2022-01-15
Finita la psicosi resteranno le ferite della guerra civile sanitaria
Si torna a invocare la «normalità», ma il conflitto alimentato da caccia all’untore e disprezzo del dissenso minaccia l’unità.I politici, per lo più, non avranno problemi: riaccenderanno il sorriso di ordinanza e via. Ma tutti gli altri? Noi? Come faremo a risanare le ferite profonde, a ricucire i tessuti e le carni strappate, a fare come se nulla fosse accaduto? Si moltiplicano gli inviti a «tornare alla normalità», c’è chi parla di «ricostruzione». Tutto condivisibile, da un certo punto di vista. La psicosi sanitaria ha causato fin troppi traumi, l’economia ha subito fin troppi rallentamenti, lo spirito del popolo intero ha bisogno di respirare. È il momento, come no, di imparare a «convivere con il virus». Il vero problema, però, riguarda la convivenza fra le persone: la comunità più dell’immunità.Qualcuno ha potuto sperimentarlo sotto le feste: i parenti che non si volevano incontrare in assenza di tampone negativo, quegli altri che non si levavano la mascherina nemmeno all’aperto, rimanendo a distanza, per timore del cugino non vaccinato. È la angosciante cartella clinica di una nazione entrata nel nuovo anno con le membra lacerate, a dispetto del «vi lascio un Paese unito» di Sergio Mattarella. Una nazione in cui l’odio si è fatto più profondo e intenso, il disprezzo del diverso è divenuto endemico e brutale, le distanze fra pensieri difformi si sono trasformate in crepacci smisurati.Sopravvivere a una pandemia non è semplice, ma qui si tratta di uscire da una guerra civile. Come spiega il sociologo Vincenzo Ruggiero, «la guerra civile testimonia il crollo dell’autorità e l’emergere di interessi concorrenti guidati dall’esplosione incontrollata dall’egoismo». Gli avversari politici si trasformano in nemici privati, le passioni esplodono ingovernabili, «il potere demarca il confine amico-nemico trasformando l’amore per sé in ostilità per gli altri». Non è accaduto esattamente questo, negli ultimi due anni?Fin dai primi giorni, gli altri - i vicini, gli amici, i connazionali - ci sono stati presentati come soggetti pericolosi. Ci ammonivano: «Attenti agli asintomatici!», ricordate? In quel momento abbiamo imparato a sospettare, a temere. Poco dopo, i primi capri espiatori: gli insopportabili fanatici della corsa che si gettavano in strada sbuffando, e tutti li osservavano con disprezzo, i maledetti spargitori di «droplets». Rapido è venuto il turno dei giovinastri della movida: colpa loro se la malattia non arretra! E non dimentichiamo i bambini, piccoli untori perversi, assassini dei nonni. I quali nonni, per altro, nelle prime fasi dell’emergenza erano stati scaricati con leggerezza estrema: «Tanto muoiono solo i vecchi».Lo spartiacque lo ha segnato l’arrivo del vaccino. Le frustrazioni di estenuanti privazioni e reclusioni hanno trovato lo sfogatoio perfetto: l’astio verso il no vax. In un lampo, avevamo i veri colpevoli, gli stregoni da ardere. I commercianti provati dalle chiusure hanno inveito contro i manifestanti privati dello stipendio. I cittadini eternamente spaventati si sono augurati la scomparsa fisica dei renitenti alla puntura, che sono stati esclusi, tagliati fuori dalla società, vilipesi, odiati con tutta l’anima. Tutt’intorno, la fiamma di Ares splendeva forte: liberi professionisti contro statali; professori contro allievi; colleghi contro colleghi; amici contro amici; padri e madri in tribunale per decidere se vaccinare i figli.E adesso, serenamente, ci viene detto: alziamoci in piedi tra le rovine, ripartiamo. Non abbiamo nemmeno messo fine alle discriminazioni, e già vorrebbero farci indossare la maschera della normalità. Sul serio credete che sia tanto semplice? Ci sono tagli, qui, che continuano a suppurare. Come farà l’uomo della strada a tornare a fare acquisti dal negoziante che lo accusava di mandarlo in rovina? Torneremo a bere il caffè con chi ci considerava una minaccia?Persone intelligenti, altrimenti molto stimabili, intellettuali, giornalisti o artisti sono ancora pronti a sostenere che i no vax siano non soltanto un pericolo per l’universo ma pure un costo ingiustificato che appesantisce le tasche di tutti. Che atteggiamento si dovrà tenere nei confronti di costoro? Torneremo ad ascoltarli dimenticando di come ci abbiano mostrato le zanne? E saranno disposti, tanti italiani, a tornare a votare quei partiti a cui magari avevano dato sostegno per anni e che un bel giorno li hanno scaricati, descrivendoli come criminali, assassini, piaghe sociali? Come faremo tutti noi, vaccinati e no, a liberarci del senso di appartenenza a una delle caste sanitarie, ad abbracciare il fratello che ci ha piantato un coltello nella schiena, a lavorare nella stessa stanza con il collega che ha inveito contro di noi, o ci ha trasmesso il virus, o ci ha trattati da inferiori, irresponsabili, traditori?L’Italia è da sempre una terra di divisioni atroci e squarci che non si rimarginano. Si discute, in vista dell’elezione del presidente della Repubblica, di pacificazione. Si parla, ad esempio, di superare l’ormai vecchio scontro tra berlusconiani e antiberlusconiani. Se non siamo riusciti a comporre del tutto quel conflitto, quanto ci impiegheranno a riguadagnare spazi comuni coloro che sono stati bestialmente separati dalla guerra civile sanitaria?Provate a prendere in mano libri splendidi di Giampiero Mughini come Memorie di un rinnegato. Vedrete grondare sulle pagine la fatica, l’amarezza e la sofferenza che è stato necessario spremere da ogni cuore nel tentativo di seppellire le ostilità ideologiche. Qualcuno ha provato a deporre le armi, altri se le sono inchiodate nelle mani, e non smettono di usarle.Non vogliamo affatto tirar fuori scomposti paragoni con il fascismo, la resistenza etc. Notiamo solo che il regime sanitario - pur meno apertamente violento - ha prodotto tensioni e partizioni simili a quelle causate da altri regimi opprimenti. E, forse perché i lividi ancora pulsano, sono ben pochi i politici e le personalità pubbliche che provino a favorire una ricucitura. Nessuno, in giro, che sia disposto ad abbracciare un no vax in segno di distensione. Nessuno che mostri di preferire la comunità all’immunità. Anzi: ancora inveiscono, ancora odiano. Come nell’Italia del 1943 raccontata da Curzio Malaparte ne La pelle, una peste sta dilagando: non è il Covid, non infetta il corpo bensì l’anima, spingendo tanti a perdere il rispetto di sé prima che degli altri. E non c’è vaccino, né cura.