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2020-05-21
Quanto M5s nei favori chiesti a Palamara...
Alessandro Di Battista (Ansa)
L'elenco dei personaggi che comunicavano via Whatsapp con Luca Palamara potrebbe riempire la tribuna autorità dello stadio Olimpico. E sino al maggio scorso essere nella sua agenda era un onore. Oggi è un po' come prendersi il Covid. Tra chi è rimasto infettato c'è anche uno dei più stretti collaboratori del premier Giuseppe Conte, Ermanno De Francisco, classe 1963, il capo del Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi (Dagl) di Palazzo Chigi. Le poche informazioni reperibili su di lui sono disponibili sui siti istituzionali e in qualche articolo di stampa.
Innanzitutto bisogna dire che è stato fortemente voluto dal premier e che l'atto con il quale è stato nominato capo del Dagl è del giugno 2018, quando nacque il gabinetto Conte. Se da una parte il nome di De Francisco è poco noto al grande pubblico (pur essendo già stato consigliere di Silvio Berlusconi); dall'altra, invece, è molto conosciuto negli ambienti della giustizia amministrativa. Prima della nomina di Conte, infatti, vestiva i panni di presidente di sezione del Consiglio di Stato. E prima ancora si era diviso tra un posto da vice commissario della polizia di e uno da ricercatore all'Università di Ferrara.
La svolta quando, nel 1997, vince il concorso per Palazzo Spada. Ed è ancora a Palazzo Spada quando, per ottenere notizie sui trasferimenti nella magistratura ordinaria, si rivolge allo stratega delle nomine Palamara. In particolare sembrava interessargli l'assegnazione del posto di procuratore aggiunto a Salerno. È il 10 dicembre 2017 quando de Francisco scrive a Palamara: «Ciao Luca, sono Ermanno De Francisco (consiglio di presidenza della giustizia amministrativa). Come ti avevo accennato martedì allo stadio, vorrei passare un attimo a trovarti domani in ufficio (cosa di cinque minuti)». Nel resto del testo comunica al suo interlocutore quali siano i suoi orari. Palamara risponde: «Carissimo Ermanno con grande piacere ci possiamo aggiornare per dopo le 17, ti chiamo io ad ora di pranzo un abbraccio a domani». Il giorno successivo l'appuntamento viene confermato. «Ermanno va bene per te alle 18?», gli scrive Palamara. «Sì, perfetto! Grazie. Fammi lasciare un passi alla portineria del Csm». Uno degli argomenti nel menù dell'incontro è forse ricavabile da un altro messaggio che De Francisco inviò, a distanza di un mese dal meeting, all'ex componente del parlamentino delle toghe. «Ciao Luca, a che punto siete con la vostra attività per la scelta del procuratore aggiunto di Salerno? […]». «Caro Ermanno ancora non abbiamo iniziato la trattazione», risponde Palamara, che subito dopo specifica: «Ti aggiorno prontamente, un caro saluto». Dai documenti non emerge altro. E il nome dell'aggiunto che stava a cuore al consigliere giuridico di Conte resta ignoto.
Ma tra i tecnici scelti dai 5 stelle De Francisco non è l'unico ad aver chattato con Palamara. Come anticipato dalla Verità, c'è anche Maria Casola, promossa un anno fa a capo del Dipartimento per gli affari di giustizia di via Arenula. Dopo una tornata di nomine il pm romano le scrive: «Ma in questa vicenda l'unico che poteva realmente aiutarti era uno solo. E io te l'avevo anche detto. Le correnti sono state tagliate fuori. Diba (Alessandro Di Battista, ndr) era l'unico. Come hanno fatto i 5s che hanno sostenuto Baldi e Basentini», ovvero Fulvio Baldi e Francesco Basentini, i due uomini scelti dal ministro Alfonso Bonafede come capo di gabinetto e come capo del Dap, prima delle loro sofferte dimissioni. D'altra parte, la Casola il Diba lo conosce davvero. I due frequentano la stessa parrocchia: Santa Chiara, che si trova in piazza dei Giuochi delfici, nella zona di Roma nord. Per Di Battista si tratta della chiesa di famiglia e qui è stato officiato il funerale della mamma di Alessandro lo scorso novembre. Lei è anche tra le fedeli più impegnate.
