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2020-04-15
Prodi, Confindustria, il Pd. Gli stessi del «fate presto» tifano Mes assieme al Cav
Romano Prodi (Antonio Masiello/Getty Images)
Sono passati solo pochi giorni da quando, nella conferenza stampa di venerdì sera, Giuseppe Conte ha dichiarato che ritiene il Mes «strumento non adeguato», in un precario equilibrio verbale con «non lo useremo mai» del M5s. Quella sera il premier ha abilmente distratto l'uditorio, lanciando la disputa su chi avesse approvato il Mes: come se, nell'imminenza di un'esecuzione capitale, fosse importante capire il nome del progettista della forca.
Una manovra dilatoria di breve respiro, comunque efficace e necessaria per consentire al «partito del Mes» di riorganizzare le idee e partire alla carica. Appena rallentata da un appello di 101 economisti che ieri, su Micromega, hanno invocato quanto qui ripetiamo da settimane: Il 23 aprile Conte respinga le proposte dell'Eurogruppo e chieda il finanziamento monetario di una parte rilevante delle spese necessarie da parte della Bce: ancorché vietata dai Trattati, che si possono sospendere per l'emergenza, è l'unica opzione sensata. Altrimenti, come ha detto lo stesso Conte, «facciamo da soli».
Ma, per il resto, sembra il Conte di Carmagnola del Manzoni. «S'ode a destra uno squillo di tromba», a opera del presidente dell'Europarlamento, David Sassoli che, ospite da Fabio Fazio, lunedì sera fornisce una personale e infondata interpretazione: «Due giorni fa l'Eurogruppo ha sospeso il Mes e ha detto che quei soldi devono essere messi a disposizione di tutti i Paesi per l'emergenza sanitaria […] è una convenienza se l'Italia liberamente deciderà di usare questi 37 miliardi». Purtroppo per Sassoli, non è sospeso un bel nulla. Il documento finale afferma chiaramente che ci sono solo delle condizioni semplificate per l'accesso ai fondi e per tutto il resto, «si applicano le norme del Trattato sul Mes». Anzi, dopo la fine dellIl Fondo salvastati «light»? Chi ne parla sta mentendo. Ecco i 7 pilastri della truffaa crisi, se i Paesi beneficiari non si adeguassero al solito quadro di sorveglianza macroeconomica, ora sospeso, le condizioni potrebbero essere inasprite, unilateralmente e a maggioranza qualificata.
«A sinistra risponde uno squillo», con Romano Prodi che dichiara che «il Mes non è più condizionato, non capisco più il mio Paese. Io sarei per usarlo […] è uno strumento nato con condizionamenti, per intervenire nei Paesi in crisi, come dire ti do i soldi ma sei in libertà vigilata. Giustamente l'Italia ha detto “basta, questo non lo voglio"». Ma, ha continuato l'ex premier, «nell'ultima riunione si è ottenuto il “discondizionamento", cioè il fondo europeo non è più condizionato». Anche in questo caso, il ribaltamento del tenore letterale delle raccomandazioni dell'Eurogruppo, che i leader dovranno esaminare il prossimo 23 aprile, è evidente. A Prodi andrebbe chiesto cosa ne sarà del suo «discondizionamento» quando il Mes, di fronte a un debito/Pil diretto al 160%, ci chiederà di fare un avanzo primario del 4/5% a colpi di tagli di spesa e aumenti di imposte, come chiederebbe di fare qualsiasi creditore.
Ma l'ex premier attinge vette altissime quando sostiene che «è un prestito, ma talmente a basso interesse per cui: primo, lo ripaghiamo a lunghissimo tempo, secondo, ci costa un miliardo e mezzo in meno all'anno. Beh insomma... a caval donato, non si guarda in bocca». Omette di dire che il risparmio è ancora più grande quando la Bce compra i nostri Btp e li rinnova a scadenza, poiché gli interessi pagati tornano indietro nelle casse del Tesoro sotto forma di dividendi di Bankitalia. Se gli piace risparmiare, perché non sostiene questa causa?
«Quinci spunta per l'aria un vessillo», portato da Federico Fubini che, sul Corriere della Sera, si accorge (qui ne scriviamo da due settimane) che «una clausola del Mes è infatti in grado - potenzialmente - di aprire al Paese il sostegno da prestatore di ultima istanza da parte della Banca centrale europea senza troppi costi politici». Si riferisce al fatto che un prestito del Mes, essendo connesso a rigorose condizioni, è porta di ingresso per l'accesso al programma di acquisti Omt della Bce. Ma il Mes che dà alla Bce la facoltà di acquistare è solo quello con condizioni «rigorose ed efficaci». Il solito bagno di sangue delle riforme, altro che «senza costi politici».
Fubini è ancora più impreciso quando scrive che «se oggi un governo chiede al Mes l'accesso al prestito anti-pandemia, che è una Eccl, di fatto, mette la Bce legalmente in grado di decidere di comprare i suoi titoli su scadenze fra uno e tre anni senza limiti quantitativi prefissati». L'Omt infatti è stato fortemente limitato dalla sentenza della Corte di Giustizia di Strasburgo, a cui si è poi rifatta la Corte Costituzionale tedesca: per la Bundesbank quegli acquisti non sono illimitati dal 2015. Tanta è la voglia di magnificare il Mes che, per attrarci in trappola, gli attribuisce virtù inesistenti.
