
Secondo la vulgata, l’unica causa sarebbero i dazi americani In realtà, questo bene rifugio serve a rendere più forte lo yuan.L’oro ha toccato mercoledì un nuovo massimo storico a 3.635 dollari l’oncia a New York, pari a un aumento del 44% rispetto ad un anno fa. Un vero record. È un nuovo primato assoluto anche considerando il prezzo dell’oro aggiustato per l’inflazione.Ieri le quotazioni sono scese un po’, ma il prezzo resta sempre attorno ai 3.600 dollari. Dalle analisi dei paludati esperti di borsa e finanza emerge che il motivo di un tale primato starebbe nelle incertezze legate all’azione politica di Donald Trump negli Stati Uniti. Il presidente americano, secondo il parere di giornalisti e analisti, con i dazi sta gettando nello scompiglio i commerci mondiali, indebolendo il dollaro, e con la sua azione per sottoporre a controllo politico la Federal Reserve Bank lascia intravedere un futuro di tassi bassi e conseguente inflazione.L’aspettativa di un taglio dei tassi da parte della Fed è in realtà piuttosto concreta, non per le mosse di Trump ma per scelta del prossimo Federal Open Market Committee guidato da Jerome Powell, che nella prossima riunione del 16 e 17 settembre potrebbe ridurre il costo del denaro di un quarto di punto.Sarebbero quindi la debolezza del dollaro e le aspettative di inflazione a guidare il rally dell’oro, tradizionalmente considerato un antidoto ad essa. Ma è davvero così? Non c’è dubbio che il dollaro si sia indebolito, come conseguenza delle decisioni politiche della Casa Bianca. Ma più delle aspettative, sul mercato dell’oro oggi pesa un elemento che nessuno sembra considerare, ovvero lo squilibrio nei fondamentali.Vi è cioè una forte domanda di oro fisico, in particolare da parte della Cina. Più nel dettaglio, si tratta della domanda da parte degli investitori privati cinesi. Non si parla degli acquisti della Banca centrale cinese (People’s Bank of China, Pbc), che proseguono, sì, ma a un ritmo moderato. Nei primi sei mesi di quest’anno, infatti, gli acquisti della Banca centrale di Pechino si collocano tra 19 e 21 tonnellate, in linea con il ritmo del 2024 (quando nei 12 mesi acquistò 44 tonnellate) e ben al di sotto del 2023, quando la Pbc comprò 225 tonnellate di oro, un record. La banca centrale polacca, ad esempio, ne ha acquisite nel primo semestre più del triplo, circa 68 tonnellate.Ciò che sta sconvolgendo il mercato è la domanda degli investitori privati in Cina. Nel solo secondo trimestre di quest’anno la domanda di lingotti e monete in Cina da parte dei privati ha raggiunto le 115 tonnellate (12 miliardi di dollari, un record). Considerato il dato già notevole del primo trimestre 2025, questa cifra ha spinto il totale degli acquisti privati cinesi del primo semestre a 239 tonnellate, oltre dieci volte gli acquisti della banca centrale, con un aumento del 26% su base annua.Anche i fondi Etf cinesi garantiti dall’oro hanno visto un’enorme mole di acquisti (quasi 85 tonnellate nel primo semestre), pari a un +300% rispetto al semestre precedente e record assoluto di sempre (dati World Gold Council).Allo stesso tempo, il mercato azionario cinese ha registrato una forte ripresa da aprile, con i principali indici che hanno guadagnato oltre il 20%. L’indice di Shanghai ha toccato il massimo decennale qualche giorno fa. Gli investitori al dettaglio hanno aperto il 166% in più di nuovi conti. Insomma, c’è una vera e propria corsa all’oro e alla borsa in Cina, negli ultimi mesi.Pechino sta cercando di intervenire per frenare l’euforia in borsa, memore del disastro del 2015, quando al picco degli indici azionari seguì un crollo del 40%.Il governo cinese però non è intenzionato a limitare la corsa all’oro e in questo c’è della logica. Accumulare oro infatti consentirebbe a Pechino di accreditare sempre di più lo yuan come moneta alternativa al dollaro. Mentre infatti Xi Jinping rafforza le sue relazioni diplomatiche con il circuito dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (Sco), come si è visto in questi giorni, la Cina sta allargando il raggio di azione dello yuan nelle transazioni commerciali.Per diventare un riferimento mondiale ci vuole altro, però, e un bel mucchio di oro è quello che serve. Nel novembre 2023 la Pbc e la Banca Centrale dell’Arabia Saudita hanno firmato un accordo triennale di swap valutario per facilitare pagamenti in yuan e riyal, fino a 50 miliardi di yuan. Un accordo che semplifica gli acquisti di petrolio da parte del maggior consumatore del mondo. Anche se non vi sono conferme ufficiali, è immaginabile che l’Arabia di Mohamed Bin Salman abbia chiesto un sostanzioso collaterale in oro a coronamento dell’accordo di swap.Sulla base di questo modello, per la Cina l’accumulo di oro è funzionale all’espansione dello yuan e Pechino sta molto investendo su questo. Lo Shanghai Gold Exchange (Sge) ha lanciato nel giugno scorso il primo deposito di oro fuori dalla Cina continentale, a Hong Kong, per rendere più semplice comprare e vedere oro. Voci non confermate parlano dell’apertura di un deposito simile anche in Arabia Saudita, che darebbe la possibilità agli esportatori di petrolio di convertire direttamente in oro lo yuan ricevuto in pagamento, senza passare per il dollaro americano. La costituzione di depositi di oro fisico all’estero da parte dello Shanghai Gold Exchange è dunque una parte importante della strategia di Pechino per imporre lo yuan come valuta alternativa al dollaro. Ma questa è solo l’infrastruttura: per fare tutto ciò serve prima accumulare molto oro, che è quello che la Cina sta facendo. Più che da Trump, insomma, il rally dell’oro è trainato da Xi Jinping.
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