2025-06-30
Il pride di Budapest sbugiarda gli attacchi Ue a Orbán «dittatore»
Nessuna repressione: Bruxelles critica l’Ungheria solo perché politicamente scomoda.Alla fine il pride a Budapest lo hanno fatto, e a quanto pare senza drammi né violenze, per fortuna. Niente polizia che bastona e arresta o servizi segreti che fanno sparire gli attivisti in stile sudamericano. Niente esaltati che prendono a martellate i passanti, come invece accaduto in occasione di altre manifestazioni in Ungheria. Il governo - legittimamente - non gradiva, ma i manifestanti sono andati ugualmente e non ci sono stati né spargimenti di sangue né incarcerazioni di massa. Anzi, ieri i media progressisti celebravano il grande successo della sfilata, contenti loro. Ciò dimostra, incidentalmente, che a Budapest non regna un tiranno sanguinario, bensì un governo regolarmente eletto che sceglie su alcuni temi di legiferare in maniera sgradita ai vertici dell’Unione europea. Si è senz'altro liberi di non condividere, si ha senza dubbio il diritto di criticare e pure quello - se si vuole - di sfidare le leggi locali e di contestare platealmente la volontà dell’esecutivo. Certo, sarebbe più coerente e coraggioso - a voler fare gli eroi della libertà - organizzare grandi sfilate e cortei di protesta laddove veramente è messa in pericolo la vita stessa delle minoranze, e laddove le manifestazioni sono represse nel sangue. Ma comprendiamo che sia più semplice marciare dove, dopo tutto, le sanzioni non sono draconiane e non si rischia la pellaccia. Comunque sia resta che gli ungheresi abbiano il diritto di governarsi come credono, anche quando decidono di mettere limiti a certe esibizioni pubbliche. Perché le possibilità sono due: o si ammette che esistano diritti stabiliti da Dio e dalla natura e per questo inviolabili, o si stabilisce che siano le società a dotarsi di diritti frutto di elaborazione politica. Questo secondo caso, proprio delle democrazie liberali, prevede anche che qualcuno non sia d’accordo con la linea dominante. Se sono i popoli a fare il diritto, allora un popolo deve poter fissare liberamente i propri paletti. Conosciamo l’obiezione. Si dice, ed è stato ripetuto anche sui giornali italiani, che Viktor Orbán deve essere sanzionato e deprecato perché sta minando libertà fondamentali, colpisce i fondamenti stessi della democrazia e questo lo rende estraneo alla tradizione e ai valori europei. Lo ha scritto ieri Michele Serra: «Dopo il Pride di Budapest, sarà più chiaro a tutti che i diritti della persona sono cosa di primissimo rilievo politico. Non un falso obiettivo per una sinistra disorientata e ripiegata su se stessa, non uno sfizio, e quasi un vizio, da occidentali annoiati, non uno spreco di energie distolte dalle questioni sociali e salariali. No: qualcosa che riguarda l’essenza stessa della democrazia, in grado di costringere un intero continente, classe politica e opinione pubblica, a riflettere su se stesso, con l’odio fascista che si mette (inutilmente) di traverso e il truce governo ungherese isolato e costretto alle corde assieme al cospicuo novero dei suoi alleati europei, governo italiano in primo luogo». Bene, mettiamo che sia vero. Mettiamo che i diritti della persona siano realmente la prima e più importante questione politica. Ci può spiegare allora il Serra, con l’aiuto magari dei suoi amici di sinistra, come mai questi diritti in altre occasioni possono essere negati senza particolari problemi? L’Ungheria viene minacciata e ricattata per le sue posizioni sulle questioni arcobaleno. Ma se tali questioni sono il metro della civiltà, allora toccherebbe alla sinistra rivedere le proprie posizioni su molte nazioni amiche, da Cuba alla Palestina passando per l’Ucraina. Senza andare troppo lontano, comunque, non ci risulta che sia stato mostrato particolare sdegno nei riguardi del Regno Unito che incarcera i cittadini per un post su Internet o della Germania che manda la polizia a casa della gente sempre a causa di un commento online. Non abbiamo mai visto manifestazioni di sdegno progressista per la libertà di parola negata a questo o quel movimento di destra: anzi, i progressisti sono i primi a invocare la repressione. Non hanno mostrato particolare indignazione nemmeno di fronte alla palese e feroce discriminazione verificatasi negli anni del Covid e ancora adesso la giustificano. Si ergono a giudici del bene e del male, pretendono di stabilire quali valori siano sacri e quali no. E difendono i diritti soltanto se non trovano più conveniente negarli.
Niccolò Celesti (Instagram)