2024-10-02
La profezia di Marchionne sui disastri verdi
Esattamente sette anni fa, l’allora numero uno di Fca in un discorso spiegò perché le auto elettriche e a guida autonoma avrebbero distrutto il settore: «Le fughe in avanti sono pure illusioni». La sua lezione rimase inascoltata e ora paghiamo i danni.Mentre si fa sempre più fitto il ginepraio in cui si trova Stellantis, e più in generale l’intero comparto europeo dell’automobile, tornano alla mente le parole che Sergio Marchionne pronunciò all’Università di Trento il 2 ottobre 2017, giusto sette anni fa. Nel ringraziare l’ateneo per il conferimento della laurea honoris causa in ingegneria meccatronica, il manager italo-canadese fece un discorso sentito e profetico, che conteneva alcune scomode verità. In esso si individuavano le tendenze future dell’automobile mondiale e vi erano contenute valutazioni assai realistiche: purtroppo per l’ex Fabbrica italiana automobili Torino, o ciò che ne resta, quella di Marchionne è una lezione inascoltata.Intanto, vi era la considerazione che la tecnologia dell’auto elettrica di per sé non era risolutiva, rispetto al tema delle emissioni di CO2: «Le “fughe in avanti”, dove si voglia dimostrare di avere trovato la panacea di tutti i nostri mali ambientali, sono pure illusioni», disse Marchionne, ricordando l’illusione dell’auto a idrogeno come precursore dell’auto elettrica. Riguardo a questa, il manager parlò della Fiat 500 elettrica, lanciata cinque anni prima negli Stati Uniti: «La verità è che per ogni 500 elettrica che vendiamo negli Stati Uniti, perdiamo circa 20.000 dollari. Un’operazione che, fatta su larga scala, diventa un atto di masochismo economico estremo».I limiti dell’elettrico, proseguiva Marchionne, non sono soltanto i costi, l’autonomia, i tempi di ricarica o la rete di rifornimento, ma il fatto che la produzione di energia elettrica a livello globale deriva da fonti fossili per i due terzi. «Dobbiamo essere realisti. Le auto elettriche possono sembrare una meraviglia tecnologica, soprattutto per abbattere i livelli di emissioni nei centri urbani, ma si tratta di un’arma a doppio taglio. Forzare l’introduzione dell’elettrico su scala globale, senza prima risolvere il problema di come produrre l’energia da fonti pulite e rinnovabili, rappresenta una minaccia all’esistenza stessa del nostro pianeta. Quella dell’elettrico è un’operazione che va fatta senza imposizioni di legge e continuando nel frattempo a sfruttare i benefici delle altre tecnologie disponibili, in modo combinato. È certamente più utile concentrarsi sui miglioramenti dei motori tradizionali e lavorare alla diffusione di carburanti alternativi». Disporre di un ventaglio di soluzioni tecnologiche differenti, dunque, era la strada per perseguire l’obiettivo della riduzione delle emissioni nei trasporti.Ma la parte più pregnante del discorso dell’ottobre 2017 è quello che riguarda il cambiamento radicale che l’innovazione avrebbe portato nel modo di fare automobili: «Nel mercato di massa, il marchio non sarà più così importante. In una vettura elettrica, il valore aggiunto del costruttore è relativo, dal momento che acquista le batterie e i motori elettrici da un fornitore esterno. Allo stesso modo, in un’auto che si guida da sola, il sistema di propulsione diventa abbastanza irrilevante», notava Marchionne. In altre parole, uno degli elementi chiave che sin lì aveva contraddistinto l’automobile, cioè il motore (e con esso il marchio cui era associato), non sarebbe più stato un fattore distintivo. Lo stesso processo dell’innovazione, secondo Marchionne, è cambiato: «La nostra esistenza non è mai stata minacciata dall’innovazione. Siamo sempre stati in grado di controllare il nostro destino, fin dall’inizio dell’epoca industriale. Non siamo mai stati minacciati dall’esterno. Oggi lo siamo».La velocità dell’innovazione e il cambiamento riscrivono le regole dell’industria automobilistica: «I nostri concorrenti non sono solo più gli altri costruttori, ma sono anche aziende esterne al settore che stanno adottando formule del tutto nuove. Si sta aprendo una frontiera nuova e la transizione sarà dolorosa per molti. Il più grande errore che possiamo commettere è pensare che la storica capacità di sopravvivere del settore possa essere di qualche garanzia per il futuro».Dunque, Marchionne aveva ben chiaro che l’auto elettrica e l’auto a guida autonoma non sono più automobili, non più nei termini novecenteschi: sono qualcos’altro. Secondo Marchionne, la crisi dell’auto sarebbe stata portata da attori esterni alla filiera classica, e infatti così è stato. I costruttori cinesi non sono classici produttori di auto, né lo sono i colossi del software che stanno investendo sulla guida autonoma.Come tutti i precursori, Marchionne non fu compreso fino in fondo. La sua lezione del 2 ottobre 2017 resta come monito per quegli apprendisti stregoni che allignano tra mercati immaginari e obblighi miracolosi. Dalle parole di Marchionne di quel giorno trasuda l’orgoglio di fare automobili, con l’intenzione di farle bene, perché è così che si misura il successo.Oggi, nel generale affanno, tra allarmi sugli utili e chiusure di stabilimenti, si cerca il nuovo amministratore delegato che sostituirà Carlos Tavares alla guida del gruppo Stellantis. Si tratta in fondo dell’amara presa d’atto che un altro Sergio Marchionne non c’è.