«Ecco appare un drappello schierato». Ed è Confindustria che «fa appello al governo e a tutte le forze politiche affinché si utilizzino a questo fine i fondi messi a disposizione dal Mes senza condizionalità che non siano quelle della lotta al virus e alle sue conseguenze». Vengono i brividi a pensare ai quasi tre anni di recessione che seguirono al «Fate presto» del novembre 2011 intonato dagli stessi cantori.
«Ecco un altro che incontro gli vien». Ed è Matteo Renzi, secondo cui «il Mes senza condizionalità va usato di corsa». E quando «già di mezzo è sparito il terreno» arriva il colpo finale di Silvio Berlusconi che, intervenendo in serata da Giovanni Floris, avvalora la posizione già espressa da Antonio Tajani, dice di sì al Mes e scatena una formidabile pressione sul M5s, al cui interno «già le spade rispingon le spade» che, a questo punto affonderanno senza scrupoli per decidere cosa ne sarà della linea «non useremo mai il Mes».
Quel blitz di Merkel e Sarkozy che fece archiviare gli eurobond
Gli eurobond sacrificati sull'altare dell'amicizia tra Parigi e Berlino da due boia d'eccezione: l'ex presidente francese, Nicolas Sarkozy, e l'attuale cancelliera tedesca Angela Merkel. Per chiarire i dettagli della tragica fine delle emissioni europee di debito comune occorre riavvolgere il nastro all'indietro, nel periodo che va dall'estate del 2011 fino ai primi mesi del 2012. La vicenda degli eurobond è intimamente legata a quella della nascita del Mes. Come chiarito ieri su queste stesse pagine, esistono due versioni del trattato istitutivo del Mes. La prima, approvata durante l'Ecofin svoltosi l'11 luglio 2011, fu firmata da Giulio Tremonti, a quei tempi ministro dell'Economia. La seconda, invece, risulta attualmente in vigore e venne approvata il 2 febbraio del 2012, quando a capo del governo c'era Mario Monti. Come recita la relazione che accompagna la legge di ratifica del 2012, firmata da Enzo Moavero Milanesi, Giulio Terzi di Sant'Agata e dallo stesso Monti, quella del 2 febbraio è una «nuova versione che supera quella sottoscritta l'11 luglio 2011», la quale non è stata «avviata a ratifica in nessun Paese dell'eurozona».
È lo stesso professore a spiegare alla Verità che il Mes varato a luglio altro non era che il frutto di un «accordo politico finalizzato all'introduzione degli eurobond». Strumenti i quali, per questioni di natura legale non potevano essere inseriti direttamente nel trattato, ma che era previsto fossero realizzati a margine del Fondo salvastati. La tesi di Tremonti sulla fragilità del testo licenziato dall'Ecofin è suffragata dal fatto che appena dieci giorni dopo, il 21 luglio 2011, il vertice euro delibererà di modificare il trattato appena approvato per «accrescerne la flessibilità». Rimane il fatto che, se il Mes va avanti, degli eurobond si perdono le tracce. Perché? Come già dichiarato al nostro quotidiano dall'ex ministro, ci fu un periodo durante il quale intorno agli eurobond pareva ci fosse consenso. La lettera a quattro mani pubblicata sul Financial Times da Jean-Claude Juncker e dallo stesso Tremonti, datata 6 dicembre 2010, è la dimostrazione che le buone intenzioni per realizzarli c'erano tutte. Ma la prova regina risiede nella risoluzione approvata dal Parlamento europeo il 23 marzo 2011, la quale al punto «j» stabiliva che «ad integrazione del Meccanismo europeo di stabilità, l'Unione dovrebbe promuovere un mercato consolidato di eurobond». Qualcosa però, appena dopo il delicato accordo raggiunto a luglio, interviene per spezzare l'idillio. Subito dopo Ferragosto, il ministro tedesco dell'Economia, Philipp Roesler, esprime con forza la sua contrarietà agli eurobond: «La Germania verrebbe punita nonostante la sua buona politica economica». Sul Sole del 23 agosto, citando la proposta Tremonti-Juncker, intervengono a favore degli eurobond gli economisti Romano Prodi e Alberto Quadrio Curzio. Ma due giorni dopo arriva la doccia fredda: Hans-Werner Sinn, presidente del più importante pensatoio economico tedesco, informa che «il cancelliere tedesco Angela Merkel ha resistito alle pressioni provenienti dal Sud Europa e ha detto no agli eurobond». Secondo Sinn, si tratta di una lezione esemplare per gli Stati spreconi: «Per la ripartenza di questi Paesi non si può far altro che insistere pazientemente su una maggiore disciplina sul fronte del debito pubblico e porre fine ai permissivi vincoli di bilancio». Sul fronte interno, la Merkel sa che dire sì agli eurobond significa perdere voti. L'azione del governo italiano è neutralizzata dalla lettera minatoria che esige le riforme strutturali inviata da Mario Draghi e Jean-Claude Trichet. Si apre quindi un braccio di ferro tra l'allora presidente francese Nicolas Sarkozy e Angela Merkel. La svolta arriva il 5 dicembre con la resa di Sarkozy: «Gli eurobond non sono la soluzione, non possiamo rischiare una divergenza tanto grande tra le due economie più grandi d'Europa». Si apre così una delle pagine più oscure della storia recente dell'Ue, quella che Tremonti definisce la «chiamata dello straniero in Italia». Piegato dal ricatto dello spread, al governo guidato da Mario Monti non rimane che obbedire.
