2024-11-16
«Quel quadro è antisemita». Indegno processo al pittore. Muti i paladini della libertà
Giovanni Gasparro (Facebook)
Per il suo «Martirio di San Simonino» Giovanni Gasparro deve rispondere di odio razziale. L’artista respinge le accuse. E chi considera Raimo un perseguitato fischietta.Un ampio dispiegamento di forze di polizia: decine di agenti, scorte e cani hanno «blindato» giovedì, così scrivono i giornali locali, il tribunale di Bari. Forse si stava processando un pericoloso criminale, un mafioso o un assassino? No, lo spettacolo è stato allestito per il processo di un pittore. Per inciso, uno degli artisti più straordinari che l’Italia possegga, un quarantenne che emerge dalla massa dei creativi fabbricati in serie per donare al pubblico opere di meravigliosa bellezza. Dipinti di potente e angosciante realismo, più che mai attuali anche se potrebbero appartenere a un altro tempo. Un occhio inesperto potrebbe scambiare le sue meraviglie per quadri firmati da qualche antico maestro sconosciuto, eppure Giovanni Gasparro è saldamente collocato nel presente e ora suo malgrado precipita anche nella cronaca. Sta infatti affrontando un procedimento per propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa. A costituirsi parti civili sono stati la Comunità ebraica di Roma e il suo rabbino capo, Riccardo Di Segni, insieme con l’Unione delle Comunità ebraiche italiane, le quali non hanno gradito - udite bene - un dipinto di Gasparro.Come si legge nelle carte del processo, il pittore è finito davanti al giudice «per avere propagandato idee fondate sull’odio razziale antisemita, pubblicando sul proprio profilo Facebook in data 24.3.2020 numeto 21 foto della propria opera pittorica denominata Martirio di San Simonino da Trento per omicidio rituale ebraico. Opera che riproduce l’omicidio di un bambino di Trento detto Simonino, misteriosamente scomparso la notte del 23.3.1475 e ritrovato morto 30 giorni dopo con una ferita sanguinante al costato, afferrato e circondato da membri della locale comunità ebraica, intenti a raccogliere in una bacinella il sangue della ferita del bambino, sangue da utilizzare, secondo la credenza, per scopi magici e religiosi. Opera che immortala la credenza antisemita della cosiddetta accusa del sangue e degli omicidi rituali, secondo la quale gli ebrel si sarebbero resi autori di sacrifici di bambini cristiani». Potremmo anche chiuderla qui: che un artista venga accusato di fomentare l’odio razziale con un dipinto è letteralmente incredibile. Assistiamo quasi ogni settimana alla pubblicazione sui giornali di opere presunte trasgressive che giocano con l’iconografia religiosa e la dissacrano, eppure non accade nulla di lontanamente paragonabile a ciò che sta accadendo a Gasparro. Anzi, in alcuni casi sono le stesse istituzioni cattoliche a ospitare mostre che a molti fedeli appaiono blasfeme. Qui, invece, siamo all’apogeo della cosiddetta «cultura della cancellazione»: si trascina in tribunale un artista di enorme valore, il quale per altro si tiene giustamente lontanissimo da diatribe politiche di ogni fattura. Gasparro da tempo riceve insulti e minacce, anche di morte come accaduto quando, non molto tempo fa, gli è stato chiesto di realizzare il drappellone d’oro del Palio di Siena. E, cosa stupefacente, è addirittura la seconda volta che si trova al centro di una azione giudiziaria per via del suo dipinto, sempre quello. Come spiega lo stesso artista, «il gip del tribunale di Milano, a seguito di una querela sporta dalla Fondazione Centro di documentazione ebraica e dall’Associazione italiana giuristi e avvocati ebrei del capoluogo lombardo, in accoglimento della richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero, con ordinanza del 25 marzo 2022, ha archiviato, per infondatezza della notizia di reato, il procedimento incardinatosi a mio carico, per il reato di cui all’art. 604 bis del codice penale in riferimento alla pubblicazione dell’opera