(Guardia di Finanza)
I peluches, originariamente disegnati da un artista di Hong Kong e venduti in tutto il mondo dal colosso nella produzione e vendita di giocattoli Pop Mart, sono diventati in poco tempo un vero trend, che ha generato una corsa frenetica all’acquisto dopo essere stati indossati sui social da star internazionali della musica e del cinema.
In particolare, i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego, attraverso un’analisi sulla distribuzione e vendita di giocattoli a Palermo nonché in virtù del costante monitoraggio dei profili social creati dagli operatori del settore, hanno individuato sette esercizi commerciali che disponevano anche degli iconici Labubu, focalizzando l’attenzione soprattutto sul prezzo di vendita, considerando che gli originali, a seconda della tipologia e della dimensione vengono venduti con un prezzo di partenza di circa 35 euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro per i pezzi meno diffusi o a tiratura limitata.
A seguito dei preliminari sopralluoghi effettuati all’interno dei negozi di giocattoli individuati, i finanzieri ne hanno selezionati sette, i quali, per prezzi praticati, fattura e packaging dei prodotti destavano particolari sospetti circa la loro originalità e provenienza.
I controlli eseguiti presso i sette esercizi commerciali hanno fatto emergere come nella quasi totalità dei casi i Labubu fossero imitazioni perfette degli originali, realizzati con materiali di qualità inferiore ma riprodotti con una cura tale da rendere difficile per un comune acquirente distinguere gli esemplari autentici da quelli falsi. I prodotti, acquistati senza fattura da canali non ufficiali o da piattaforme e-commerce, perlopiù facenti parte della grande distribuzione, venivano venduti a prezzi di poco inferiori a quelli praticati per gli originali e riportavano loghi, colori e confezioni del tutto simili a questi ultimi, spesso corredati da etichette e codici identificativi non conformi o totalmente falsificati.
Questi elementi, oltre al fatto che in alcuni casi i negozi che li ponevano in vendita fossero specializzati in giocattoli originali di ogni tipo e delle più note marche, potevano indurre il potenziale acquirente a pensare che si trattasse di prodotti originali venduti a prezzi concorrenziali.
In particolare, in un caso, l’intervento dei Baschi Verdi è stato effettuato in un negozio di giocattoli appartenente a una nota catena di distribuzione all’interno di un centro commerciale cittadino. Proprio in questo negozio è stato rinvenuto il maggior numero di pupazzetti falsi, ben 3.000 tra esercizio e magazzino, dove sono stati trovati molti cartoni pieni sia di Labubu imbustati che di scatole per il confezionamento, segno evidente che gli addetti al negozio provvedevano anche a creare i pacchetti sorpresa, diventati molto popolari proprio grazie alla loro distribuzione tramite blind box, ossia scatole a sorpresa, che hanno creato una vera e propria dipendenza dall’acquisto per i collezionisti di tutto il mondo. Tra gli esemplari sequestrati anche alcune copie più piccole di un modello, in teoria introvabile, venduto nel mese di giugno a un’asta di Pechino per 130.000 euro.
Soprattutto in questo caso la collocazione all’interno di un punto vendita regolare e inserito in un contesto commerciale di fiducia, unita alla cura nella realizzazione delle confezioni, avrebbe potuto facilmente indurre in errore i consumatori convinti di acquistare un prodotto ufficiale.
I sette titolari degli esercizi commerciali ispezionati e destinatari dei sequestri degli oltre 10.000 Labubu falsi che, se immessi sul mercato avrebbero potuto fruttare oltre 500.000 euro, sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per vendita di prodotti recanti marchi contraffatti.
L’attività s’inquadra nel quotidiano contrasto delle Fiamme Gialle al dilagante fenomeno della contraffazione a tutela dei consumatori e delle aziende che si collocano sul mercato in maniera corretta e che, solo nell’ultimo anno, ha portato i Baschi Verdi del Gruppo P.I. di Palermo a denunciare 37 titolari di esercizi commerciali e a sequestrare oltre 500.000 articoli contraffatti, tra pelletteria, capi d’abbigliamento e profumi recanti marchi delle più note griffe italiane e internazionali.
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