2018-06-13
Prima grana diplomatica per Salvini. Le tribù libiche presentano il conto
L'esecutivo Pd ha promosso una politica di incentivi economici solo verso alcuni attori, ma ne ha ignorati altri. Per contare servono una visione più ampia, presenza militare e patti anche con i nemici del governo di Tripoli.La rinegoziazione del Trattato di Dublino rischia di rendere il blocco di Visegrád nostro nemico: serve la sponda di Sebastian Kurz.Il vice premier Matteo Salvini ha detto che andrà in Libia a fine mese. «Non è possibile che solo la Guardia costiera italiana, la Marina militare italiana, solo con una risibile partecipazione della missione cosiddetta europea, si facciano carico del pattugliamento e del salvataggio nel Mediterraneo. Il punto fermo sulle Ong, che rivolgeremo anche ad altre navi straniere in attesa del loro carico di esseri umani, è che avremo lo stesso atteggiamento», assunto con la Aquarius, ha detto il ministro dell'Interno, aggiungendo che «la nostra Marina e la nostra Guardia costiera continueranno a salvare vite come sempre, però gli altri Paesi europei danno una mano». Le dichiarazioni hanno sollevato le ormai note polemiche in Europa, hanno portato a casa i primi risultati e hanno smosso gli equilibri in Libia. Il Paese che si trova attraversato dai flussi d'immigrazione provenienti da Sud. Il portavoce della Guardia costiera libica, il capitano Ayoub Qasem, ha commentato la notizia della decisione delle autorità italiane di chiudere i porti alle navi con a bordo i migranti soccorsi al largo delle coste libiche affermando che «il rifiuto dell'Italia di accogliere i migranti potrebbe ridurre le partenze verso l'Europa». Parlando ad agenzia Nova, l'ufficiale ha spiegato che «le nostre forze lavorano anche per salvare i migranti dai naufragi al largo delle coste della Tripolitania». Secondo Qasem, «la decisione presa dall'Italia potrebbe ridurre le partenze dei migranti verso l'Europa, ma aumenterà le sofferenze di coloro i quali sono nel Mediterraneo». L'ufficiale libico si dice però d'accordo con «il messaggio che ha voluto lanciare il ministro dell'Interno italiano, Matteo Salvini, ai migranti e ai Paesi dai quali partono», ovvero che «l'Europa ha smesso di accoglierli e questo potrebbe ridurre le partenze». Questo «atteggiamento spingerà i migranti africani a pensarci bene prima di salire sui barconi della morte verso l'Italia». Anche se nella prima metà dell'anno è aumentato il numero degli interventi in mare dei suoi uomini, secondo l'ufficiale libico le partenze dei migranti dalla Libia sono diminuite rispetto agli anni precedenti. Le dichiarazioni ufficiali aprono a questo punto uno scenario molto delicato per il nostro Paese. La Libia che attende Salvini non è mai stata così divisa e l'impresa che lo aspetta è assai complicata. Idem il lavoro della nostra intelligence. Negli ultimi tre anni la politica e l'approccio verso le milizie del Paese è stato quello degli accordi economici. Pagare le singole tribù è stato vantaggioso nel brevissimo termine e dannoso già nel medio. Soprattutto sarà difficile adesso per il nuovo governo fare un passo indietro. Chi è abituato a ricevere denaro, ha difficoltà ad accettare di impegnarsi su accordi gratuiti. Basti analizzare quanto successo a Misurata. A ottobre del 2016 Roma dona alla città libica un ospedale da campo con 50 posti letto. Inaugurato in grande stile dall'ex ministro della Difesa, Roberta Pinotti, è già caduto in disgrazia. Il mese scorso ha rischiato di essere trasferito dentro l'aeroporto o addirittura a Tripoli. Nel primo caso finirebbe con l'essere messa in discussione la nostra presenza militare nella zona di Misurata. Nel secondo caso verrebbe meno l'intento che ha portato all'ideazione del progetto Ippocrate. Donare l'ospedale a Misurata era un modo per aprire un nuovo fronte di amicizia con le milizie di Katjiba Halbous, le stesse che meno di tre settimane fa hanno assediato la zona meridionale di Tripoli, dando al governo di Fayez Al Sarraj un messaggio chiarissimo. Esiste un terzo interlocutore al di là del generale Khalifa Haftar che domina in Tripolitania. Il mandato della missione bilaterale di assistenza e supporto in Libia (Miasit) ha lo scopo di «fornire assistenza e supporto al governo di accordo nazionale libico ed è frutto della riconfigurazione, in un unico dispositivo, delle attività di supporto sanitario e umanitario previste dall'Operazione Ippocrate e di alcuni compiti di supporto tecnico manutentivo a favore della Guardia costiera libica rientranti nell'operazione Mare Sicuro», spiega in maniera dettagliata il sito Analisidifesa.it.In linea con quel modello operativo lo scorso gennaio è stata lanciata una nuova missione che dovrebbe includere anche istruttori e consiglieri militari destinati ad addestrare le forze fedeli ad Al Sarraj, che non dispone di forze armate ma solo di milizie che lo sostengono. Tutti questi tasselli messi in fila dal governo Gentiloni si sono incagliati perché supponevano un quadro più ampio. Innanzitutto la presenza militare in Niger, che però il governo locale ha stoppato. La stessa cosa è accaduta in Tunisia. Il precedente governo ha sempre snobbato Haftar, il quale è stato spinto ancor di più tra le braccia di Emmanuel Macron. Sarà importante ridefinire la nostra presenza militare in Libia e quindi quella della nostra intelligence. Per farlo non basterà chiudere accordi con qualche singola tribù ma aprire una trattativa più ampia. Esattamente come sta facendo la Francia. Claudio Antonelli<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/prima-grana-diplomatica-per-salvini-le-tribu-libiche-presentano-il-conto-2577516657.