«Oltre a venire a messa», spiega alla Verità uno dei sacerdoti, «segue tanti progetti». Basta fare una ricerca su Google per scoprire che di attività la chiesa ne produce davvero tante. Come quella che risale al 20 gennaio 2008, quando venne organizzato un concerto il cui l'incasso venne devoluto a sostegno di progetti di sviluppo sul microcredito in Congo e in Guatemala. Iniziative seguite dalle associazioni Amka Onlus e Progetto continenti Onlus. Coincidenza: nel 2008 l'ex parlamentare grillino Di Battista lavorava per Amka.
Lui lo ha messo nero su bianco in una biografia online e la stessa associazione ce lo conferma: «Ha gestito campagne di sensibilizzazione e di raccolta fondi», afferma la responsabile stampa, «inoltre teneva corsi di volontariato internazionale per i giovani che volevano partire». Di Battista è anche partito per Congo e Guatemala con questi gruppi di volontari tra il 2007 e il 2010. E l'incontro con Amka avviene proprio in piazza dei Giuochi Delfici: «L'associazione, apartitica e laica», spiegano, «nasce su iniziativa di un gruppo di missionari della parrocchia che frequentava». E che frequenta. Come la Casola. Che, per un aiuto, però, invece di rivolgersi a Santa Chiara deve aver preferito Palamara.
Le toghe di «Autonomia» si indignano per trame che riguardano pure loro
Dopo Area, Magistratura indipendente e Unicost, anche la più giovane delle correnti della magistratura, quella di Autonomia e indipendenza, rompe il silenzio sulla seconda tornata dello scandalo Csm, quella sollevata dalla Verità: «Siamo nuovamente in presenza di fatti molto gravi che mostrano un sistema profondamente malato, intriso di favoritismi, clientele, distorte logiche di gruppo e interferenze politiche estranee alle fisiologiche dinamiche dell'autogoverno».
A&I cerca di offrire la sua interpretazione di ciò che ogni giorno salta fuori dai faldoni dell'inchiesta sul pm romano Luca Palamara. Una lettura che sembra poco interessata a rimettere tutto in discussione: «Si affaccia una linea difensiva basata sul tentativo di diluire le responsabilità di singoli o gruppi in un indistinto calderone, la strategia del siamo tutti uguali, nessuno escluso».
Come se con il secondo tempo dell'inchiesta qualcuno cercasse di cancellare il risultato del primo. La verità è che molte toghe speravano di aver sfangato lo scandalo Csm, che aveva fatto pagar pegno solo a una piccola fetta della magistratura. Ma le chat di Palamara non risparmiano nessuno. Neanche i magistrati di A&I, come Franca Amadori, giudice del Tribunale di Roma, che si rivolge a Barbara Sargenti, la pm che ha indagato sull'ex leader di An, Gianfranco Fini, e sui Tulliani, per ottenere il numero di telefonino di Palamara. E quando la Sargenti annuncia al collega la richiesta, questi risponde: «Noooooooo salvami tu!!!». Lei è in imbarazzo, ma non può dire di no alla collega. E spiega: «Se le dico che non ce l'ho non ci crede, giustamente... e se le dico che tu sei molto preso e che glielo giro solo a patto che non ti chiami e che mandi solo Whatsapp?». Alla fine il pm acconsente. La Amadori se ne infischia di Whatsapp e il 17 dicembre 2018 prova a chiamare più volte, senza ottenere una risposta. A quel punto scrive: «Ciao Luca, ho tentato di contattarti, ma senza successo. Volevo solo sapere se ci sono possibilità per la mia domanda (è la seconda volta che la presento, la prima fu nel 2012, cinque anni fa) per il massimario... azz....». Due giorni dopo scrive di nuovo: «Caro Luca, ho saputo di essere stata già proposta per la Corte d'appello, ma io non credevo che fossero così incredibilmente rapidi! Considerando che per il massimario ho presentato domanda a luglio e, dopo quasi sei mesi, ancora non hanno deciso nulla, pensavo di avere tempo». Poco dopo manda un altro messaggio: «Ora, io potrei presentare una revoca tardiva (i motivi non mancherebbero, per ragioni di servizio), ma vorrei farlo sapendo che ho qualche possibilità di andare al massimario». E ancora: «Non potresti aiutarmi a decidere?». La chat sembra un monologo. La Amadori continua: «Sai nulla?». Dopo il quarto messaggio Palamara risponde: «Cara Franca, per il massimario stanno discutendo, ma ancora non è stato deciso nulla». E lei: «Caro Luca, a me basterebbe sapere se mi hanno già estromessa, a prescindere. Così mi metto l'anima in pace e buonanotte. Non mi piace affatto la Corte d'Appello, ma il dibattimento mi piace ancor meno. Resterebbe, a questo punto, solo la funzione gip, che però non ho mai svolto e c'è chi dice che sia molto dura, mentre altri ne sono entusiasti. Non so che pensare... dammi un suggerimento, ti prego! Non ho voglia di andare in Corte...». Palamara sembra riuscire sempre a trovare le parole giuste: «Nessuno può essere estromesso a prescindere. Il gip, un ruolo impegnativo che però è in grado di dare grande autonomia». Ipse dixit.
