2024-11-10
Protesta dei genitori in Emilia-Romagna: «Con le allerte meteo chiuse solo le scuole»
Ira per le serrate degli istituti a ottobre. Il comitato di Ravenna: «Alunni a casa, ma consentito il mercato all’aperto in centro».«Io ho vissuto la giovinezza lungo il fiume che costeggia il mulino, a due passi dal Reno, in mezzo ai residuati bellici della seconda guerra mondiale. […] L’Appennino è fragile, una volta c’erano gli agricoltori a custodirlo. Poi, con lo sviluppo, i contadini sono diventati operai nella legittima aspirazione a una vita migliore, l’agricoltura qui è scomparsa e i terreni abbandonati. Lo stesso destino è toccato agli stradini, gli operai a cui veniva affidata la pulizia di un tratto di strada, anche loro spariti. Non sono un tecnico ma credo che la poca manutenzione contribuisca ad accrescere i danni provocati dal cambiamento climatico». Così si è espresso Francesco Guccini venerdì in un’intervista al Resto del Carlino. Eppure, sul territorio vince la propensione - sedimentata durante l’emergenza pandemica - di istituire zone rosse per gli studenti e chiudere le scuole. Qualcuno, però, non è più disposto ad accettare questo genere di misure.«In questi giorni sono ancora visibili i segni devastanti dell’alluvione che nel mese di ottobre ha colpito la Romagna e la Province di Ravenna e Bologna», scrivono i comitati «Scuole aperte a Bologna» e «Persone contro la Dad» di Ravenna in una lettera rivolta a diverse istituzioni, tra cui i rispettivi Comuni, la Regione Emilia-Romagna, la presidenza del Consiglio e la presidenza della Repubblica. «Alluvioni dovute sicuramente alle abbondanti piogge, ma anche ad anni di incuria e di consumo forsennato del suolo […]». «Bambini e ragazzi», continuano poco sotto, «vengono sempre considerati sacrificabili e quindi sacrificati dalle istituzioni ogni volta che si manifesta una criticità». «Le scuole devono chiudere solo ed esclusivamente se e quando vengono chiuse anche tutte le altre attività, perché non è possibile che la scuola sia sempre l’unica e la sola a essere sacrificata, pena la trasmissione a bambini e giovani del messaggio che l’apprendimento sia un’opzione rinunciabile e di cui ci si può privare e, sempre più frequentemente, essere privati». «I dati dell’abbandono scolastico e dei disagi giovanili», rilevano poi, «come conseguenza delle chiusure delle aule durante la pandemia, dovrebbero aver insegnato che l’attitudine a queste scelte è molto pericolosa e non priva di effetti».Tra i destinatari della protesta figura anche Massimo Balugani, assessore alla Protezione Civile del Comune di Bologna, il quale ha risposto alle critiche ricevute per aver chiuso le scuole sabato 26 ottobre, quando all’allerta arancione alla fine non seguirono le piogge temute, sostenendo che la decisione fosse stata presa «per consentire a tutti di lavorare al meglio e in sicurezza». Le ragioni dell’economia, sottolineano i critici, prevalgono dunque su quelle dell’istruzione. «Gli studenti non lavorano e, se vanno in giro, intralciano le attività commerciali e le attività di ripristino, quindi meglio farli stare a casa. Tanto loro non producono, anzi sono un impedimento», spiega alla Verità un portavoce del comitato ravennate. «Proprio come era stato fatto con il Covid». «Vorrei precisare», continua, «che quando a Ravenna hanno chiuso le scuole, sabato 19 ottobre, al pomeriggio hanno consentito di fare il mercatino dell’antiquariato in centro. Se ci fosse davvero un rischio, però, dovrebbe chiudere tutto, incluso il mercatino dell’antiquariato».Anche a Bologna, per le stesse ragioni, qualcuno non ci sta. «Non tutti abitano in luoghi sicuri per posizione o per condizione economica, e auspicabilmente tutti i genitori degli studenti hanno impiego», aggiunge il comitato felsineo agli argomenti già riportati. «Chi vigila sul minore non preso in carico e lasciato nel proprio domicilio? […] Le politiche di parità di genere sono anche questo. […] Quando si chiude la scuola, si spalanca la forbice delle disuguaglianze e si lascia ogni ragazzo nella propria condizione, disinteressandosene». «I problemi di gestione delle fasce giovanili sono di grande rilevanza: si va dalla criminalità diffusa e molto violenta alle patologie autodistruttive che riportano numeri da capogiro», continua. «Non vorremmo non avere fatto tesoro dell’esperienza che queste generazioni hanno vissuto e della quale vediamo le conseguenze sotto i nostri occhi», dice riferendosi all’epoca del Covid: «che non si pensi di chiudere nuovamente le scuole per questioni di “sicurezza sociale”, oltretutto per allarmi non di massima scala e a dir poco frequenti, né, per nessun motivo, che si pensi di ripristinare lezioni a distanza, la tristemente famosa Dad, esperienza drammatica».Esperienza drammatica, verso cui forse qualcuno nutre delle nostalgie. D’altra parte, l’ex sardina Mattia Sartori, oggi presidente del Territorio turistico Bologna-Modena, ha dichiarato che l’ultima alluvione, più circoscritta rispetto a quello del 2023, non ha intaccato il turismo, che va a avanti regolarmente. Se l’industria e il turismo non si fermano, si chiedono allora questi genitori, perché chiudere le scuole? Indubbiamente esisteranno dei rischi, ma - specialmente dopo gli anni del Covid - la domanda appare più che legittima.
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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Francesco Nicodemo (Imagoeconomica)