True
2019-10-08
Preti sposati e un ministero per le donne: Hummes detta il programma al Sinodo
Ansa
Avvio in canoa per il Sinodo panamazzonico che fino al prossimo 27 ottobre terrà impegnati in Vaticano ben 184 padri sinodali. Ieri mattina la grande assemblea ha preso il via dalla basilica di San Pietro con una processione verso l'aula Paolo VI, luogo del lavori, con alla testa del corteo una canoa con tutti i simboli e i prodotti tipici della regione panamazzonica, reti da pesca, cartelli con santi della regione e il Papa che avanzava circondato dagli indios e dai loro canti. Fra la folla anche padre Alex Zanotelli da sempre in prima linea per le cosiddette chiese di base.
Papa Francesco avvia così un altro processo, secondo la sua ripetuta massima che occorre «avviare processi e non occupare spazi». I critici sostengono che questa prassi sia semplicemente un modo per spingere certe novità che non sarebbero sviluppi della dottrina o modi di inculturare il Vangelo, ma forzature che stridono con il deposito della fede. È questa la posizione espressa dai cardinali dubbiosi Raymond Burke e Walter Brandmüller, ma voci critiche si sono sentite anche dal cardinale Gerhard Müller, dal cardinale Robert Sarah e persino dal prefetto della Congregazione dei vescovi, Marc Ouellet. Le controversie che hanno accompagnato il documento di lavoro di questo Sinodo riguardano la questione della possibile ordinazione di uomini sposati di provata fede al sacerdozio, la definizione di una specie di diaconato femminile e, infine, una sorta di ecoteologia indigenista che scavalcherebbe la legittima inculturazione del Vangelo per trasformarsi in una specie di inedito luogo teologico.
Nella linea dell'avviare processi il Papa, aprendo l'assemblea, ha detto che il discusso documento di lavoro, l'Instrumentum laboris, «è un testo martire, destinato a essere distrutto perché è un punto di partenza per ciò che lo Spirito farà in noi». In concreto questo punto di partenza del processo l'ha indicato il relatore generale del sinodo, il cardinale brasiliano Claudio Hummes, grande elettore di papa Bergoglio e vero padre di questo sinodo amazzonico, il quale nella sua relazione ha dettato l'agenda. Come ha ricordato anche il segretario generale del sinodo, il cardinale Lorenzo Baldisseri, quelli raccolti da Hummes sono i «nuclei generativi», cioè delle idee su cui concentrarsi per trovare le proposte.
Così i «nuclei generativi» espressi da Hummes confermano le attese. Ha subito ricordato, per chi nutrisse ancora qualche dubbio su dove porterà il nuovo processo avviato, che «le comunità indigene hanno chiesto che, pur confermando il grande valore del carisma del celibato nella Chiesa, di fronte all'impellente necessità della maggior parte delle comunità cattoliche in Amazzonia, si apra la strada all'ordinazione sacerdotale degli uomini sposati residenti nelle comunità». Altrettanto chiaro è il riferimento che Hummes ha fatto al gran numero di donne che oggi dirigono le comunità in Amazzonia, per cui «si riconosca questo servizio e si cerchi di consolidarlo con un ministero adatto alle donne dirigenti di comunità». Peraltro, a questo proposito, ha colpito l'intervento di suor Cediel Castillo, missionaria comboniana, che ha ricordato come le donne in Amazzonia oggi facciano «educazione, assistenza sanitaria» e tutto ciò che «una donna può fare: battezzare bambini, celebrare matrimoni e ascoltare confessioni, ma non diamo l'assoluzione».
L'altra grande questione oggetto di critica è quella del ruolo assegnato alla spiritualità e ai riti paganeggianti degli indios che sembrano, invece, essere benedetti sopravvalutando la presenza di «semi di verità». Per questo ha sollevato perplessità il rituale ecologico indigeno andato in onda venerdì scorso nei giardini vaticani, ma il Papa ieri ha fatto una battuta nei confronti di chi guarda con sprezzo certi usi e costumi. «Ieri», ha detto, «sono stato molto triste nel sentire un commento beffardo qui, su quel signore devoto che portava le offerte con le piume in testa, dimmi: qual è la differenza tra indossare piume sulla testa e il tricorno usato da alcuni ufficiali dei nostri dicasteri?».