Infine dalle chat di Palamara spunta anche il consigliere di A&I al Csm, Giuseppe Marra, che prima di essere eletto, aveva dato la sua solidarietà a Palamara, non appena si seppe dell'inchiesta che lo riguardava: «Caro Luca, ho letto le brutte notizie giornalistiche. Mi dispiace molto. Sono sicuro che ne uscirai presto a testa alta. Un abbraccio».
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Riduci
L'attuale consigliere per gli affari giuridici di Palazzo Chigi, Ermanno De Francisco, fortemente voluto dal premier, nel 2017 invocò la mano del pm. Stessa cosa che fece Maria Casola (Dag), legata a «Dibba» poiché frequentano la stessa parrocchia.La corrente Autonomia scrive un comunicato per bollare come inopportuni intrecci e pressioni. Però c'era anche una associata della sigla.Lo speciale contiene due articoli. L'elenco dei personaggi che comunicavano via Whatsapp con Luca Palamara potrebbe riempire la tribuna autorità dello stadio Olimpico. E sino al maggio scorso essere nella sua agenda era un onore. Oggi è un po' come prendersi il Covid. Tra chi è rimasto infettato c'è anche uno dei più stretti collaboratori del premier Giuseppe Conte, Ermanno De Francisco, classe 1963, il capo del Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi (Dagl) di Palazzo Chigi. Le poche informazioni reperibili su di lui sono disponibili sui siti istituzionali e in qualche articolo di stampa.Innanzitutto bisogna dire che è stato fortemente voluto dal premier e che l'atto con il quale è stato nominato capo del Dagl è del giugno 2018, quando nacque il gabinetto Conte. Se da una parte il nome di De Francisco è poco noto al grande pubblico (pur essendo già stato consigliere di Silvio Berlusconi); dall'altra, invece, è molto conosciuto negli ambienti della giustizia amministrativa. Prima della nomina di Conte, infatti, vestiva i panni di presidente di sezione del Consiglio di Stato. E prima ancora si era diviso tra un posto da vice commissario della polizia di e uno da ricercatore all'Università di Ferrara.La svolta quando, nel 1997, vince il concorso per Palazzo Spada. Ed è ancora a Palazzo Spada quando, per ottenere notizie sui trasferimenti nella magistratura ordinaria, si rivolge allo stratega delle nomine Palamara. In particolare sembrava interessargli l'assegnazione del posto di procuratore aggiunto a Salerno. È il 10 dicembre 2017 quando de Francisco scrive a Palamara: «Ciao Luca, sono Ermanno De Francisco (consiglio di presidenza della giustizia amministrativa). Come ti avevo accennato martedì allo stadio, vorrei passare un attimo a trovarti domani in ufficio (cosa di cinque minuti)». Nel resto del testo comunica al suo interlocutore quali siano i suoi orari. Palamara risponde: «Carissimo Ermanno con grande piacere ci possiamo aggiornare per dopo le 17, ti chiamo io ad ora di pranzo un abbraccio a domani». Il giorno successivo l'appuntamento viene confermato. «Ermanno va bene per te alle 18?», gli scrive Palamara. «Sì, perfetto! Grazie. Fammi lasciare un passi alla portineria del Csm». Uno degli argomenti nel menù dell'incontro è forse ricavabile da un altro messaggio che De Francisco inviò, a distanza di un mese dal meeting, all'ex componente del parlamentino delle toghe. «Ciao Luca, a che punto siete con la vostra attività per la scelta del procuratore aggiunto di Salerno? […]». «Caro Ermanno ancora non abbiamo iniziato la trattazione», risponde Palamara, che subito dopo specifica: «Ti aggiorno prontamente, un caro saluto». Dai documenti non emerge altro. E il nome dell'aggiunto che stava a cuore al