2018-04-20
Puigdemont ha fallito la rivoluzione e ora pontifica da comodo latitante
L'indipendentista catalano si è dimostrato uno gnomo come ribelle e statista. Pensava che la sfida allo Stato finisse con un trionfo come per Nelson Mandela e Gandhi. Ma mentre loro hanno fatto anni di carcere, lui è fuggito.Da subito i propositi catalani di secessione mi sono sembrati velleitari e dannosi per gli stessi cittadini che l'auspicavano. Per motivi economici, principalmente. Ammesso che la Catalogna fosse la regione spagnola con il Pil più alto e che potesse considerarsi la più ricca tra tutte (da cui la voglia di non depauperarsi a vantaggio di altre), era evidente che la separazione dallo Stato spagnolo, conseguita unilateralmente e con l'opposizione del governo centrale, avrebbe radicalmente ridotto il benessere di cui godeva questo territorio. Le frontiere con l'ex Stato di appartenenza sarebbero state chiuse, i commerci bloccati o sottoposti a dazi pesantissimi, la circolazione delle persone resa difficoltosa. La sola minaccia del referendum secessionista indusse decine di imprese aventi sede in Catalogna a traferire la loro sede fuori della regione. Ancora peggiori conseguenze la secessione avrebbe avuto sul commercio e le relazioni intereuropee. L'Ue, che da subito aveva manifestato la sua contrarietà all'iniziativa catalana, non avrebbe certo potuto applicare al «nuovo» Stato il regime commerciale e giuridico proprio dello Stato spagnolo, riconoscendo la Catalogna come nuovo Paese aderente. A tacer d'altro, perché sarebbe stato necessario il voto unanime di tutti gli Stati membri, impossibile da ottenere vista la certa contrarietà della Spagna. La Catalogna indipendente sarebbe stata dunque considerata (se pure fosse stata riconosciuta) come un qualsiasi Stato extra comunitario, con le relative conseguenze commerciali e politiche. Per questi motivi, da subito, come ho scritto, la «ribellione» catalana mi è sembrata velleitaria, inconcludente e politicamente disastrosa.La mia insopprimibile formazione giuridica mi ha condotto, di nuovo da subito, a ulteriori considerazioni, tanto più pressanti quanto più frequenti si erano fatte le critiche alla «feroce repressione» del governo spagnolo; in particolare quando, dopo la sentenza della Corte Costituzionale che aveva dichiarato incostituzionale e dunque illegale il referendum indipendentista (tuttavia tenuto in spregio della legge), era stato necessario l'uso della forza pubblica per tentare di evitarlo. Considerazioni che prepotentemente si sono riproposte adesso, con il leader indipendentista Carles Puigdemont che si è presentato alla Commissione europea lamentando la violazione di insopprimibili diritti umani. Provo a spiegarle.La legge fondamentale di ogni Stato di diritto è la Costituzione. Che è o dovrebbe essere autoevidente, nel senso che ogni cittadino è in grado di interpretarla e di identificarne regole e principi. Quando ciò non avviene, in buona fede o strumentalmente, la voce della Costituzione si fa palese attraverso un organo apposito: la Corte costituzionale. In uno Stato di diritto (che vuol dire fondato sulla legge) è questa l'unica «vera» voce, nessun altro può sostituirsi ad essa. E infatti i rivoluzionari o ribelli (dipende dal punto di vista) si limitano a ignorare l'una e l'altra, delegittimandole quali strumenti repressivi, in violazione di fondamentali diritti umani. L'inconsistenza della tesi è stata dimostrata scientificamente (il diritto è una scienza) innumerevoli volte. Ma nulla mi sembra più convincente di un discorso tenuto il 30 settembre del 1962, quando i segregazionisti del Sud tentarono di opporsi all'iscrizione all'Università di Oxford del veterano di guerra, negro, James Meredith (rifiuto l'ipocrita politically correct «afroamericano»: ai razzisti brucia il colore della pelle, non la cittadinanza). Due morti e violenze spaventose cui John Kennedy reagì inviando truppe militari.Ecco il discorso: «Gli americani sono liberi di disapprovare la legge, ma non di disobbedirvi. Ciò perché in un governo di leggi, non di uomini, nessun uomo - per quanto di grado elevato e potente che sia - e nessuna folla, per ribelle e turbolenta che possa essere, ha diritto di sfidare gli ordini di un tribunale e della nostra Costituzione. Se così fosse, nessuna legge sarebbe certa, nessun giudice sarebbe garantito e nessun cittadino sarebbe al sicuro dai suoi vicini. La Costituzione e le leggi degli Stati Uniti mi obbligano ad assicurare il rispetto delle sentenze dei Tribunali; ciò implica, se necessario, un uso proporzionato della forza, anche a costo di disordini.»Puigdemont, i suoi sodali e una considerevole parte dei cittadini catalani hanno sfidato gli ordini della Costituzione e della Corte costituzionale. Hanno commesso reati gravi: ribellione, sedizione, malversazione, secondo quanto stabilito dalla legge dello Stato. L'intervento della forza pubblica non era solo necessario: era dovuto, a tutela di tutti i cittadini spagnoli. E, ovviamente, è stato proporzionato: perquisizioni, sequestri, contenimento delle proteste e delle opposizioni (anche violente) dei secessionisti. Proprio come avviene per qualsiasi fatto criminoso. Proprio come è avvenuto nel grande Paese democratico di Kennedy.Tuttavia non si deve ignorare un ultimo passaggio. L'Occidente civilizzato non conosce Paesi asserviti a brutali dittature o a occupazioni militari. Il rispetto della legge ed eventuali modifiche con metodi democratici sono strumenti più che sufficienti per garantire a tutti i cittadini il libero godimento di ogni loro diritto. E però questa valutazione può non essere condivisa, il che apre la strada ai tipici strumenti di creazione dello Stato, la guerra, la ribellione, la rivoluzione. Molti Stati moderni sono nati in questo modo o sono stati profondamente modificati nella loro struttura: gli Stati Uniti, la Francia, la Russia, perfino l'Italia. E nessuno ne disconosce oggi la legittimità. Naturalmente c'è un presupposto indefettibile: guerra e rivoluzione devono avere successo; in mancanza di che continuano ad applicarsi le leggi dello Stato preesistente e i rivoluzionari divengono tecnicamente ribelli e delinquenti. Dunque Puigdemont e soci, evidentemente, pensavano che la loro rivoluzione avrebbe avuto successo; e che la loro sfida all'ordine costituito li avrebbe trasferiti dall'area dell'illegalità a quella della legittimità. Non c'è chi non veda l'inconsistenza di una diagnosi politica di questo tipo; ne consegue un giudizio impietoso sulle loro doti di statisti.Giudizio che diviene ancora più severo alla luce del comportamento tenuto all'indomani del fallimento: fuga ignominiosa. Nelson Mandela coronò la sua rivoluzione dopo 20 anni di carcere; Mahatma Gandhi combatté la sua battaglia anche dopo essere stato arrestato e frustato dagli inglesi; Giuseppe Mazzini e Antonio Gramsci testimoniarono la validità delle loro idee con anni di carcere. Questi gnomi catalani strepitano e pontificano dal basso di una comoda latitanza. C'è quanto basta per valutare la validità delle loro figure politiche e delle idee che professano.
La Global Sumud Flotilla. Nel riquadro, la giornalista Francesca Del Vecchio (Ansa)
Vladimir Putin e Donald Trump (Ansa)