2022-09-04
A gennaio voleva più Russia. Adesso Prodi pontifica: «Sganciamoci da Mosca»
Romano Prodi (Getty Images)
Il prof snobbava le offerte di Baku, Oslo e Algeri. Da capo della Commissione europea ostacolò la pipeline sarda. Oggi dimentica che è stata la sinistra a consegnarci a Vladimir Putin.«Il rimedio è uno solo: diventare autonomi sull’energia. Ma servono due anni!». E intanto «facciamo tutto quello che possiamo fare. L’Italia deve precedere l’Unione europea, perché ha più problemi di altri Paesi. Per cominciare impariamo a moderare i consumi. E facciamolo subito». La lectio magistralis su come bisogna «allenare imprese e cittadini a un uso dell’energia più consapevole del momento» è arrivata ieri dall’ex premier nonché ex presidente della Commissione Ue, Romano Prodi. Che in una lunga intervista rilasciata al Corriere della Sera bacchetta anche la Ue, perché «fino ad oggi è mancata una visione comune». A fare la lezione, però, è lo stesso Prodi che il 31 gennaio 2022, firmava un articolo sul Messaggero (si può facilmente trovare sul sito personale dell’ex premier) fornendo tutta un’altra ricetta: «Per garantirci l’energia serve un rapporto diretto con la Russia», era il titolo dell’intervento. Dove sottolineava che i gasdotti alternativi a quelli russi (principalmente da Algeria, Norvegia e Azerbaigian) «non sono in grado di aumentare sensibilmente l’offerta in tempi sufficientemente brevi». Già a gennaio si discuteva a Bruxelles se, in caso di aumento delle tensioni politiche, la Russia potesse usare fino all’estremo l’arma del gas, interrompendo totalmente le forniture all’Europa, come arma di ritorsione di fronte a eventuali sanzioni, «ma Gazprom sarà molto attenta a consigliare a Putin questo passo, non solo perché la Russia non sarebbe più affidabile e non potrebbe perciò contare su contratti di lungo periodo, ma ancor più perché non potrebbe più contare nemmeno sugli introiti della vendita di petrolio all’Europa», scriveva l’ex presidente del Consiglio il 31 gennaio. Certo, almeno ha cambiato idea davanti all’invasione dell’Ucraina scattata quasi un mese dopo. Solo che il professore lo fa un po’ troppo spesso, senza per altro imparare dagli errori del passato, soprattutto quando si parla di russi, gas e gasdotti. Come il Galsi, la cui storia abbiamo ricordato questa settimana sulla Verità. Certo, era lui premier quando nel novembre del 2007 venne firmata l’intesa con il presidente algerino Abdelaziz Bouteflika sulla nascita del gasdotto che avrebbe portato il gas dall’Algeria a Piombino passando dalla Sardegna. Ma in precedenza, da presidente della Commissione Ue, non aveva inserito il progetto nato nel 2003 tra quelli strategici, facendo perdere all’opera il 30% del finanziamento europeo. Quando si iniziò a parlare del Galsi, l’Algeria rappresentava un approdo quasi obbligato e il Paese guidato da Bouteflika aveva mire di espansione, grazie alla potenza di fuoco della società energetica di Stato, la Sonatrach. Poi i venti della geopolitica sono cambiati e l’asse energetico si è spostato dal Nordafrica alla Russia. Tanto che nel giugno 2007 l’Eni aveva siglato un accordo con Gazprom per la realizzazione del gasdotto South Stream, bruciando così la concorrenza. Nel 2008 a Prodi fu offerta proprio la presidenza della società South Stream per la realizzazione del gasdotto. Prodi rifiutò («è meglio che un ex politico non lavori ad un progetto che ha contribuito a realizzare durante la sua carriera politica», disse il 13 marzo del 2010, annunciando la scelta di andare a insegnare alla China Europa international business school di Shangai). Ma il 21 febbraio 2013 - un anno prima del ritiro della Regione Sardegna dal consorzio per il gasdotto, la pietra tombale messa sull’opera a maggio 2014 - partecipò come inviato speciale Onu per la regione africana del Sahel alla serata di gala al Gran Palazzo del Cremlino per i vent’anni di Gazprom, alla presenza di Vladimir Putin. Le amnesie selettive di cui paiono soffrire da tempo il Pd e i suoi esponenti di spicco come l’ex premier, ha anche portato a rimuovere i dati che riportiamo nella tabella in pagina per rinfrescare la memoria. Quando Enrico Letta arrivò a Palazzo Chigi, le forniture da Mosca rappresentavano all’incirca un quarto del totale e fino al 2010, quando il presidente del Consiglio era Silvio Berlusconi, meno di un quinto. Sotto l’occhio benaugurante di Prodi, Letta lasciò che le importazioni di gas russo lievitassero fino a quasi rappresentare la metà del nostro fabbisogno. Se dunque ci siamo ritrovati a febbraio esposti con oltre il 40% di metano comprato da Mosca lo dobbiamo anche al segretario del Pd, il quale otto anni fa, prima di cadere per mano di Matteo Renzi, fu l’unico leader europeo a correre a Sochi, sul Mar Nero, per baciare la pantofola a Putin. Lo stesso Mario Draghi, all’inizio di marzo, durante un question time alla Camera, aveva detto: «Guardando i dati degli ultimi anni, è incredibile, la quota di gas russo è aumentata molto negli ultimi 10-15 anni ma è veramente strano che è aumentata fortemente anche dopo l’invasione della Crimea del 2014. Questo dimostra una sottovalutazione del problema energetico e di politica estera e internazionale». Tutti errori commessi da chi lo ha preceduto. Ovvero dei governi guidati da Renzi (arrivato a Palazzo Chigi il 22 febbraio del 2014 in quota Pd muovendosi su un sentiero già tracciato da Letta), poi da Paolo Gentiloni e da Giuseppe Conte. Chi ha intervistato Prodi per il Corriere di tutto questo non ha chiesto conto. Preferendo virare provvidenzialmente sugli «attacchi surreali al Pd» lanciati da Renzi e Calenda, ma soprattutto su quanto l’ex presidente della Commissione Ue sia preoccupato per l’eventuale vittoria di Giorgia Meloni che, gli dicono «i francesi», è «più a destra della Le Pen». Del resto, la chiacchierata serviva a quello.
(Ansa)
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Carlo Nordio, Matteo Piantedosi, Alfredo Mantovano (Ansa)