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="asse-italia-austria-per-convincere-orban-a-non-far-muro-sugli-immigrati" data-post-id="2577516657" data-published-at="1758188726" data-use-pagination="False"> Asse Italia-Austria per convincere Orbán a non far muro sugli immigrati Girando per l'Europa è interessante notare come molti governanti stranieri abbiano iniziato, dal giorno del giuramento del nuovo governo italiano, a considerare la problematica migratoria come una questione sulla quale l'Italia non va lasciata sola. La Commissione ha già proposto di triplicare i fondi a disposizione per il controllo delle frontiere e il commissario Dimitris Avramopoulos ha dichiarato che è necessario aumentare le risorse per la prevenzione dei passaggi illegali dei confini dell'Ue. Perfino la Germania della cancelliera Angela Merkel, sperando di poter ottenere il sostegno dell'Italia nelle sue future posizioni anti Donald Trump, continua a lanciare segnali di avvicinamento a Roma, ma soprattutto cerca di trovare risposte comunitarie alla sempre più crescente opposizione interna guidata dal ministro degli Interni, l'ex premier bavarese Horts Seehofer. Seehofer, che doveva presentare lunedì il suo piano anti migrazioni, è stato fermato in extremis dalla cancelliera in quanto la proposta criticava l'approccio fin qui tenuto e preteso la chiusura ermetica dei confini nei confronti degli extracomunitari privi di documenti. Ufficialmente la presentazione del piano è stata fatta slittare a data da destinarsi in quanto la sua struttura portante avrebbe violato la legislazione comunitaria. In verità il piano di Seerhofer palesava la preoccupazione di tutti i governi dell'Europa centrale. A nome loro, da diverse settimane il ministro degli Interni Sloveno Gyorkos Znidar cerca di evidenziare che la pressione sulla rotta balcanica è destinata ad aumentare e che con le norme attuali ai Paesi della regione non rimarrebbe altro che la chiusura dei confini Schengen. Negli ultimi 30 giorni i passaggi illegali tra la Croazia e la Slovenia sono quintuplicati. L'idea che Seerhofer non è riuscito a presentare racchiudeva in nuce un effetto domino: se la Germania optasse per la chiusura, a esserne colpita sarebbe l'Austria, e l'Austria di conseguenza appoggerebbe politiche simili da parte di Lubiana e Budapest. In senso preventivo va perfino compresa l'istituzione in questi giorni della nuova forza speciale austriaca denominata Puma, formata da 600 poliziotti specializzati nella gestione della problematica migratoria, che terrà la sua prima esercitazione al confine sloveno il 25 giugno, ovvero esattamente nel giorno in cui a Lubiana si festeggia la principale festa nazionale. Angela Merkel si rende conto che la questione migratoria potrebbe perfino destabilizzare l'unità della federazione tedesca qualora l'ex premier bavarese riuscisse a cavalcare l'onda della protesta anti migratoria, e il fatto che il suo ministro abbia invitato a Berlino Matteo Salvini senza consultarla non può che accentuare le sue preoccupazioni. Tutto ciò significa che nei prossimi giorni il Parlamento e il Consiglio europeo difficilmente troveranno il compromesso necessario per modificare il trattato di Dublino, e la minaccia italiana di far saltare il vertice di venerdì con la Francia in verità non fa altro che prendere atto di tale stallo. Il governo austriaco, presidente di turno dell'Unione da fine mese, pare oramai rassegnato a prendere la staffetta della questione, riproponendola entro la fine dell'anno. In questo lasso di tempo, il ministro degli Interni italiano scoprirà che la posizione dei Paesi del gruppo di Visegrád e soprattutto dell'Ungheria cozzeranno contro gli interessi italiani. Se il premier ungherese Viktor Orbán era in passato per Salvini un alleato nei confronti delle politiche di Bruxelles e della Germania, ora diventa una controparte la cui posizione sulla problematica delle migrazioni è chiara da diversi anni e non lascia alcuna possibilità alla redistribuzione delle quote sul proprio territorio. La seconda metà dell'anno sarà caratterizzata da una presidenza «dell'Europa centrale», dove anche la questione bavarese potrebbe avere un ruolo non secondario. La diplomazia italiana dovrebbe sfruttare questo lasso di tempo per trovare attraverso il governo viennese, di sponda con l'agenda personale di Seerhofer e con le altre capitali della regione un canale di dialogo che porti ad accordi su dei minimi comuni denominatori. Le quote di redistribuzione non saranno mai accettate da Orbán, tuttavia sarebbe facile parlare con lui di chiusura delle frontiere, di maggiori fondi per gli Stati, di politiche di stabilizzazione nelle regioni di provenienza dei migranti, di lotta al business della tratta e al turismo degli asili politici. Ciò creerebbe nei Paesi dell'Europa centrale aperture politiche a favore dell'interesse italiano e della ridefinizione dell'intera politica d'asilo. Laris Gaiser
Nucleare sì, nucleare no? Ne parliamo con Giovanni Brussato, ingegnere esperto di energia e materiali critici che ci spiega come il nucleare risolverebbe tutti i problemi dell'approvvigionamento energetico. Ma adesso serve la volontà politica per ripartire.