Il Fondo salvastati «light»? Chi ne parla sta mentendo. Ecco i 7 pilastri della truffa
La grande manipolazione è iniziata, come raccontiamo in queste pagine. Ma per quanti e quali motivi il Mes non è e non può essere il veicolo «leggero» che tutti ora ci raccomandano?
1 Fornirà un importo massimo pari al 2% del Pil, che prima del coronavirus era pari a 1.700 miliardi circa. Al massimo sono trentacinque miliardi a fronte della potenza di fuoco illimitata che la Bce, dopo alcune esitazioni, sta sparando, creando la moneta necessaria ad acquistare titoli di stato.
2 Il Mes è un creditore privilegiato e una volta che ha prestato soldi a uno Stato in caso di default pretende di essere soddisfatto per primo. Detto in altri termini, trasforma i tutti i titoli di stato in circolazione in subordinati. Cosa significa? Citofonate ai risparmiatori di Banca Etruria che avevano in portafoglio obbligazioni subordinate e sentite cosa vi rispondono.
3 Non serve. Avendo l'Italia accesso al mercato dei capitali con emissioni mediamente richieste in misura superiore al 50% di quanto offerto e tassi ridotti all'osso, perché mai dovremmo ricorrere a questo creditore?
4 Quasi il 18% dei soldi che il Mes ci presta sotto «rigorose condizionalità» (lo dice il Trattato, malgrado gli zelanti assertori del contrario) sono nostri. Li garantiamo per tale quota qualora il Fondo emettesse i titoli necessari a raccogliere i fondi. Qualora invece raccogliesse il capitale non ancora versato, avremmo sette giorni di tempo per versare la nostra quota pari a circa centodieci miliardi.
5 Legge del Lussemburgo. I suoi prestiti sono governati così. In caso di eurexit non potremmo ridenominare quel debito in lire (come coi nostri Btp), ma dovremmo pagare euro che non possiamo stampare o fiorini del Lussemburgo se la moneta unica si vaporizzasse. Più che un prestito è un guinzaglio.
6 Chi sottoscrive questa spazzatura avrà l'appoggio incondizionato della Bce attraverso il programma Omt, dice il Corriere. Ma Francoforte potrebbe sottoscrivere solo titoli fino a tre anni: in pratica, neanche il tempo di partecipare a un secondo mondiale, la Lagarde forse potrebbe cambiare idea. Mentre oggi la Bce - grazie al Pepp - acquista titoli a trent'anni. E dovendo la Bce pure sterilizzare la liquidità immessa con questo programma. Cioè togliendola da altre parti.
7 Le condizionalità cambiano in corsa: proprio così. Prima sciolgono il miele dentro il latte promettendo condizionalità «standard» e «leggere». Poi arriva il fiele: l'articolo 7 (5) del Regolamento 472/2013. E il memorandum firmato cambia. Niente condizionalità leggere ma patrimoniale e Fornero come non ci fosse un domani. Potremmo pure opporci avendo al nostro fianco «giganti» come Cipro e Malta. E magari convincendo Grecia, Portogallo, Spagna e Irlanda. Cosa quanto mai ardua, visto che sono sotto protezione del Mes. Magari avremmo pure Croazia e Slovenia dalla nostra parte. Ma la Germania e i suoi cugini no. La Francia ci saluta con un ciaone, come è abituata a fare. Svezia, Finlandia eccetera sono troppo biondi per noi mentre i Paesi dell'Est, che dall'Ue prendono soldi mentre noi ne mettiamo, hanno altro a cui pensare. Il film è già scritto: «Ci spiace le regole, sono cambiate». Si chiama doppia maggioranza qualificata. Basta che quindici Stati con oltre il 65% della popolazione Ue decidano di farci la festa e per noi cambia musica. Auguri.
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Da David Sassoli a Mortadella e Matteo Renzi, si ingrossa il fronte di coloro che vantano le «virtù» del Salvastati. Alla fine anche Silvio Berlusconi si accoda: adesso che faranno i grillini?Quel blitz di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy che fece archiviare gli eurobond. Previsti nella prima versione del Fondo, furono cancellati per volere di Parigi e Berlino.Il Fondo salvastati «light»? Chi ne parla sta mentendo. Ecco i 7 pilastri della truffa. Il Meccanismo di stabilità senza le famose condizionalità non può esistere. E credere il contrario potrebbe costarci caro.Lo speciale comprende tre articoli.Sono passati solo pochi giorni da quando, nella conferenza stampa di venerdì sera, Giuseppe Conte ha dichiarato che ritiene il Mes «strumento non adeguato», in un precario equilibrio verbale con «non lo useremo mai» del M5s. Quella sera il premier ha abilmente distratto l'uditorio, lanciando la disputa su chi avesse approvato il Mes: come se, nell'imminenza di un'esecuzione capitale, fosse importante capire il nome del progettista della forca.Una manovra dilatoria di breve respiro, comunque efficace e necessaria per consentire al «partito del Mes» di riorganizzare le idee e partire alla carica. Appena rallentata da un appello di 101 economisti che ieri, su Micromega, hanno invocato quanto qui ripetiamo da settimane: Il 23 aprile Conte respinga le proposte dell'Eurogruppo e chieda il finanziamento monetario di una parte rilevante delle spese necessarie da parte della Bce: ancorché vietata dai Trattati, che si possono sospendere per l'emergenza, è l'unica opzione sensata. Altrimenti, come ha detto lo stesso Conte, «facciamo da soli».Ma, per il resto, sembra