2023-09-29
Putin avverte: «Lavoriamo ad armi atomiche avanzate». La Nato lusinga Zelensky
Vladimir Putin e Ramzan Kadyrov (Ansa)
Viktor Sokolov, l’ammiraglio «ucciso», di nuovo in video. Jens Stoltenberg: 2,4 miliardi per i proiettili. Kiev: «L’Italia ci aiuti a entrare nell’Ue». Tranche di fondi Usa incagliata al Congresso.Emmanuel Macron e la Corsica indipendente: «Superare incomprensioni e risentimento». L’iter legislativo, però, sarà complicato.Lo speciale contiene due articoli.«L’autorità nucleare russa Rosatom è impegnata nella creazione di armi avanzate in grado di mantenere un equilibrio strategico nel mondo». Lo ha detto ieri il presidente russo, Vladimir Putin, che ha aggiunto: «È importante che gli scienziati nucleari russi aumentino i contatti reciprocamente vantaggiosi con partner coscienziosi e affidabili all’estero». Propaganda, oppure c’è del vero? Entrambe le cose, visto che, come ha mostrato la recente visita del leader nordcoreano Kim Jong-un, Putin sta cercando sempre di più di coinvolgere la Corea del Nord e l’Iran - già suo fornitore di armamenti - nello sviluppo di questi progetti. E al di là dei toni roboanti che servono a spaventare gli ucraini e la Nato, la questione non va certo minimizzata. Sempre nella giornata di ieri i media russi hanno diffuso un video che mostra Putin mentre è a colloquio con il leader ceceno Ramzan Kadyrov, sul quale, nelle scorse settimane, sono circolate notizie a proposito del precario stato di salute. Secondo i servizi ucraini, «il macellaio di Grozny» sarebbe gravemente malato ai reni, tanto che la sua morte sarebbe prossima. Kadyrov aveva reagito pubblicando un video mentre cammina sotto la pioggia in un parco; poi, per allontanare ulteriormente i sospetti, ha ammesso di essere a Mosca in ospedale ma solo «perché sono andato a trovare zio Magomed, che è malato». Il video della visita in ospedale però è a dir poco surreale. Anche sul video di ieri con Putin occorre essere prudenti, perché il leader ceceno appare decisamente più giovane e persino più magro del solito. Intanto sul campo i combattimenti proseguono e ieri si sono rifatti sentire attraverso i loro canali Telegram i combattenti della «Legione Libertà della Russia», che hanno scritto di essere penetrati nella regione di Belgorod, dove infuria la battaglia: «Continuiamo a ripulire la nostra casa dalla sporcizia di Putin. La battaglia è iniziata». Le forze di frontiera russe hanno reso noto di aver sventato un tentativo di incursione di sabotatori ucraini nell’area, che confina con l’Ucraina: «È stato sventato il tentativo di attraversare il confine di stato della Russia e non ci sono state vittime tra le truppe russe». Sempre ieri il nostro ministro degli Esteri, Antonio Tajani, nel corso della conferenza stampa congiunta con l’omologa, Annalena Baerbock, a Berlino, sul tema della guerra in Ucraina ha affermato: «C’è perfetta sintonia fra Italia e Germania. Aiuteremo Kiev non solo a livello militare ma anche in relazione alla ricostruzione del Paese, compresi gli sforzi per garantire l’efficienza elettrica». Peraltro, la tedesca Rheinmetall ha autorizzato una joint venture con Kiev: produrrà e fornirà assistenza per le attrezzature militari direttamente sul suolo ucraino. Il vice primo ministro ucraino per l’Integrazione europea ed eur-atlantica, Olha Stefanishyna, in un’intervista rilasciata all’Ansa, ha chiesto aiuto all’Italia: «Sono orgogliosa di poter dire che l’Italia ha avuto un ruolo vitale nel far sì che l’Ucraina potesse ricevere lo status di Paese candidato all’Ue. Ora speriamo che l’Italia giochi un ruolo cruciale non solo nel sostenere l’Ucraina nel suo percorso d’ingresso nell’Ue ma anche nel convincere altri Paesi più scettici». Ieri è arrivato a Kiev il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, che durante la conferenza stampa con Volodymyr Zelesnky ha affermato che «a Vilnius abbiamo deciso che l’Ucraina entrerà nella Nato e oggi l’Ucraina è più vicina che mai all’Alleanza ed è nostra intenzione rafforzare la frontiera orientale. Più forte è l’Ucraina, prima finisce l’aggressione. L’Ucraina non ha opzioni che quella di continuare a combattere. Ha bisogno di una pace giusta e sostenibile». Stoltenberg ha anche affermato che la Nato ha stipulato contratti per 2,4 miliardi di euro per le munizioni fondamentali per l’Ucraina, di cui 1 miliardo di euro di ordini fissi: «Tali contratti permetteranno ai membri della Nato di ricostituire le loro scorte continuando allo stesso tempo a fornire all’Ucraina munizioni». A lui ha risposto il leader ucraino: «Abbiamo dimostrato che l’ingresso nella Nato è un modo di rafforzare l’Ucraina ma anche per rendere la Nato più forte. La nostra alleanza con la Nato è naturale». Sul tema, seppur indirettamente, è intervenuto il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, che intervistato dall’agenzia Tass ha detto che i russi sono pronti a negoziare, ma alle loro condizioni: «La nostra posizione resta valida: siamo pronti a negoziare, ma tenendo conto delle realtà che si sono sviluppate sul terreno e tenendo conto della nostra