
Da ministro di Mario Monti, il banchiere propose uno stock da 80 miliardi per pagare i debiti Pa. Due anni dopo Pierluigi Bersani ricopiò l'idea per 50 miliardi. In entrambi i casi gli industriali applaudirono in estasi. Fregandosene dei pareri Ue.«Dieci miliardi di titoli di Stato per cinque anni per pagare i debiti della Pa. È un impegno che ci prendiamo perché ci sono un sacco di piccole e medie imprese che perdono lavoro e uno dei problemi fondamentali è la liquidità. La pubblica amministrazione non paga e bisogna trovare risorse». E i mercati? «Sanno bene che sono soldi dovuti, non hanno i prosciutti sugli occhi». No, non sono parole dell'ideatore dei minibot, il leghista Claudio Borghi, né del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti, né tanto meno del vicepremier Matteo Salvini. Le frasi che avete appena letto sono state pronunciate a febbraio del 2013, in piena campagna elettorale, dall'allora segretario del Partito democratico e candidato premier Pierluigi Bersani. «È una proposta ragionevole, sostenibile e darebbe ossigeno alle piccole e medie imprese», aggiungeva tronfio Bersani. Ma ancora più surreali sono le reazioni registrate in quell'occasione. Una scodinzolante Confindustria, per bocca del direttore generale Marcella Panucci, definiva la proposta «positiva e nella direzione che auspichiamo», spingendosi addirittura a rilanciare la posta: «Pagare immediatamente tutti e 48 miliardi di debiti entro il 2013, così si immetterebbe subito liquidità nell'economia». Complice forse anche l'ebbrezza della campagna elettorale, nemmeno lo scontatissimo caveat sul peggioramento dei conti pubblici da parte della Commissione europea pareva incutere alcun timore. All'epoca Giampaolo Galli, già direttore di Confindustria e candidato nelle fila del Pd, dichiarava di non vedere «un impatto sul disavanzo secondo i principi contabili Eurostat. La gradualità permetterebbe di scongiurare un “effetto Grecia" sui mercati e si potrebbero attuare contemporaneamente altre operazioni (dismissioni immobiliari, contrasto all'evasione) che aiuterebbero a risistemare i conti».Avete capito bene, solo sei anni fa il Pd portava sugli scudi la stessa proposta sulla quale pochi giorni fa non ha esitato a sputare sopra. Dopo lo scivolone del 28 maggio scorso, con il voto positivo sulla mozione che impegna il governo a pagare i debiti della Pa «anche attraverso strumenti quali titoli di Stato di piccolo taglio», i dem si sono affrettati infatti a mettere nero su bianco la loro «contrarietà a strumenti come i minibot che non risolvono il gravoso problema dei debiti della Pa». E proprio ieri il segretario Nicola Zingaretti, probabilmente senza nemmeno saperlo, ha rinnegato su Twitter l'eredità del suo predecessore: «Li chiamano minibot ma sono una grande truffa. Fanno ancora debiti per pagare i debiti che hanno già fatto. Così l'Italia rischia. Rischiano le famiglie, le imprese e i giovani su cui scaricano i problemi non risolti. Sono degli irresponsabili». Insomma, roba da far impallidire Dottor Jekyll e Mister Hyde.Paradossalmente, la proposta di Pierluigi Bersani era tutt'altro che campata in aria. Un meccanismo analogo era stato proposto poco più di un anno prima, a novembre del 2011, dall'allora ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera. Erano i tempi nei quali imperversava il credit crunch e per far ripartire l'Italia occorreva dare fiato alle aziende. Durante un tavolo di lavoro con banche e imprese, Passera propose di rifondere i creditori della Pa emettendo appunto titoli di Stato per l'astronomica cifra di quasi 80 miliardi di euro. Entusiasta anche in quell'occasione Confindustria. Passate poche ore, Emma Marcegaglia definì la proposta «molto giusta» e «pienamente condivisibile». Ma ai tempi l'idea incassò il plauso di molte altre sigle, da Confcommercio a Rete imprese Italia, passando per Legacoop (ai tempi presieduta dal futuro ministro del Lavoro Giuliano Poletti). Tutti convinti, insomma, della bontà dell'idea.Facciamo un balzo avanti e torniamo ai giorni nostri. Proprio ieri, in un'intervista pubblicata sulla Stampa, Claudio Borghi ha definito i minibot «né più né meno quel che aveva progettato Corrado Passera quando fu ministro del governo Monti». Viste le reazioni odierne, viene da chiedersi cosa sia cambiato. Confindustria, esultante quando a parlare erano stati Passera e Bersani, stavolta va a muso duro contro il governo. «I minibot sono uno strumento della finanza», ha dichiarato il presidente Vincenzo Boccia, «lo stiamo dicendo da tempo che non è opportuno incrementare il debito pubblico del Paese». Peggio ancora i giovani industriali, con il numero uno Alessio Rossi che paragona i titoli di Stato di piccolo taglio ai «soldi del Monopoli». Nemmeno Giampaolo Galli si dimostra un campione di coerenza. Quando la proposta era targata Bersani l'ex senatore del Pd minimizzava sulle possibili conseguenze a livello di bilancio. Oggi la proposta arriva dall'esecutivo gialloblù e l'Osservatorio conti pubblici italiani presieduto da Carlo Cottarelli e del quale Galli è vicedirettore definisce i minibot «inutili e dannosi», concordando con Mario Draghi sul fatto che questi strumenti «o sono moneta o sono debito». Semplice memoria corta oppure malafede?
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Oggi, a partire dalle 10.30, l’hotel Gallia di Milano ospiterà l’evento organizzato da La Verità per fare il punto sulle prospettive della transizione energetica. Una giornata di confronto che si potrà seguire anche in diretta streaming sul sito e sui canali social del giornale.
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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Il conservatore americano era aperto al dialogo con i progressisti, anche se sapeva che «per quelli come noi non ci sono spazi sicuri». La sua condanna a morte: si batteva contro ideologia woke, politicamente corretto, aborto e follie del gender.
Chi ha inventato il sistema di posizionamento globale GPS? D’accordo la Difesa Usa, ma quanto a persone, chi è stato il genio inventore?
Piergiorgio Odifreddi (Getty Images)
Piergiorgio Odifreddi frigna. Su Repubblica, giornale con cui collabora, il matematico e saggista spiega che lui non possiede pistole o fucili ed è contrario all’uso delle armi. Dopo aver detto durante una trasmissione tv che «sparare a Martin Luther King e sparare a un esponente Maga» come Charlie Kirk «non è la stessa cosa», parole che hanno giustamente fatto indignare il premier Giorgia Meloni («Vorrei chiedere a questo illustre professore se intende dire che ci sono persone a cui è legittimo sparare»), Odifreddi prova a metterci una pezza.