consigliere giuridico di Conte resta ignoto.Ma tra i tecnici scelti dai 5 stelle De Francisco non è l'unico ad aver chattato con Palamara. Come anticipato dalla Verità, c'è anche Maria Casola, promossa un anno fa a capo del Dipartimento per gli affari di giustizia di via Arenula. Dopo una tornata di nomine il pm romano le scrive: «Ma in questa vicenda l'unico che poteva realmente aiutarti era uno solo. E io te l'avevo anche detto. Le correnti sono state tagliate fuori. Diba (Alessandro Di Battista, ndr) era l'unico. Come hanno fatto i 5s che hanno sostenuto Baldi e Basentini», ovvero Fulvio Baldi e Francesco Basentini, i due uomini scelti dal ministro Alfonso Bonafede come capo di gabinetto e come capo del Dap, prima delle loro sofferte dimissioni. D'altra parte, la Casola il Diba lo conosce davvero. I due frequentano la stessa parrocchia: Santa Chiara, che si trova in piazza dei Giuochi delfici, nella zona di Roma nord. Per Di Battista si tratta della chiesa di famiglia e qui è stato officiato il funerale della mamma di Alessandro lo scorso novembre. Lei è anche tra le fedeli più impegnate.«Oltre a venire a messa», spiega alla Verità uno dei sacerdoti, «segue tanti progetti». Basta fare una ricerca su Google per scoprire che di attività la chiesa ne produce davvero tante. Come quella che risale al 20 gennaio 2008, quando venne organizzato un concerto il cui l'incasso venne devoluto a sostegno di progetti di sviluppo sul microcredito in Congo e in Guatemala. Iniziative seguite dalle associazioni Amka Onlus e Progetto continenti Onlus. Coincidenza: nel 2008 l'ex parlamentare grillino Di Battista lavorava per Amka.Lui lo ha messo nero su bianco in una biografia online e la stessa associazione ce lo conferma: «Ha gestito campagne di sensibilizzazione e di raccolta fondi», afferma la responsabile stampa, «inoltre teneva corsi di volontariato internazionale per i giovani che volevano partire». Di Battista è anche partito per Congo e Guatemala con questi gruppi di volontari tra il 2007 e il 2010. E l'incontro con Amka avviene proprio in piazza dei Giuochi Delfici: «L'associazione, apartitica e laica», spiegano, «nasce su iniziativa di un gruppo di missionari della parrocchia che frequentava». E che frequenta. Come la Casola. Che, per un aiuto, però, invece di rivolgersi a Santa Chiara deve aver preferito Palamara.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/quanto-m5s-nei-favori-chiesti-a-palamara-2646046962.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="le-toghe-di-autonomia-si-indignano-per-trame-che-riguardano-pure-loro" data-post-id="2646046962" data-published-at="1590005876" data-use-pagination="False"> Le toghe di «Autonomia» si indignano per trame che riguardano pure loro Dopo Area, Magistratura indipendente e Unicost, anche la più giovane delle correnti della magistratura, quella di Autonomia e indipendenza, rompe il silenzio sulla seconda tornata dello scandalo Csm, quella sollevata dalla Verità: «Siamo nuovamente in presenza di fatti molto gravi che mostrano un sistema profondamente malato, intriso di favoritismi, clientele, distorte logiche di gruppo e interferenze politiche estranee alle fisiologiche dinamiche dell'autogoverno». A&I cerca di offrire la sua interpretazione di ciò che ogni giorno salta fuori dai faldoni dell'inchiesta sul pm romano Luca Palamara. Una lettura che sembra poco interessata a rimettere tutto in discussione: «Si affaccia una linea difensiva basata sul tentativo di diluire le responsabilità di singoli o gruppi in un indistinto calderone, la strategia