L'aspetto più politico del sinodo il Papa lo aveva sottolineato, invece, nell'omelia di domenica scorsa dove con una metafora sul fuoco ha distinto tra il «fuoco di Dio», che «è calore che attira e raccoglie in unità», e un altro fuoco, «appiccato da interessi che distruggono, come quello che recentemente ha devastato l'Amazzonia». Ricordando anche che tante «volte c'è stata colonizzazione anziché evangelizzazione!».
Nella linea ecologicamente corretta ieri mattina il cardinale Baldisseri ha ricordato che il sinodo abbatterà le sue emissioni di CO2. Dopo aver calcolato che l'impatto ambientale dei voli aerei dei padri sinodali per arrivare a Roma ha provocato 573.000 emissioni di CO2, si è deciso che il tutto verrà in qualche modo compensato con l'acquisto di titoli di forestazione per il rimboschimento di 50 ettari di foresta nel bacino amazzonico.
È la Chiesa in uscita, come ha ricordato ancora una volta il cardinale Hummes. C'è «bisogno di spalancare le porte, di abbattere le mura che la circondano e di costruire ponti, di uscire e mettersi in cammino nella storia». Dice di «non aver paura del nuovo» il cardinale brasiliano promotore di tutta questa colossale macchina panamazzonica, ma per qualcuno è già tutto scritto, come sarebbe stato anche in altre occasioni (ad esempio per il Sinodo sulla famiglia). Una diceria che verrà misurata nelle prossime settimane di discussioni in aula e lavori nei gruppi linguistici, fino al documento finale che dovrà essere consegnato il 25 ottobre.
I vescovi europei suonano la sveglia e a Parigi si lotta per la famiglia
«Vogliamo dare un messaggio di speranza all'Europa in affanno e diciamo con forza: Svegliati, Europa!», è una scossa alle coscienze intorpidite del Vecchio continente il messaggio finale dell'annuale assemblea plenaria del Consiglio delle conferenze episcopali d'Europa (Ccee).
«Europa, tempo di risveglio? I segni della speranza» è stato il tema al centro dei lavori che si sono tenuti dal 3 al 6 ottobre a Santiago de Compostela, tomba dell'apostolo Giacomo e da secoli meta di milioni di pellegrini provenienti da ogni parte del nostro continente. Ed è in questo luogo simbolo del cristianesimo occidentale che si è levata l'esortazione dei presuli che va a toccare le corde più profonde dei popoli europei: «Nelle diverse storie e tradizioni, nelle sfide vecchie e nuove, ci sono elementi di speranza: tra questi, i santi e i martiri dei nostri Paesi, fiaccole ardenti che incoraggiano il presente e annunciano il futuro. Essi brillano come stelle nel cielo». «Riscopri le tue radici, Europa!», si legge ancora nel messaggio. «Contempla i numerosi esempi di questa speranza soddisfatta, a cominciare dai nostri santi patroni: Benedetto da Norcia, Cirillo e Metodio, Brigida di Svezia, Caterina da Siena, Teresa Benedetta della Croce, segno di un'Europa unita nella diversità».
I pastori riconoscono un primato nell'impegno per i diritti sociali e per il bene comune che smentisce la retorica della colpevolizzazione dell'europeo: «Rallegrati, Europa, della bontà del tuo popolo, dei tanti santi nascosti che ogni giorno contribuiscono, in silenzio, alla costruzione di una società civile più giusta e più a misura d'uomo». Identificano poi nella famiglia l'architrave e il motore della nostra civiltà: «Guarda alle tante famiglie, le sole capaci di generare futuro. Riconosci con gratitudine la loro fede in Dio e il loro esempio». Un concetto su cui tornano attingendo alle parole di papa Francesco: «Per un nuovo umanesimo europeo, capace di dialogare, di integrare e di generare, valorizzando nel contempo ciò che è più caro alla tradizione del continente: la difesa della vita e della dignità umana, la promozione della famiglia e il rispetto per i diritti fondamentali della persona».