il Conte di Carmagnola del Manzoni. «S'ode a destra uno squillo di tromba», a opera del presidente dell'Europarlamento, David Sassoli che, ospite da Fabio Fazio, lunedì sera fornisce una personale e infondata interpretazione: «Due giorni fa l'Eurogruppo ha sospeso il Mes e ha detto che quei soldi devono essere messi a disposizione di tutti i Paesi per l'emergenza sanitaria […] è una convenienza se l'Italia liberamente deciderà di usare questi 37 miliardi». Purtroppo per Sassoli, non è sospeso un bel nulla. Il documento finale afferma chiaramente che ci sono solo delle condizioni semplificate per l'accesso ai fondi e per tutto il resto, «si applicano le norme del Trattato sul Mes». Anzi, dopo la fine dellIl Fondo salvastati «light»? Chi ne parla sta mentendo. Ecco i 7 pilastri della truffaa crisi, se i Paesi beneficiari non si adeguassero al solito quadro di sorveglianza macroeconomica, ora sospeso, le condizioni potrebbero essere inasprite, unilateralmente e a maggioranza qualificata.«A sinistra risponde uno squillo», con Romano Prodi che dichiara che «il Mes non è più condizionato, non capisco più il mio Paese. Io sarei per usarlo […] è uno strumento nato con condizionamenti, per intervenire nei Paesi in crisi, come dire ti do i soldi ma sei in libertà vigilata. Giustamente l'Italia ha detto “basta, questo non lo voglio"». Ma, ha continuato l'ex premier, «nell'ultima riunione si è ottenuto il “discondizionamento", cioè il fondo europeo non è più condizionato». Anche in questo caso, il ribaltamento del tenore letterale delle raccomandazioni dell'Eurogruppo, che i leader dovranno esaminare il prossimo 23 aprile, è evidente. A Prodi andrebbe chiesto cosa ne sarà del suo «discondizionamento» quando il Mes, di fronte a un debito/Pil diretto al 160%, ci chiederà di fare un avanzo primario del 4/5% a colpi di tagli di spesa e aumenti di imposte, come chiederebbe di fare qualsiasi creditore.Ma l'ex premier attinge vette altissime quando sostiene che «è un prestito, ma talmente a basso interesse per cui: primo, lo ripaghiamo a lunghissimo tempo, secondo, ci costa un miliardo e mezzo in meno all'anno. Beh insomma... a caval donato, non si guarda in bocca». Omette di dire che il risparmio è ancora più grande quando la Bce compra i nostri Btp e li rinnova a scadenza, poiché gli interessi pagati tornano indietro nelle casse del Tesoro sotto forma di dividendi di Bankitalia. Se gli piace risparmiare, perché non sostiene questa causa?«Quinci spunta per l'aria un vessillo», portato da Federico Fubini che, sul Corriere della Sera, si accorge (qui ne scriviamo da due settimane) che «una clausola del Mes è infatti in grado - potenzialmente - di aprire al Paese il sostegno da prestatore di ultima istanza da parte della Banca centrale europea senza troppi costi politici». Si riferisce al fatto che un prestito del Mes, essendo connesso a rigorose condizioni, è porta di ingresso per l'accesso al programma di acquisti Omt della Bce. Ma il Mes che dà alla Bce la facoltà di acquistare è solo quello con condizioni «rigorose ed efficaci». Il solito bagno di sangue delle riforme, altro che «senza costi politici».Fubini è ancora più impreciso quando scrive che «se oggi un governo chiede al Mes l'accesso al prestito anti-pandemia, che è una Eccl, di fatto, mette la Bce legalmente in grado di decidere di comprare i suoi titoli su scadenze fra uno e tre anni senza limiti quantitativi prefissati». L'Omt infatti è stato fortemente limitato dalla sentenza della Corte di Giustizia di Strasburgo, a cui si è poi rifatta la Corte Costituzionale tedesca: per la Bundesbank quegli acquisti non sono illimitati dal 2015. Tanta è la voglia di magnificare il Mes che, per attrarci in trappola, gli attribuisce virtù inesistenti.«Ecco appare un drappello schierato». Ed è Confindustria che «fa appello al governo e a tutte le forze politiche affinché si utilizzino a questo fine i fondi messi a disposizione dal Mes senza condizionalità che non siano quelle della lotta al virus e alle sue conseguenze». Vengono i brividi a pensare ai quasi tre anni di recessione che seguirono al «Fate presto» del novembre 2011 intonato dagli stessi cantori.«Ecco un altro che incontro gli vien». Ed è Matteo Renzi, secondo cui «il Mes senza condizionalità va usato di corsa». E quando «già di mezzo è sparito il terreno» arriva il colpo finale di Silvio Berlusconi che, intervenendo in serata da Giovanni Floris, avvalora la posizione già espressa da Antonio Tajani, dice di sì al Mes e scatena una formidabile pressione sul M5s, al cui interno «già le spade rispingon le spade» che, a questo punto affonderanno senza scrupoli per decidere cosa ne sarà della linea «non useremo mai il Mes».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/prodi-confindustria-il-pd-gli-stessi-del-fate-presto-tifano-mes-assieme-al-cav-2645715896.