del siamo tutti uguali, nessuno escluso». Come se con il secondo tempo dell'inchiesta qualcuno cercasse di cancellare il risultato del primo. La verità è che molte toghe speravano di aver sfangato lo scandalo Csm, che aveva fatto pagar pegno solo a una piccola fetta della magistratura. Ma le chat di Palamara non risparmiano nessuno. Neanche i magistrati di A&I, come Franca Amadori, giudice del Tribunale di Roma, che si rivolge a Barbara Sargenti, la pm che ha indagato sull'ex leader di An, Gianfranco Fini, e sui Tulliani, per ottenere il numero di telefonino di Palamara. E quando la Sargenti annuncia al collega la richiesta, questi risponde: «Noooooooo salvami tu!!!». Lei è in imbarazzo, ma non può dire di no alla collega. E spiega: «Se le dico che non ce l'ho non ci crede, giustamente... e se le dico che tu sei molto preso e che glielo giro solo a patto che non ti chiami e che mandi solo Whatsapp?». Alla fine il pm acconsente. La Amadori se ne infischia di Whatsapp e il 17 dicembre 2018 prova a chiamare più volte, senza ottenere una risposta. A quel punto scrive: «Ciao Luca, ho tentato di contattarti, ma senza successo. Volevo solo sapere se ci sono possibilità per la mia domanda (è la seconda volta che la presento, la prima fu nel 2012, cinque anni fa) per il massimario... azz....». Due giorni dopo scrive di nuovo: «Caro Luca, ho saputo di essere stata già proposta per la Corte d'appello, ma io non credevo che fossero così incredibilmente rapidi! Considerando che per il massimario ho presentato domanda a luglio e, dopo quasi sei mesi, ancora non hanno deciso nulla, pensavo di avere tempo». Poco dopo manda un altro messaggio: «Ora, io potrei presentare una revoca tardiva (i motivi non mancherebbero, per ragioni di servizio), ma vorrei farlo sapendo che ho qualche possibilità di andare al massimario». E ancora: «Non potresti aiutarmi a decidere?». La chat sembra un monologo. La Amadori continua: «Sai nulla?». Dopo il quarto messaggio Palamara risponde: «Cara Franca, per il massimario stanno discutendo, ma ancora non è stato deciso nulla». E lei: «Caro Luca, a me basterebbe sapere se mi hanno già estromessa, a prescindere. Così mi metto l'anima in pace e buonanotte. Non mi piace affatto la Corte d'Appello, ma il dibattimento mi piace ancor meno. Resterebbe, a questo punto, solo la funzione gip, che però non ho mai svolto e c'è chi dice che sia molto dura, mentre altri ne sono entusiasti. Non so che pensare... dammi un suggerimento, ti prego! Non ho voglia di andare in Corte...». Palamara sembra riuscire sempre a trovare le parole giuste: «Nessuno può essere estromesso a prescindere. Il gip, un ruolo impegnativo che però è in grado di dare grande autonomia». Ipse dixit. Infine dalle chat di Palamara spunta anche il consigliere di A&I al Csm, Giuseppe Marra, che prima di essere eletto, aveva dato la sua solidarietà a Palamara, non appena si seppe dell'inchiesta che lo riguardava: «Caro Luca, ho letto le brutte notizie giornalistiche. Mi dispiace molto. Sono sicuro che ne uscirai presto a testa alta. Un abbraccio».
Gabriele D'Annunzio (Ansa)
Il patrimonio mondiale dell’umanità rappresentato dalla cucina italiana sarà pure «immateriale», come da definizione Unesco, ma è fatto di carne, ossa, talento e creatività. È il risultato delle centinaia di migliaia di persone che, nel corso dei secoli e dei millenni, hanno affinato tecniche, scoperto ingredienti, assemblato gusti, allevato animali con amore e coltivato la terra con altrettanta dedizione. Insomma, dietro la cucina italiana ci sono... gli italiani.