Il messaggio fa da pungolo a una società ripiegata su sé stessa e incapace di trarre beneficio dalla grandezza delle proprie tradizioni e allo stesso tempo mette in evidenza quelle che definisce «contraddizioni esistenti» di un'Europa che disperde quel bisogno di buono e di trascendente insito in ogni persona. Ecco così elencati dai presuli quei paradossi della nostra epoca: «Il desiderio di Dio e allo stesso tempo la fragilità della vita cristiana; il desiderio di diritti umani universali e allo stesso tempo la perdita del rispetto della dignità umana; il desiderio di armonia nella società e con il creato, ma anche la perdita di ogni senso di verità oggettiva; il desiderio di una felicità duratura, ma anche la perdita di un senso condiviso del destino a cui l'umanità è chiamata; il desiderio di pace interiore e coerenza espressi in una ricerca spirituale, ma anche la negazione di quella ricerca in molti discorsi pubblici». Parole in cui si legge il riferimento ai tanti aneliti di giustizia e trascendenza che però vengono vanificati nel relativismo assoluto dei valori e nell'espulsione della religione dalla dimensione pubblica.
Infine i vescovi europei si sono «soffermati sulle domande esistenziali che si trovano nel profondo del cuore umano e che non scompaiono mai, anche se oscurate da risultati materiali», quali «il futuro oltre la morte» e «il male che ferisce l'umano». Interrogativi a cui il messaggio della Ccee risponde in maniera inequivocabile: «Noi crediamo che la vera risposta a tutte le domande di senso è Gesù Cristo, volto del Padre, unico salvatore dell'uomo e del mondo». È solo tramite Gesù che il cuore di un uomo può cambiare poiché «egli rende chi lo accoglie disponibile ad ascoltare, ad amare e a farsi prossimo, mettendosi, nel nome di Cristo, a servizio dell'uomo».
Che la deriva laicista e relativista dell'Europa non sia ineluttabile lo hanno affermato con forza domenica anche 600.000 francesi, che sono scesi in piazza a Parigi contro la nuova legge quadro sulla bioetica che allarga alle coppie lesbiche e alle donne single la fecondazione eterologa. Una norma che in pratica elimina la figura paterna e il diritto dei bambini di avere un padre. Alla manifestazione anche una rappresentanza italiana guidata da il vicepresidente di Pro vita & famiglia, Jacopo Coghe, che è intervenuto dal palco: «Se una madre non è più colei che partorisce, se un padre non è più colui che genera, se i figli si possono comprare, se il sesso si decide con la mente, significa che non è solo questione di modello della società da contestare, ma di cambio del paradigma dell'umanità».
La mobilitazione ha avuto anche il plauso di monsignor Éric de Moulins Beaufort, presidente della Conferenza episcopale francese. «Noi vescovi abbiamo attirato l'attenzione sulla gravità rispetto a quello che si è in procinto di decidere», ha detto il presule, incoraggiando «con forza i cittadini a esprimersi a proposito della legge». Il presidente dei vescovi francesi ha quindi chiesto un'ulteriore riflessione ai deputanti e senatori su ciò che andranno a decidere: «Comprendiamo profondamente la sofferenza di chi non può avere figli, ma torniamo a dire che non si può dare una risposta a questo dolore trasformando la procreazione in fabbricazione. Che lo si voglia o no, questo progetto di legge ci sta conducendo a questo».