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="quel-blitz-di-merkel-e-sarkozy-che-fece-archiviare-gli-eurobond" data-post-id="2645715896" data-published-at="1586889916" data-use-pagination="False"> Quel blitz di Merkel e Sarkozy che fece archiviare gli eurobond Gli eurobond sacrificati sull'altare dell'amicizia tra Parigi e Berlino da due boia d'eccezione: l'ex presidente francese, Nicolas Sarkozy, e l'attuale cancelliera tedesca Angela Merkel. Per chiarire i dettagli della tragica fine delle emissioni europee di debito comune occorre riavvolgere il nastro all'indietro, nel periodo che va dall'estate del 2011 fino ai primi mesi del 2012. La vicenda degli eurobond è intimamente legata a quella della nascita del Mes. Come chiarito ieri su queste stesse pagine, esistono due versioni del trattato istitutivo del Mes. La prima, approvata durante l'Ecofin svoltosi l'11 luglio 2011, fu firmata da Giulio Tremonti, a quei tempi ministro dell'Economia. La seconda, invece, risulta attualmente in vigore e venne approvata il 2 febbraio del 2012, quando a capo del governo c'era Mario Monti. Come recita la relazione che accompagna la legge di ratifica del 2012, firmata da Enzo Moavero Milanesi, Giulio Terzi di Sant'Agata e dallo stesso Monti, quella del 2 febbraio è una «nuova versione che supera quella sottoscritta l'11 luglio 2011», la quale non è stata «avviata a ratifica in nessun Paese dell'eurozona». È lo stesso professore a spiegare alla Verità che il Mes varato a luglio altro non era che il frutto di un «accordo politico finalizzato all'introduzione degli eurobond». Strumenti i quali, per questioni di natura legale non potevano essere inseriti direttamente nel trattato, ma che era previsto fossero realizzati a margine del Fondo salvastati. La tesi di Tremonti sulla fragilità del testo licenziato dall'Ecofin è suffragata dal fatto che appena dieci giorni dopo, il 21 luglio 2011, il vertice euro delibererà di modificare il trattato appena approvato per «accrescerne la flessibilità». Rimane il fatto che, se il Mes va avanti, degli eurobond si perdono le tracce. Perché? Come già dichiarato al nostro quotidiano dall'ex ministro, ci fu un periodo durante il quale intorno agli eurobond pareva ci fosse consenso. La lettera a quattro mani pubblicata sul Financial Times da Jean-Claude Juncker e dallo stesso Tremonti, datata 6 dicembre 2010, è la dimostrazione che le buone intenzioni per realizzarli c'erano tutte. Ma la prova regina risiede nella risoluzione approvata dal Parlamento europeo il 23 marzo 2011, la quale al punto «j» stabiliva che «ad integrazione del Meccanismo europeo di stabilità, l'Unione dovrebbe promuovere un mercato consolidato di eurobond». Qualcosa però, appena dopo il delicato accordo raggiunto a luglio, interviene per spezzare l'idillio. Subito dopo Ferragosto, il ministro tedesco dell'Economia, Philipp Roesler, esprime con forza la sua contrarietà agli eurobond: «La Germania verrebbe punita nonostante la sua buona politica economica». Sul Sole del 23 agosto, citando la proposta Tremonti-Juncker, intervengono a favore degli eurobond gli economisti Romano Prodi e Alberto Quadrio Curzio. Ma due giorni dopo arriva la doccia fredda: Hans-Werner Sinn, presidente del più importante pensatoio economico tedesco, informa che «il cancelliere tedesco Angela Merkel ha resistito alle pressioni provenienti dal Sud Europa e ha detto no agli eurobond». Secondo Sinn, si tratta di una lezione esemplare per gli Stati spreconi: «Per la ripartenza di questi Paesi non si può far altro che insistere pazientemente su una maggiore disciplina sul fronte del debito pubblico e porre fine ai permissivi vincoli di bilancio». Sul fronte interno, la Merkel sa che dire sì agli eurobond significa perdere voti. L'azione del governo italiano è neutralizzata dalla lettera minatoria che esige le riforme strutturali inviata da Mario Draghi e Jean-Claude Trichet. Si apre quindi un braccio di ferro tra l'allora presidente francese Nicolas Sarkozy e Angela Merkel. La svolta arriva il 5 dicembre con la resa di Sarkozy: «Gli eurobond non sono la soluzione, non possiamo rischiare una divergenza tanto grande tra le due economie più grandi d'Europa». Si apre così una delle pagine più oscure della storia recente dell'Ue, quella che Tremonti definisce la «chiamata dello straniero in Italia». Piegato dal ricatto dello spread, al governo guidato da Mario Monti non rimane che obbedire. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/prodi-confindustria-il-pd-gli-stessi-del-fate-presto-tifano-mes-assieme-al-cav-2645715896.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-fondo-salvastati-light-chi-ne-parla-sta-mentendo-ecco-i-7-pilastri-della-truffa" data-post-id="2645715896" data-published-at="1586889916" data-use-pagination="False"> Il Fondo salvastati «light»? Chi ne parla sta mentendo. Ecco i 7 pilastri della truffa La grande manipolazione è iniziata, come raccontiamo in queste pagine. Ma per quanti e quali motivi il Mes non è e non può essere il veicolo «leggero» che tutti ora ci raccomandano? 1 Fornirà un importo massimo pari al 2% del Pil, che prima del coronavirus era pari a 1.700 miliardi circa. Al massimo sono trentacinque miliardi a fronte della potenza di fuoco illimitata che la Bce, dopo alcune esitazioni, sta sparando, creando la moneta necessaria ad acquistare titoli di stato. 