2024-12-26
Quando la filosofia riscopre che la gioia passa attraverso la potenza
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Sempre più spesso, il dibattito delle idee mette al centro la natura, il corpo, la forza, con accenti un tempo impensabili. Come nel caso del saggio della Fabbrichesi su Marco Aurelio, Spinoza e Nietzsche.In seguito al Covid, la filosofia italiana sembra aver reagito con la tendenza ad accentuare alcune linee di pensiero che già precedentemente alla pandemia agitavano il dibattito accademico nostrano: mi riferisco alle linee di pensiero che pongono l’attenzione sul corpo, sulla natura, sulla forza, sull’esercizio, sull’immanenza, su un aspetto che potremmo genericamente chiamare dionisiaco. Uno dei frutti di questa riflessione è il bel libro uscito nel 2022 per Cortina editore: Vita e potenza. Marco Aurelio, Spinoza, Nietzsche, di Rossella Fabbrichesi, docente di Ermeneutica filosofica all’università degli studi di Milano. Il volume si occupa del rapporto tra vita, felicità e potenza riflettendo su alcuni grandi autori della nostra storia: Nietzsche, e prima di lui Marco Aurelio (con il maestro Epitteto) e Spinoza. Lo fa lasciandosi accompagnare nella lettura dal commento di Foucault, per quanto riguarda il pensiero stoico, e di Deleuze, per quanto concerne Spinoza. Non si tratta di un puro contributo alla storia della filosofia ma di un percorso che intende individuare il paesaggio concettuale in cui radicare un nuovo modo di fare filosofia basato sulla pratica di vita e sul governo di sé.Già in apertura del saggio, l’autrice cita Spinoza: «gioia è constatare la propria potenza che cresce, tristezza il suo rimpicciolirsi». Si tratta di toni non usuali nella filosofia italiana di qualche anno fa, anche per quel sapore superomistico che l’accademia guardava con sospetto teoretico e soprattutto politico. Ma, come detto, l’aria da qualche tempo sta cambiando, anche se le assonanze politicamente scorrette di certe tesi vengono comunque esorcizzate con varie strategie dialettiche. Per la Fabbrichesi, «il fine della vita, la massima felicità (eu-daimonia), è lavorare a costruirsi un carattere (ethos), riconoscendo, affermando, volendo ciò che in esso è destinato (il proprio daimon)». E ancora: «La filosofia come modo di vita orienta dunque verso uno strenuo lavoro di rimodellazione del sé, una trasformazione che sappia creare soggetti non più assoggettabili, soggetti che sappiano disporre dei dispositivi che normalmente li incatenano».Particolarmente significativa la pagina che l’autrice riprende dalle lezioni di Deleuze su Spinoza. L’autore francese, per cercare di illustrare cosa significasse per Spinoza la pratica conoscitiva del mondo, invitava a svincolarsi dai numerosi riferimenti alla matematica e alla geometria, per fare un esempio più semplice: il saper nuotare. Come stiamo nell’acqua quando non sappiamo nuotare? Scrive la Fabbrichesi: «Abbiamo solo conoscenze inadeguate, annaspiamo, affondiamo sotto la superficie, beviamo e, solo se siamo fortunati, riemergiamo. Siamo ostaggi di una materia ostile. Noi e il mondo non siamo in armonia, le nostre parti reciproche si compongono disordinatamente. Non abbiamo alcun controllo su questi rapporti, non conosciamo le cause, ne subiamo gli effetti». La conoscenza, ci dicono Spinoza, Deleuze e la Fabbrichesi, non è un processo intellettualistico, ma una pratica concreta, una relazione con flusso degli eventi, con la totalità dell’ente. Relazione che può essere armonica o, come nel caso della persona che non sa nuotare gettata in acqua, disarmonica, conflittuale, spigolosa. Il regno delle conoscenze adeguate non è quindi accessibile attraverso un qualche tipo di sapere astratto, disincarnato, ma riguarda un saper fare, un altro modo di instaurare quelle relazioni con il mondo. «Trovare il giusto assetto in acqua, respirare nel modo giusto. “È un’arte: l’arte di comporre rapporti”. Quando ne godiamo, quando siamo un’unica cosa con il mare aperto e non percepiamo più alcuna fatica, ma solo beatitudine – l’essere amnioticamente abbandonati al tepore del sole e allo sciabordio dell’acqua -, eccoci entrati nel terzo genere di conoscenza: il mondo dell’amor Dei intellectualis»