Ed è a tutti questi peones e protagonisti della nostra storia che il riconoscimento va intestato. Ma anche a chi assapora le pietanze in un ristorante, in un bistrot o in un agriturismo. Alla fine, se ci si pensa, la cucina italiana siamo tutti noi: sono i grandi chef come le mamme o le nonne che si danno da fare tra le padelle della cucina. Sono i clienti dei ristoranti, gli amanti dei formaggi come dei salumi. Sono i giornalisti che fanno divulgazione, sono i fotografi che immortalano i piatti, sono gli scrittori che dedicano pagine e pagine delle loro opere ai manicaretti preferiti dal protagonista di questo o quel romanzo. Insomma, la cucina è cultura, identità, passato e anche futuro.
Giancarlo Saran, gastropenna di questo giornale, ha dato alle stampe Peccatori di gola 2 (Bolis edizioni, 18 euro, seguito del fortunato libro uscito nel 2024 vincitore del Premio selezione Bancarella cucina), volume contenente 13 ritratti di personaggi di spicco del mondo dell’italica buona tavola («Un viaggio curioso e goloso tra tavola e dintorni, con illustri personaggi del Novecento compresi alcuni insospettabili», sentenzia l’autore sulla quarta di copertina). Ci sono il «fotografo» Bob Noto e l’attore Ugo Tognazzi, l’imprenditore Giancarlo Ligabue e gli scrittori Gabriele D’Annunzio, Leonardo Sciascia e Andrea Camilleri. E poi ancora Lella Fabrizi (la sora Lella), Luciano Pavarotti, Pietro Marzotto, Gianni Frasi, Alfredo Beltrame, Giuseppe Maffioli, Pellegrino Artusi.
Un giro d’Italia culinario, quello di Saran, che testimonia come il riconoscimento Unesco potrebbe dare ulteriore valore al nostro made in Italy, con risvolti di vario tipo: rispetto dell’ambiente e delle nostre tradizioni, volano per l’economia e per il turismo, salvaguardia delle radici dal pericolo di una appiattente omologazione sociale e culturale. Sfogliando Peccatori 2, si può possono scovare, praticamente a ogni pagina, delle chicche. Tipo, la passione di D’Annunzio per le uova e la frittata. Scrive Saran: «D’Annunzio aveva un’esperienza indelebile legata alle frittate, che ebbe occasione di esercitare in diretta nelle giornate di vacanza a Francavilla con i suoi giovani compagni di ventura in cui, a rotazione, erano chiamati “l’uno a sfamare tutti gli altri”. Lasciamogli la cronaca in diretta. Chi meglio di lui. “In un pomeriggio di luglio ci attardavamo nella delizia del bagno quando mi fu rammentato, con le voci della fame, toccare a me le cura della cucina”. La affronta come si deve. “Non mancai di avvolgermi in una veste di lino rapita a Ebe”, la dea della giovinezza, “e di correre verso la vasta dimora costruita di tufo e adornata di maioliche paesane”. Non c’è storia: “Ruppi trentatré uova e, dopo averle sbattute, le agguagliai (mischiai) nella padella dal manico di ferro lungo come quello di una chitarra”. La notte è illuminata dal chiaro di luna che si riflette sulle onde, silenziose in attesa, e fu così che “adunai la sapienza e il misurato vigore... e diedi il colpo attentissimo a ricevere la frittata riversa”. Ma nulla da fare, questa, volando nel cielo non ricadde a terra, ovvero sulla padella. E qui avviene il miracolo laico. “Nel volgere gli occhi al cielo scorsi nel bagliore del novilunio la tunica e l’ala di un angelo”. Il finale conseguente. “L’angelo, nel passaggio, aveva colta la frittata in aria, l’aveva rapita, la sosteneva con le dita” con la missione imperativa di recarla ai Beati, “offerta di perfezione terrestre...”, di cui lui era stato (seppur involontario) protagonista. “Io mi vanto maestro insuperabile nell’arte della frittata per riconoscimento celestiale”.
La buona e sana cucina, dunque, ha come traino produttori e ristoratori «ma ancor più valore aggiunto deriva da degni ambasciatori e, con questo, i Peccatori di gola credo meritino piena assoluzione», conclude l’autore.