2 Il Mes è un creditore privilegiato e una volta che ha prestato soldi a uno Stato in caso di default pretende di essere soddisfatto per primo. Detto in altri termini, trasforma i tutti i titoli di stato in circolazione in subordinati. Cosa significa? Citofonate ai risparmiatori di Banca Etruria che avevano in portafoglio obbligazioni subordinate e sentite cosa vi rispondono. 3 Non serve. Avendo l'Italia accesso al mercato dei capitali con emissioni mediamente richieste in misura superiore al 50% di quanto offerto e tassi ridotti all'osso, perché mai dovremmo ricorrere a questo creditore? 4 Quasi il 18% dei soldi che il Mes ci presta sotto «rigorose condizionalità» (lo dice il Trattato, malgrado gli zelanti assertori del contrario) sono nostri. Li garantiamo per tale quota qualora il Fondo emettesse i titoli necessari a raccogliere i fondi. Qualora invece raccogliesse il capitale non ancora versato, avremmo sette giorni di tempo per versare la nostra quota pari a circa centodieci miliardi. 5 Legge del Lussemburgo. I suoi prestiti sono governati così. In caso di eurexit non potremmo ridenominare quel debito in lire (come coi nostri Btp), ma dovremmo pagare euro che non possiamo stampare o fiorini del Lussemburgo se la moneta unica si vaporizzasse. Più che un prestito è un guinzaglio. 6 Chi sottoscrive questa spazzatura avrà l'appoggio incondizionato della Bce attraverso il programma Omt, dice il Corriere. Ma Francoforte potrebbe sottoscrivere solo titoli fino a tre anni: in pratica, neanche il tempo di partecipare a un secondo mondiale, la Lagarde forse potrebbe cambiare idea. Mentre oggi la Bce - grazie al Pepp - acquista titoli a trent'anni. E dovendo la Bce pure sterilizzare la liquidità immessa con questo programma. Cioè togliendola da altre parti. 7 Le condizionalità cambiano in corsa: proprio così. Prima sciolgono il miele dentro il latte promettendo condizionalità «standard» e «leggere». Poi arriva il fiele: l'articolo 7 (5) del Regolamento 472/2013. E il memorandum firmato cambia. Niente condizionalità leggere ma patrimoniale e Fornero come non ci fosse un domani. Potremmo pure opporci avendo al nostro fianco «giganti» come Cipro e Malta. E magari convincendo Grecia, Portogallo, Spagna e Irlanda. Cosa quanto mai ardua, visto che sono sotto protezione del Mes. Magari avremmo pure Croazia e Slovenia dalla nostra parte. Ma la Germania e i suoi cugini no. La Francia ci saluta con un ciaone, come è abituata a fare. Svezia, Finlandia eccetera sono troppo biondi per noi mentre i Paesi dell'Est, che dall'Ue prendono soldi mentre noi ne mettiamo, hanno altro a cui pensare. Il film è già scritto: «Ci spiace le regole, sono cambiate». Si chiama doppia maggioranza qualificata. Basta che quindici Stati con oltre il 65% della popolazione Ue decidano di farci la festa e per noi cambia musica. Auguri.
Monterosa ski
Dopo un’estate da record, con presenze in crescita del 2% e incassi saliti del 3%, il sipario si alza ora su Monterosa Ski. In scena uno dei comprensori più autentici dell’arco alpino, da vivere fino al 19 aprile (neve permettendo) con e senza gli sci ai piedi, tra discese impeccabili, panorami che tolgono il fiato e quella calda accoglienza che da sempre distingue questo spicchio di territorio che si muove tra Valle d’Aosta e Piemonte, abbracciando le valli di Ayas e Gressoney e la Valsesia.
Protagoniste assolute dell’inverno al via, le novità.
A Gressoney-Saint-Jean il baby snow park Sonne è fresco di rinnovo e pronto ad accogliere i piccoli sciatori con aree gioco più ampie, un nuovo tapis roulant per prolungare il divertimento delle discese su sci, slittini e gommoni, e una serie di percorsi con gonfiabili a tema Walser per celebrare le tradizioni della valle. Poco più in alto, a Gressoney-La-Trinité, vede la luce la nuova pista di slittino Murmeltier, progetto ambizioso che ruota attorno a 550 metri di discesa serviti dalla seggiovia Moos, illuminazione notturna, innevamento garantito e la possibilità di scivolare anche sotto le stelle, ogni mercoledì e sabato sera.
Da questa stagione, poi, entra pienamente in funzione la tecnologia bluetooth low energy, che consente di usare lo skipass digitale dallo smartphone, senza passare dalla biglietteria. Basta tenerlo in tasca per accedere agli impianti, riducendo così plastica e attese e promuovendo una montagna più smart e sostenibile, dove la tecnologia è al servizio dell’esperienza.
Sul fronte di costi e promozioni, fioccano agevolazioni e formule pensate per andare incontro a tutte le tasche e per far fronte alle imprevedibili condizioni meteorologiche. A partire da sci gratuito per bambini sotto gli otto anni, a sconti del 30 e del 20 per cento rispettivamente per i ragazzi tra gli 8 e i 16 anni e i giovani tra i 16 e i 24 anni , per arrivare a voucher multiuso per i rimborsi skipass in caso di chiusura degli impianti . «Siamo più che soddisfatti di poter ribadire la solidità di una destinazione che sta affrontando le sfide di questi anni con lungimiranza. Su tutte, l’imprevedibilità delle condizioni meteo che ci condiziona in modo determinante e ci spinge a migliorare le performance delle infrastrutture e delle modalità di rimborso, come nel caso dei voucher», dice Giorgio Munari, amministratore delegato di Monterosa Spa.