Continua a leggere
Riduci
Nell'agenda del cardinale brasiliano l'elogio dei riti pagani indios. E il Papa conferma: «Meglio le piume del tricorno». Una suora: «In Amazzonia battezziamo e sposiamo».Dal Consiglio delle conferenze episcopali del Vecchio continente arriva un invito forte ai fedeli a non lasciarsi abbattere dal laicismo. La risposta proviene da 600.000 francesi in piazza contro la nuova legge sulla bioetica.Lo speciale contiene due articoli.Avvio in canoa per il Sinodo panamazzonico che fino al prossimo 27 ottobre terrà impegnati in Vaticano ben 184 padri sinodali. Ieri mattina la grande assemblea ha preso il via dalla basilica di San Pietro con una processione verso l'aula Paolo VI, luogo del lavori, con alla testa del corteo una canoa con tutti i simboli e i prodotti tipici della regione panamazzonica, reti da pesca, cartelli con santi della regione e il Papa che avanzava circondato dagli indios e dai loro canti. Fra la folla anche padre Alex Zanotelli da sempre in prima linea per le cosiddette chiese di base.Papa Francesco avvia così un altro processo, secondo la sua ripetuta massima che occorre «avviare processi e non occupare spazi». I critici sostengono che questa prassi sia semplicemente un modo per spingere certe novità che non sarebbero sviluppi della dottrina o modi di inculturare il Vangelo, ma forzature che stridono con il deposito della fede. È questa la posizione espressa dai cardinali dubbiosi Raymond Burke e Walter Brandmüller, ma voci critiche si sono sentite anche dal cardinale Gerhard Müller, dal cardinale Robert Sarah e persino dal prefetto della Congregazione dei vescovi, Marc Ouellet. Le controversie che hanno accompagnato il documento di lavoro di questo Sinodo riguardano la questione della possibile ordinazione di uomini sposati di provata fede al sacerdozio, la definizione di una specie di diaconato femminile e, infine, una sorta di ecoteologia indigenista che scavalcherebbe la legittima inculturazione del Vangelo per trasformarsi in una specie di inedito luogo teologico. Nella linea dell'avviare processi il Papa, aprendo l'assemblea, ha detto che il discusso documento di lavoro, l'Instrumentum laboris, «è un testo martire, destinato a essere distrutto perché è un punto di partenza per ciò che lo Spirito farà in noi». In concreto questo punto di partenza del processo l'ha indicato il relatore generale del sinodo, il cardinale brasiliano Claudio Hummes, grande elettore di papa Bergoglio e vero padre di questo sinodo amazzonico, il quale nella sua relazione ha dettato l'agenda. Come ha ricordato anche il segretario generale del sinodo, il cardinale Lorenzo Baldisseri, quelli raccolti da Hummes sono i «nuclei generativi», cioè delle idee su cui concentrarsi per trovare le proposte. Così i «nuclei generativi» espressi da Hummes confermano le attese. Ha subito ricordato, per chi nutrisse ancora qualche dubbio su dove porterà il nuovo processo avviato, che «le comunità indigene hanno chiesto che, pur confermando il grande valore del carisma del celibato nella Chiesa, di fronte all'impellente necessità della maggior parte delle comunità cattoliche in Amazzonia, si apra la strada all'ordinazione sacerdotale degli uomini sposati residenti nelle comunità». Altrettanto chiaro è il riferimento che Hummes ha fatto al gran numero di donne che oggi dirigono le comunità in Amazzonia, per cui «si riconosca questo servizio e si cerchi di consolidarlo con un ministero adatto alle donne dirigenti di comunità». Peraltro, a questo proposito, ha colpito l'intervento di suor Cediel Castillo, missionaria comboniana, che ha ricordato come le donne in Amazzonia oggi facciano «educazione, assistenza sanitaria» e tutto ciò che «una donna può fare: battezzare bambini, celebrare matrimoni e ascoltare confessioni, ma non diamo l'assoluzione».L'altra grande questione oggetto di critica è quella del ruolo assegnato alla spiritualità e ai riti paganeggianti degli indios che sembrano, invece, essere