posizione, che è ben nota a tutti, ovvero dei nostri interessi, degli interessi dei nostri sicurezza, degli interessi di impedire la creazione di una forza ostile ai confini della Russia il regime nazista che ha dichiarato apertamente l’obiettivo di sterminare tutto ciò che è russo su quelle terre, sia in Crimea che in Novorossiya». Intanto, l’ammiraglio Viktor Sokolov, che gli ucraini dichiaravano di aver ucciso con un raid in Crimea, è riapparso alla premiazione della squadra di calcio di Sebastopoli, cerimonia ripetuta apposta per dimostrare che è vivo.Prosegue negli Stati Uniti lo scontro su 300 milioni di fondi per Kiev. Lo speaker della Camera, il repubblicano Kevin McCarthy, li ha stralciati dal budget della Difesa nella speranza di farli approvare superando l’opposizione della fronda trumpiana e di una crescente fetta del suo partito, che non vuole più nuovi aiuti all’Ucraina. La somma, come scrive Politico, «dovrebbe essere recuperata in un disegno di legge ad hoc, da approvare con sostegno bipartisan» e in tal senso oggi è atteso un primo voto procedurale della Camera.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/putin-nucleare-guerra-nato-2665756799.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="adesso-macron-fa-il-calderoli-entro-sei-mesi-corsica-autonoma" data-post-id="2665756799" data-published-at="1695936999" data-use-pagination="False"> Adesso Macron fa il Calderoli. «Entro sei mesi Corsica autonoma» In un importante discorso all’assemblea regionale di Ajaccio, il presidente francese, Emmanuel Macron, ha ieri rilanciato la sua proposta per un’autonomia della Corsica. L’inquilino dell’Eliseo, infatti, si è detto «favorevole» a un «riconoscimento» delle specificità còrse all’interno di un articolo della Costituzione francese. Con la precisazione, beninteso, che questo statuto autonomo non dovrà essere «né contro lo Stato, né senza lo Stato». «Dobbiamo avere l’audacia», ha ribadito Macron, «di costruire un’autonomia della Corsica all’interno della Repubblica». Il presidente ha quindi invitato i gruppi politici còrsi a sei mesi di negoziati, che serviranno per formulare un «progetto di legge organico», ossia un testo costituzionale che modificherà lo statuto della Corsica, che dal 1991 è una «collettività territoriale». Tuttavia, ha precisato Macron, in questo processo «non c’è alcuna linea rossa, ma c’è solo l’ideale della Repubblica». La Corsica, ha aggiunto l’inquilino dell’Eliseo, «ha bisogno oggi di più libertà», per uscire così da una situazione «di incomprensione e di risentimento» fra i còrsi e i francesi del continente. Anche perché, ha evidenziato il presidente, «lo status quo sarebbe il fallimento di tutti noi». Per questo motivo, è necessaria una «nuova tappa istituzionale» in grado di «ancorare pienamente la Corsica alla Repubblica» ma, al tempo stesso, di riconoscere «la singolarità della sua insularità mediterranea e del suo rapporto con il mondo». Questo riconoscimento, ha puntualizzato Macron, passerà anche per un «servizio di istruzione pubblica a favore del bilinguismo», con la lingua còrsa che «deve essere posta al centro della vita dell’isola». Con il discorso di Ajaccio, si concludono così 18 mesi di discussioni tra il governo di Parigi e le autorità politiche locali. Le promesse del presidente, però, dovranno superare diversi ostacoli. Allo stato attuale, peraltro, difficilmente superabili. Per qualunque emendamento costituzionale che non passi da un referendum, infatti, occorrono i tre quinti dei voti del parlamento. Ora, all’Assemblea nazionale Macron non dispone di una maggioranza assoluta, ma solo relativa. Senza contare che al Senato il partito del presidente vive dell’appoggio esterno dei gollisti repubblicani, i quali sono contrari all’autonomia della Corsica. Insomma, le intenzioni saranno anche buone, ma la realtà è tutta un’altra cosa. Nonostante tutto, però, si capisce bene perché Macron abbia dovuto giocare la carta dell’autonomia. I discorsi con i gruppi politici locali erano iniziati l’anno passato dopo i violenti disordini scatenatisi in tutta l’isola a causa della morte dell’indipendentista còrso Ivanu Colonna. Condannato all’ergastolo per l’omicidio del prefetto Claude Érignac, avvenuto nel 1998 ad Ajaccio, e pur dichiarandosi innocente, Colonna era stato rinchiuso nel carcere di Arles con lo status di «detenuto particolarmente segnalato» (Dps). Questo status prevedeva che Colonna dovesse essere costantemente sorvegliato all’interno della prigione. Malgrado ciò, non era presente alcuna guardia penitenziaria quando il detenuto fu aggredito e strangolato in palestra da Franck Elong Abé, uno jihadista camerunense, che avrebbe assalito Colonna per un presunto insulto a Maometto. Viste le dinamiche dell’omicidio, migliaia di còrsi protestarono vivamente (e violentemente) contro lo «Statu francese assassinu». Uno Stato che, ora, è sì pronto a fare concessioni. Ma, appunto, con un presidente che ha ben pochi assi nella manica da giocarsi.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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