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Dal primo luglio 2026, in tutta l’Unione europea entrerà in vigore un contributo fisso di tre euro per ciascun prodotto acquistato su internet e spedito da Paesi extra-Ue, quando il valore della spedizione è inferiore a 150 euro. L’orientamento politico era stato definito già il mese scorso; la riunione di ieri del Consiglio Ecofin (12 dicembre) ne ha reso operativa l’applicazione, stabilendone i criteri.
Il prelievo di 3 euro si applicherà alle merci in ingresso nell’Unione europea per le quali i venditori extra-Ue risultano registrati allo sportello unico per le importazioni (Ioss) ai fini Iva. Secondo fonti di Bruxelles, questo perimetro copre «il 93% di tutti i flussi di e-commerce verso l’Ue».
In realtà, la misura non viene presentata direttamente come un’iniziativa mirata contro la Cina, anche se è dalla Repubblica Popolare che proviene la quota maggiore di pacchi. Una delle preoccupazioni tra i ministri è che parte della merce venga immessa nel mercato unico a prezzi artificialmente bassi, anche attraverso pratiche di sottovalutazione, per aggirare le tariffe che si applicano invece alle spedizioni oltre i 150 euro. La Commissione europea stima che nel 2024 il 91% delle spedizioni e-commerce sotto i 150 euro sia arrivato dalla Cina; inoltre, valutazioni Ue indicano che fino al 65% dei piccoli pacchi in ingresso potrebbe essere dichiarato a un valore inferiore al reale per evitare i dazi doganali.
«La decisione sui dazi doganali per i piccoli pacchi in arrivo nell’Ue è importante per garantire una concorrenza leale ai nostri confini nell’era odierna dell’e-commerce», ha detto il commissario per il Commercio, Maroš Šefčovič. Secondo il politico slovacco, «con la rapida espansione dell’e-commerce, il mondo sta cambiando rapidamente e abbiamo bisogno degli strumenti giusti per stare al passo».
La decisione finale da parte di Bruxelles arriva dopo un iter normativo lungo cinque anni. La Commissione europea aveva messo sul tavolo, nel maggio 2023, la cancellazione dell’esenzione dai dazi doganali per i pacchi con valore inferiore a 150 euro, inserendola nel pacchetto di riforma doganale. Nella versione originaria, l’entrata in vigore era prevista non prima della metà del 2028. Successivamente, il Consiglio ha formalizzato l’abolizione dell’esenzione il 13 novembre 2025, chiedendo però di anticipare l’applicazione già al 2026.
C’è poi un secondo balzello messo a punto dall’esecutivo Meloni. Si tratta di un emendamento che prevede l’introduzione di un contributo fisso di due euro per ogni pacco spedito con valore dichiarato fino a 150 euro.
La misura, però, non sarebbe limitata ai soli invii provenienti da Paesi extra-Ue. Rispetto alle ipotesi circolate in precedenza, l’impostazione è stata ampliata: se approvata, la tassa finirebbe per applicarsi a tutte le spedizioni di piccoli pacchi, indipendentemente dall’origine, quindi anche a quelle spedite dall’Italia. In origine, l’idea sembrava mirata soprattutto a intercettare le micro-spedizioni generate da piattaforme come Shein o Temu. Il punto, però, è che colpire esclusivamente i pacchi extra-europei avrebbe reso la misura assimilabile a un dazio, materia che rientra nella competenza dell’Unione europea e non dei singoli Stati membri. Per evitare questo profilo di incompatibilità, l’emendamento alla manovra 2026 ha quindi «generalizzato» il prelievo, estendendolo all’intero perimetro delle spedizioni. L’effetto pratico è evidente: la tassa non impatterebbe solo sulle piattaforme asiatiche, ma anche sugli acquisti effettuati su Amazon, eBay e, in generale, su qualsiasi negozio online che spedisca pacchi entro quella soglia di valore dichiarato.
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Riduci
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Insomma: il vento è cambiato. E non spinge più la solita, ingombrante, vela francese che negli ultimi anni si era abituata a intendere l’Italia come un’estensione naturale della Rive Gauche.
