevi il Capodanno in manicomio con Semmelweis.
Jose Mourinho (Getty Images)