Introdotti con successo l’inverno scorso, i voucher permettono ai titolari di skipass giornalieri o plurigiornalieri, in caso di chiusure parziali o totali del comprensorio, di avere crediti spendibili in acquisti non solo di nuovi skipass e biglietti per impianti, ma anche in attività e shopping presso partner d’eccellenza, che vanno dal Forte di Bard alle Terme di Champoluc, fino all’avveniristica Skyway Monte Bianco, passando per ristoranti di charme e botteghe artigiane.
Altra grande novità della stagione, questa volta dal respiro internazionale, l’ingresso di Monterosa Ski nel circuito Ikon pass, piattaforma americana che raccoglie oltre 60 destinazioni sciistiche nel mondo.
«Non si tratta solo di un’inclusione simbolica», commenta Munari, «ma di entrare concretamente nei radar di sciatori di Stati Uniti, Canada, Giappone o Australia che, già abituati a muoversi tra mete sciistiche di fama mondiale, avranno ora la possibilità di scoprire anche il nostro comprensorio». Comprensorio che ha tanto da offrire.
Sotto lo sguardo dei maestosi 4.000 del Rosa, sfilano discese sfidanti anche per i più esperti sul carosello principale Monterosa Ski 3 Valli - 29 impianti per 52 piste fino a 2.971 metri di quota - e percorsi più soft, adatti a principianti e bambini, nella ski area satellite di Antagnod, Brusson, Gressoney-Saint-Jean, Champorcher e Alpe di Mera; fuoripista da urlo nel regno imbiancato di Monterosa freeride paradise e tracciati di sci alpinismo d’eccezione - Monterosa Ski è il primo comprensorio di sci alpinismo in Italia. Il tutto accompagnato da panorami e paesaggi strepitosi e da un’accoglienza made in Italy che conquista a colpi di stile e atmosfere genuine. Info: www.monterosaski.eu.
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Dal foyer della Prima domina il nero scelto da vip e istituzioni. Tra abiti couture, la presenza di Pierfrancesco Favino, Mahmood, Achille Lauro e Barbara Berlusconi - appena nominata nel cda - spiccano le assenze ufficiali. Record d’incassi per Šostakovič.
Non c’è dubbio che un’opera dirompente e sensuale, che vede tradimenti e assassinii, censurata per la sua audacia e celebrata per la sua altissima qualità musicale come Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Dmítrij Šostakóvič, abbia influenzato la scelta di stile delle signore presenti.
«Quando preparo gli abiti delle mie clienti per la Prima della Scala, tengo sempre conto del tema dell’opera», spiega Lella Curiel, sessanta prime al suo attivo e stilista per antonomasia della serata più importante del Piermarini. Così ogni volta la Prima diventa un grande esperimento sociale, di eleganza ma anche di mise inopportune. Da sempre, la platea ingioiellata e in smoking, si divide tra chi è qui per la musica e chi per mostrarsi mentre finge di essere qui intendendosene. Sul piazzale, lo show comincia ben prima del do di petto. Le signore scendono dalle auto con la stessa espressione di chi affronta un red carpet improvvisato: un occhio al gradino e uno ai fotografi. Sono tiratissime, ma anche i loro accompagnatori non sono da meno, alcuni dei quali con abiti talmente aderenti che sembrano più un atto di fede che un capo sartoriale.
È il festival del «chi c’è», «chi manca» ma tutti partecipano con disinvoltura allo spettacolo parallelo: quello dei saluti affettuosi, che durano esattamente il tempo di contare quanti carati ha l’altro. Mancano sì il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio, il presidente del Senato e il presidente della Camera ma gli aficionados della Prima, e anche tanti altri, ci sono tutti visto che è stato raggiunto il record di biglietti venduti, quasi 3 milioni di euro d’incasso.
Sul palco d'onore, con il sindaco Beppe Sala e Chiara Bazoli (in nero Armani rischiarato da un corpetto in paillettes), il ministro della Cultura Alessandro Giuli, l’applaudita senatrice a vita Liliana Segre, il presidente di Regione Lombardia, Attilio Fontana accompagnato dalla figlia Cristina (elegantissima in nero di Dior), il presidente della Corte Costituzionale Giovanni Amoroso, i vicepresidenti di Camera e Senato Anna Ascani e Gian Marco Centinaio e il prefetto di Milano Claudio Sgaraglia. Nero imperante, quindi, nero di pizzo, di velluto, di chiffon ma sempre nero. Con un tocco di rosso come per l’abito di Maria Grazia compagna di Giuseppe Marotta («è un vestito di sartoria, non è firmato da nessun stilista»), con dettagli verdi scelti da Diana Bracco («sono molto rigorosa»). Tutto nero l’abito/cappotto di Andrée Ruth Shammah («metto sempre questo per la Prima con i gioielli colorati di mia mamma»). E così quello di Fabiana Giacomotti molto scollato sulla schiena («è di Balenciaga, l’ultima collezione di Demna»).