denominata Martirio di San Simonino da Trento». Non solo, il procedimento è stato archiviato (a Milano), ma in quella occasione il giudice ha ritenuto «la condotta del Gasparro non rilevante penalmente, ma libero esercizio del diritto di espressione dello stesso». Di più: nell’ordinanza è specificato che «la diffusione via Internet dell’opera non può ritenersi condotta istigatrice dell’odio razziale o etnico, ma rilevante solo dal punto di vista estetico, non rivestendo rilievo informativo», e si spiega che il dipinto non può considerarsi antisemita a prescindere dalla verità storica dell’episodio a cui fa riferimento. A Bari, tuttavia, Gasparro è stato rinviato a giudizio, e gli si contesta anche la pubblicazione della sua opera sui social network. Mostrando il dipinto su Facebook, sostiene l’accusa, l’artista avrebbe postato commenti che avrebbero poi alimentato una ondata di odio virtuale. A ben vedere, Gasparro si è limitato a difendere il suo lavoro citando un altro caso clamoroso di censura: quello avvenuto nel 2007 ai danni dello storico ebreo Ariel Toaff. Quella vicenda ormai è caduta nel dimenticatoio ma è una pagina piuttosto nera della cultura italiana. Toaff - studioso stimato che insegnava in Israele - pubblicò un libro intitolato Pasque di sangue per l’editore il Mulino, nel quale si trattava anche del caso di San Simonino da Trento. Lo storico fu immediatamente accusato di aver alimentato l’antisemitismo e di aver scritto fandonie che avrebbero ridato consistenza alla «accusa del sangue». In verità, come scrisse Franco Cardini, «il libro si guarda bene dall’affermare che gli assassinii rituali siano davvero avvenuti in questo o in quell’altro caso avvenuti: si limita a dimostrare come non si possa escludere che in qualche caso essi possano aver in effetti avuto luogo. Ariel Toaff non rovescia affatto il valore storico degli atti processuali», proseguiva Cardini. «Al contrario, ne ribadisce la problematicità quando s’intenda usarli come fonti storiche; dimostra che essi non possono esser certo usati come prova per affermare, ma neppure per negare con sicurezza. Sarebbe forse bastata una seria e generale presa d’atto di questo particolare per uccidere sul nascere la malapianta di tutta la malsana polemica». La polemica però esplose e tu terribile. Toaff subì pochissime contestazioni nel merito, fu massacrato dai giornali, dovette ritirare il libro (che fu ripubblicato tempo dopo, emendato) e rischiò di perdere il posto di lavoro all'università. Ora la storia si ripete con Gasparro, che però non ha nemmeno sostenuto chissà quale tesi sgradita: ha semplicemente avuto l’ardire di realizzare un dipinto, per altro riprendendo una iconografia ancora molto diffusa in tante città italiane. «Ovviamente rigetto lo stigma di antisemita», dice il pittore alla Verità. «L’ho esplicitato più volte e spero di poter dimostrare la mia innocenza in tribunale. Mi rammarico però che non ci siano voci che si indignino per un rinvio a giudizio dovuto a un dipinto». Già: benché Gasparro sia forse il più ispirato artista religioso (si passi la semplificazione) d’Europa, benché sia un artista di straordinario valore, il suo caso passa inosservato. Zitta la Chiesa, zitti gli intellettuali. Tacciono quelli che solo pochi giorni fa donavano soldi a Christian Raimo descrivendolo come un eroe perseguitato dal ministro Giuseppe Valditara. Tacciono i sedicenti difensori del libero pensiero.Si può pensare quello che si vuole di un artista, ma processare le opere è roba da regime. E se - in maniera sacrosanta - ci si indigna perché questo o quel giornalista vengono zittiti da qualche manifestante esaltato nelle università, a maggior ragione ci si dovrebbe sdegnare perché un dipinto viene accusato di diffondere odio. Dovremmo essere grati che qualcuno li guardi ancora, i dipinti.
Il giubileo Lgbt a Roma del settembre 2025 (Ansa)
Mario Venditti. Nel riquadro, da sinistra, Francesco Melosu e Antonio Scoppetta (Ansa)