2024-06-26
«Primo accordo per l’Ursula bis». Ma senza la Meloni i numeri ballano
Antonio Costa, Ursula von der Leyen e KajaKallas (Ansa)
Tra Ppe, socialisti e liberali intesa anche sul portoghese Antonio Costa al Consiglio Ue e sull’estone Kaja Kallas agli esteri Raffaele Fitto verso una poltrona di peso. Nel caso, il premier non darà le deleghe del ministro a Giancarlo Giorgetti e Roberto Calderoli.Sui vertici Ue, ora le danze possono dirsi ufficialmente aperte. Ieri dalla Germania, da fonti che non è difficile collegare all’entourage del Ppe e della stessa leader della Commissione, è filtrata la notizia che i negoziatori incaricati dalle forze della maggioranza uscente, e cioè Donald Tusk e Kyriakos Mitsotakis per il Ppe, Pedro Sanchez e Olaf Scholz per i Socialisti, Emmanuel Macron e Mark Rutte per i Liberali, hanno raggiunto l’accordo per formalizzare le candidature di loro competenza per le figure apicali. Nessuna sorpresa, perché i nomi sono quelli in circolazione sin dal giorno dopo le elezioni europee, a partire dalla richiesta di un bis per Ursula von der Leyen, alla quale si affianca la designazione della premier estone Kaja Kallas come Alto Rappresentante per la politica estera e l’ex premier portoghese Antonio Costa alla presidenza del Consiglio europeo, sulla poltrona che negli ultimi anni è stata di Charles Michel. Dovrà invece attendere due anni e mezzo l ex premier Enrico Letta, per sapere se potrà sostituire Costa, quando questo sarà entrato eventualmente in vigore. Queste candidature, come noto, dovranno essere ufficialmente adottate dal Consiglio Ue previsto per questo fine settimana a Bruxelles, che diventa dunque la sede più «calda» per i negoziati veri e propri, quelli cioè che devono assicurare alla Von der Leyen il consenso necessario per superare la prova del voto parlamentare. L’accordo su questi nomi, infatti, non era in discussione, poiché questo è frutto di un negoziato tutto interno alla maggioranza uscente Ppe-Pse-Renew Europe, che però ha subito un’erosione dei voti a disposizione nel rinnovato Europarlamento. Le tre forze che hanno governato l’Ue negli ultimi cinque anni, infatti, possono contare su una maggioranza che si attesta sui 400 voti, una quarantina in più della soglia prescritta di 361. Il fatto è che questo margine non è sufficiente per mettersi al riparo dalla soglia fisiologica dei franchi tiratori. E in questo caso, la soglia potrebbe essere anche superiore a quella ritenuta fisiologica, perché il presidente uscente arriva non col vento in poppa all’appuntamento, con un mandato piuttosto fiacco fornitole dal congresso del Ppe che si è svolto a Bucarest, e dall’aperta contrarietà dei francesi. Ecco perché, in quest’ottica, diventa decisiva l’interlocuzione che la Von der Leyen avrà con il nostro premier Giorgia Meloni. Da Berlino arrivano segnali chiarissimi che la leader Ue sta alzando il pressing sul nostro presidente del Consiglio, usando però tutte le cautele necessarie sia per non esporre troppo Meloni nei confronti del gruppo conservatore e delle altre componenti di destra, sia per non esporre sé stessa alle critiche di Socialisti e Liberali, piuttosto severi sulla possibilità di una forma di accordo con Ecr. L’intenzione di «Ursula», dunque, e della maggior parte del suo partito, sarebbe quella di guardare a destra piuttosto che ai Verdi, anche in virtù del fallimento presso l’opinione pubblica continentale del green deal. Le «veline» veicolate dalla tedesca Faz, infatti, dicono che Ursula von der Leyen negozierà direttamente con Giorgia Meloni per la futura maggioranza Ue, «non in quanto leader dei Conservatori Ue ma in qualità di premier italiana». Sull’altro piatto della bilancia, il portafoglio da riservare all’Italia nella futura Commissione, che sembra andare sempre di più nella direzione della nomina di Raffaele Fitto come Supercommissario alla Coesione e al Recovery plan. Alla possibile nomina di Fitto (che piace anche al solitamente schizzinoso presidente francese Emmanuel Macron) e che i bene informati danno sempre più concreta, si lega una questione interna non certo di poco conto, poiché legata agli equilibri interni del governo e della maggioranza: cosa fare, in caso di trasloco di Fitto a Bruxelles, delle deleghe da lui detenute a Palazzo Chigi? Le strade percorribili sono due: la prima è lasciare tutte le deleghe oggi in capo a Fitto (Pnrr, Coesione, Affari europei e Sud) unite, ma in quel caso occorrerebbe individuare un altro ministro, procedendo a un mini-rimpasto e, come si sa, in questi casi non è facile spostare una sola pedina senza provocare qualche turbolenza interna alla maggioranza. L’altra strada, che sembra quella più verosimile, è di procedere allo spacchettamento delle deleghe, assegnandole - ad esempio - in parte al Mef e in parte agli Affari Regionali, guidati entrambi da esponenti leghisti. L’ipotesi spacchettamento, però, nelle ultime ore sembrerebbe andare maggiormente in direzione di una riassegnazione interna alla presidenza del Consiglio, coinvolgendo figure di assoluta fiducia della premier come Giambattista Fazzolari e Alfredo Mantovano, o dell’individuazione di un nuovo sottosegretario che si occupi del dossier più importante, quello relativo al Pnrr. Intanto, il diretto interessato non si sbilancia ma fa sapere che è pronto a ricoprire qualsiasi incarico, se glielo chiedesse Giorgia Meloni. «La prossima riunione del Consiglio europeo», si è limitato a dire Fitto, «sarà un’occasione molto importante per discutere dei nuovi assetti istituzionali dell’Unione europea e l’Italia intende esercitare in questa discussione un ruolo di primo piano, adeguato al suo status di Paese fondatore». Proprio su questo, stamani, Meloni riferirà in Parlamento, prima alla Camera (alle 9) e poi al Senato, alle 15.
Francesca Albanese (Ansa)
Andrea Sempio. Nel riquadro, l'avvocato Massimo Lovati (Ansa)