E invece no. Il pendolo torna indietro. E con esso tornano anche ricordi e fantasie: Piersilvio Berlusconi sogna la Francia. Non quella dei consessi istituzionali, ma quella di quando suo padre, l’unico che sia riuscito a esportare il varietà italiano oltre le Alpi, provò l’avventura di La Cinq.
Una televisione talmente avanti che il presidente socialista François Mitterrand, per non farla andare troppo lontano, decise di spegnerla. Letteralmente.
Erano gli anni in cui gli italiani facevano shopping nella grandeur: Gianni Agnelli prese una quota di Danone e Raul Gardini mise le mani sul più grande zuccherificio francese, giusto per far capire che il gusto per il raffinato non ci era mai mancato. Oggi al massimo compriamo qualche croissant a prezzo pieno.
Dunque, Berlusconi – quello junior, stavolta – può dirlo senza arrossire: «La Francia sarebbe un sogno». Si guarda intorno, valuta, misura il terreno: Tf1 e M6.
La prima, dice, «ha una storia imprenditoriale solida»: niente da dire, anche le fortezze hanno i loro punti deboli. Con la seconda, «una finta opportunità». Tradotto: l’affare che non c’è, ma che ti fa perdere lo stesso due settimane di telefonate.
Il vero punto, però, è che mentre noi guardiamo a Parigi, Parigi si deve rassegnare. Lo dimostra il clamoroso stop di Crédit Agricole su Bpm, piantato lì come un cartello stradale: «Fine delle ambizioni». Con Bank of America che conferma la raccomandazione «Buy» su Mps e alza il target price a 11 euro. E non c’è solo questo. Natixis ha dovuto rinunciare alla cassaforte di Generali dov’è conservata buona parte del risparmio degli italiani. Vivendi si è ritirata. Tim è tornata italiana.
Il pendolo, dicevamo, ha cambiato asse. E spinge ben più a Ovest. Certo Parigi rimane il più importante investitore estero in Italia. Ma il vento della geopolitica e cambiato. Il nuovo asse si snoda tra Washington e Roma Gli americani non stanno bussando alla porta: sono già entrati.
E non con due spicci.
Ieri le due sigle più «Miami style» che potessero atterrare nel dossier Ilva – Bedrock Industries e Flacks Group – hanno presentato le loro offerte. Americani entrambi. Dall’odore ancora fresco di oceano, baseball e investimenti senza fronzoli.
E non è un caso isolato.
In Italia operano oltre 2.700 imprese a partecipazione statunitense, che generano 400.000 posti di lavoro. Non esattamente compratori di souvenir. Sono radicati nei capannoni, nella logistica, nelle tecnologie, nei servizi, nella manifattura. Un pezzo intero di economia reale. Poi c’è il capitolo dei giganti della finanza globale: BlackRock, Vanguard, i soliti nomi che quando entrano in una stanza fanno più rumore del tuono. Hanno fiutato l’aria e annusato l’Italia come fosse un tartufo bianco d’Alba: raro, caro e conveniente.
Gli incontri istituzionali degli ultimi anni parlano chiaro: data center, infrastrutture, digitalizzazione, energia.
Gli americani non si accontentano. Puntano al core del futuro: tecnologia, energia, scienza della vita, space economy, agritech.
Dopo l’investimento di Kkr nella rete fissa Telecom - uno dei deal più massicci degli ultimi quindici anni - la direzione è segnata: Washington ha scoperto che l’Italia rende.
A ottobre 2025 la grande conferma: missione economica a Washington, con una pioggia di annunci per oltre 4 miliardi di euro di nuovi investimenti. Non bonus, non promesse, ma progetti veri: space economy, sostenibilità, energia, life sciences, agri-tech, turism. Tutti settori dove l’Italia è più forte di quanto creda, e più sottovalutata di quanto dovrebbe.
A questo punto il pendolo ha parlato: gli americani investono, i francesi frenano.
E chissà che, alla fine, non si chiuda il cerchio: gli Usa tornano in Italia come investitori netti, e Berlusconi torna in Francia come ai tempi dell’avventura di La Cinq.
Magari senza che un nuovo Mitterrand tolga la spina.
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Riduci