Ma esce dal coro Barbara Berlusconi, la più fotografata, in un prezioso abito di Armani dalle varie sfumature, dall’argento al rosso al blu («ho scelto questo abito che avevo già indossato per celebrarlo»), accompagnata da Lorenzo Guerrieri. Fresca di nomina nel cda della Scala (voluta da Fontana), si è soffermata con i giornalisti. «La scelta di Šostakovič - afferma - conferma che la Scala non è solo un luogo di memoria: è anche un teatro che ha il coraggio di proporre opere che fanno pensare, che interrogano il pubblico, lo sfidano, e che raccontano la complessità del nostro tempo. La Lady è un titolo "ruvido", forte, volutamente impegnativo, che non cerca il consenso facile. È un'opera intensa, profonda, scomoda, ma anche attualissima per i temi che propone». E aggiunge: «Mio padre amava l'opera e ho avuto il piacere di accompagnarlo parecchi anni fa a una Prima. Questo ruolo nel cda l'ho preso con grande impegno per aiutare la Scala a proseguire nel suo straordinario lavoro». Altra componente del cda, Melania Rizzoli, in nero vintage dell’amica Chiara Boni, arrivata con il figlio Alberto Rizzoli. In nero Ivana Jelinic, ad di Enit, agenzia nazionale del Turismo. In blu firmato Antonio Riva, Giulia Crespi moglie di Angelo, direttore della Pinacoteca di Brera. In beige Ilaria Borletti Buitoni con un completo confezionato dalla sarta su un suo disegno. Letteralmente accerchiati da giornalisti, fotografi e telecamere Pierfrancesco Favino con la moglie Anna Ferzetti, Mahmood in Versace («mi sento regale») e Achille Lauro che dice quanto sia importante che l’opera arrivi ai giovani. Debutto lirico per Giorgio Pasotti mentre è una conferma per Giovanna Salza in Armani e ospite abituale è l’artista Francesco Vezzoli.
Poi, in 500, alla cena di gala firmata dallo chef 2 stelle Michelin nella storica Società del Giardino Davide Oldani. E così la Prima resta quel miracolo annuale in cui tutti, almeno per una sera, riescono a essere la versione più scintillante (e leggermente autoironica) di sé stessi.
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Guido Guidesi (Imagoeconomica)
Le Zis si propongono come aree geografiche o distretti tematici in cui imprese, startup e centri di ricerca possano operare in sinergia per stimolare l’innovazione, generare nuova occupazione qualificata, attrarre capitali, formare competenze avanzate e trattenere talenti. Nelle intenzioni della Regione, le nuove zone dovranno funzionare come poli stabili, riconosciuti e specializzati, ciascuno legato alle vocazioni produttive del proprio territorio. I progetti potranno riguardare settori differenti: manifattura avanzata, digitalizzazione, life science, agritech, energia, materiali innovativi, cultura tecnologica e altre filiere considerate strategiche.
La procedura di attivazione delle Zis è così articolata. La Fase 1, tramite manifestazione di interesse, permette ai soggetti coinvolti di presentare un Masterplan, documento preliminare in cui vengono indicati settore di specializzazione, composizione del partenariato, governance, spazi disponibili o da realizzare, laboratori, servizi tecnologici e prospetto di sostenibilità. La proposta dovrà inoltre includere la lettera di endorsement della Provincia competente. Ogni Provincia potrà ospitare fino a due Zis, senza limiti invece per le candidature interprovinciali. La dotazione economica disponibile per questa fase è pari a 1 milione di euro: il contributo regionale finanzia fino al 50% delle spese di consulenza per la stesura dei documenti necessari alla Fase 2, fino a un massimo di 100.000 euro per progetto.
La Fase 2 è riservata ai progetti ammessi dopo la valutazione iniziale. Con l’accompagnamento della Regione, i proponenti elaboreranno il Piano strategico definitivo, che dovrà disegnare una visione a lungo termine con orizzonte al 2050. Il programma di sviluppo indicherà le azioni operative: attrazione di nuove imprese e startup innovative, apertura o potenziamento di laboratori, creazione di infrastrutture digitali, percorsi formativi ad alta specializzazione, incubatori e servizi condivisi. Sarà inoltre definito un modello economico sostenibile e un sistema di monitoraggio basato su indicatori misurabili per valutare impatti occupazionali, tecnologici e competitivi.
I soggetti autorizzati alla presentazione delle candidature sono raggruppamenti pubblico-privati con imprese o startup come capofila. Possono partecipare enti pubblici, Comuni, Province, camere di commercio, università, centri di ricerca, enti formativi, fondazioni, associazioni e organizzazioni del terzo settore. Regione Lombardia avrà il ruolo di coordinatore e facilitatore. All’interno della direzione generale sviluppo economico sarà istituita una struttura dedicata al supporto dei territori: un presidio tecnico incaricato di orientare, assistere e valorizzare le progettualità, monitorando l’attuazione e la coerenza con gli obiettivi strategici.
Nel corso della presentazione istituzionale, l’assessore allo Sviluppo economico, Guido Guidesi, ha dichiarato: «Cambiamo per innovare. Le Zis saranno il connettore dei valori aggiunti di cui già disponiamo e che metteremo a sistema, ecosistemi settoriali che innovano in squadra tra aziende, ricerca, formazione, istituzioni e credito. Guardiamo al futuro difendendo il nostro sistema produttivo con l’obiettivo di consegnare opportunità ai giovani». Da Confindustria Lombardia è arrivata una valutazione positiva. Il presidente Giuseppe Pasini ha affermato: «Attraverso le Zis si intensifica il lavoro a favore delle imprese e dei territori. Apprezziamo la capacità di visione e la volontà di puntare sui giovani».
Ogni territorio svilupperà la propria specializzazione, puntando su filiere già forti o sulla creazione di nuovi segmenti tecnologici. Il percorso non prevede limiti settoriali ma richiede sostenibilità economica e capacità di generare ricadute occupazionali misurabili.
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