2023-03-11
Per il bolide cinese «spinto» da Prodi arrivano le Fiamme gialle in Invitalia
Romano Prodi (Getty Images)
La Procura investiga per truffa aggravata anche per una richiesta di finanziamento da 38 milioni di euro. La Regione Emilia-Romagna ha revocato il suo contributo e ha stracciato l’accordo per lo stabilimento.La favola della joint-venture sino-americana Silk-Faw, l’improbabile (almeno a livello geopolitico) alleanza industriale tra Pechino e New York in terra emiliana è ai titoli di coda. La fabbrica di supercar elettriche più volte sponsorizzata da Romano Prodi e dal governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini che avrebbe dovuto sorgere a Reggio Emilia non aprirà mai. Anche se ancora nelle scorse ore l’amministratore delegato Giovanni Lamorte (sarebbe troppo scontato giocare con il suo cognome) aveva provato a rilanciare sui giornali il progetto.Ieri la Regione ha revocato il contributo da 4,5 milioni di euro che la Silk-Faw si era aggiudicata partecipando a un bando del 2021 «per l’attrazione degli investimenti in Emilia-Romagna». Contestualmente l’ente ha «stracciato» l’accordo per la costruzione dello stabilimento. Nella determina dirigenziale firmata dalla giunta si fa riferimento alla «volontà di rinunciare all’accordo di insediamento e sviluppo sottoscritto in data 27 aprile 2022» da parte della stessa società. Una decisione di cui la Regione avrebbe semplicemente preso atto. I finanziamenti di fatto erano ancora «congelati», dal momento che erano legati a un impegno di spesa da 11 milioni da parte della Silk-Faw, che, però, non ha mai sborsato quel denaro. Infatti la società guidata dal discusso finanziere Usa Jonathan Krane, nonostante nel 2021 avesse promesso investimenti per un miliardo e 5.000 assunzioni, indotto compreso, non è neanche riuscita a completare l’acquisto del terreno reggiano opzionato per la costruzione dello stabilimento. Diversi top manager e una quarantina di dipendenti si erano già licenziati chiedendo la messa in mora della ditta che ora sta facendo fronte a una quindicina di decreti ingiuntivi con la dilazione degli stipendi arretrati.Certo Silk-Faw potrà ricorrere contro il provvedimento della Regione, ma risulta difficile immaginare che lo farà vista la rinuncia all’accordo con la Regione.Ma perché allora è stato messo in piedi questo carrozzone? Il sospetto degli inquirenti di Reggio Emilia e della Guardia di finanza è che qualcuno volesse incassare fondi pubblici e magari scappare con il malloppo. L’indagine nasce da un esposto presentato l’estate scorsa dall’avvocato Gianluca Vinci, parlamentare di Fratelli d’Italia, e segue la pista dei soldi. Del resto la Silk-Faw non ha bussato a denari solo con la Regione, ma anche con Invitalia, l’agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa, all’epoca guidata dal commissario Domenico Arcuri.Il fascicolo d’inchiesta nei giorni scorsi è passato da modello 45 (senza ipotesi di reato, né indagati) a modello 44, ovvero il registro riservato a contestazioni precise: infatti i magistrati adesso ipotizzano la tentata truffa aggravata ai danni dello Stato e, tra le possibili accuse, ancora non formalizzate, c’è anche il riciclaggio. La scorsa settimana le Fiamme gialle hanno fatto visita agli uffici romani di Invitalia proprio nell’ottica di questo presunto tentativo di accedere a finanziamenti non dovuti.La storia l’aveva raccontata questo giornale in esclusiva ad agosto. La sedicente casa automobilistica Silk sports car (questa l’ultima denominazione), scommettendo sui cordoni larghi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, aveva chiesto 38 milioni di fondi a Invitalia, prospettando investimenti da 380 milioni di euro.La domanda di agevolazione era stata inoltrata nell’ambito della convenzione quadro per i contratti territoriali riguardanti progetti con finalità di ricerca, sviluppo e innovazione. Un settore in cui rientra la mobilità elettrica. Invitalia aveva il compito di svolgere le istruttorie sulle domande e di gestire la «misura agevolativa».Per ottenere il contributo la Silk-Faw ha dovuto presentare un piano industriale e finanziario alla direzione competente di Invitalia. Ma, a quanto risulta alla Verità, il dossier con dentro l’istanza, visti i continui intoppi alla partenza del progetto, sarebbe finito in un cassetto. Che adesso qualcuno ha dovuto riaprire, dal momento che quei documenti sono diventati d’interesse per i magistrati. Ecco spiegata la visita al quartier generale dell’agenzia da parte delle Fiamme gialle.Nonostante questo quadro sconfortante, Lamorte, appena tre giorni fa, dopo aver spiegato che i trenta lavoratori superstiti erano tutelati da contratti di solidarietà, aveva provato a rilanciare il progetto sulle pagine del Sole24ore: «L’accordo di programma con il Comune di Reggio Emilia è tuttora attivo e c’è un gentleman agreement con la proprietà del terreno di Gavassa su cui costruire lo stabilimento. Mancano le risorse finanziarie, perché la guerra ha ostacolato lo smobilizzo degli investimenti da parte dei fondi coinvolti, ma ci saranno presto novità. Tra una decina di giorni saremo pronti a diffonderle». E aveva fatto sapere che, dopo due anni di pandemia e videoconferenze, entro fine marzo sarebbe dovuta sbarcare dalla Cina «una delegazione in carne e ossa di rappresentanti del governo di Xi Jinping che controlla Faw, il più antico e grande gruppo automobilistico». «I cinesi stanno pianificando una visita in Italia» aveva confermato.Ma dopo la notizia della svolta giudiziaria e della revoca del contributo regionale, siamo abbastanza certi che gli emissari di Pechino preferiranno girare alla larga.E pensare che meno di un anno fa, l’ex premier Prodi ci aveva messo la faccia pubblicamente: «Quasi certamente in questa Regione saranno realizzate quelle che vengono chiamate supercar, un modello unico al mondo» erano state le sue, poco profetiche, parole.