benedetti sopravvalutando la presenza di «semi di verità». Per questo ha sollevato perplessità il rituale ecologico indigeno andato in onda venerdì scorso nei giardini vaticani, ma il Papa ieri ha fatto una battuta nei confronti di chi guarda con sprezzo certi usi e costumi. «Ieri», ha detto, «sono stato molto triste nel sentire un commento beffardo qui, su quel signore devoto che portava le offerte con le piume in testa, dimmi: qual è la differenza tra indossare piume sulla testa e il tricorno usato da alcuni ufficiali dei nostri dicasteri?». L'aspetto più politico del sinodo il Papa lo aveva sottolineato, invece, nell'omelia di domenica scorsa dove con una metafora sul fuoco ha distinto tra il «fuoco di Dio», che «è calore che attira e raccoglie in unità», e un altro fuoco, «appiccato da interessi che distruggono, come quello che recentemente ha devastato l'Amazzonia». Ricordando anche che tante «volte c'è stata colonizzazione anziché evangelizzazione!». Nella linea ecologicamente corretta ieri mattina il cardinale Baldisseri ha ricordato che il sinodo abbatterà le sue emissioni di CO2. Dopo aver calcolato che l'impatto ambientale dei voli aerei dei padri sinodali per arrivare a Roma ha provocato 573.000 emissioni di CO2, si è deciso che il tutto verrà in qualche modo compensato con l'acquisto di titoli di forestazione per il rimboschimento di 50 ettari di foresta nel bacino amazzonico.È la Chiesa in uscita, come ha ricordato ancora una volta il cardinale Hummes. C'è «bisogno di spalancare le porte, di abbattere le mura che la circondano e di costruire ponti, di uscire e mettersi in cammino nella storia». Dice di «non aver paura del nuovo» il cardinale brasiliano promotore di tutta questa colossale macchina panamazzonica, ma per qualcuno è già tutto scritto, come sarebbe stato anche in altre occasioni (ad esempio per il Sinodo sulla famiglia). Una diceria che verrà misurata nelle prossime settimane di discussioni in aula e lavori nei gruppi linguistici, fino al documento finale che dovrà essere consegnato il 25 ottobre. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/preti-sposati-e-un-ministero-per-le-donne-hummes-detta-il-programma-al-sinodo-2640875783.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="i-vescovi-europei-suonano-la-sveglia-e-a-parigi-si-lotta-per-la-famiglia" data-post-id="2640875783" data-published-at="1765615641" data-use-pagination="False"> I vescovi europei suonano la sveglia e a Parigi si lotta per la famiglia «Vogliamo dare un messaggio di speranza all'Europa in affanno e diciamo con forza: Svegliati, Europa!», è una scossa alle coscienze intorpidite del Vecchio continente il messaggio finale dell'annuale assemblea plenaria del Consiglio delle conferenze episcopali d'Europa (Ccee). «Europa, tempo di risveglio? I segni della speranza» è stato il tema al centro dei lavori che si sono tenuti dal 3 al 6 ottobre a Santiago de Compostela, tomba dell'apostolo Giacomo e da secoli meta di milioni di pellegrini provenienti da ogni parte del nostro continente. Ed è in questo luogo simbolo del cristianesimo occidentale che si è levata l'esortazione dei presuli che va a toccare le corde più profonde dei popoli europei: «Nelle diverse storie e tradizioni, nelle sfide vecchie e nuove, ci sono elementi di speranza: tra questi, i santi e i martiri dei nostri Paesi, fiaccole ardenti che incoraggiano il presente e annunciano il futuro. Essi brillano come stelle nel cielo». «Riscopri le tue radici, Europa!», si legge ancora nel messaggio. «Contempla i numerosi esempi di questa speranza soddisfatta, a cominciare dai nostri santi patroni: Benedetto da Norcia, Cirillo e Metodio, Brigida di Svezia, Caterina da Siena, Teresa Benedetta della Croce, segno di un'Europa unita nella diversità». I pastori riconoscono un primato nell'impegno per i diritti sociali e per il bene comune che smentisce la retorica della colpevolizzazione dell'europeo: «Rallegrati, Europa, della bontà del tuo popolo, dei tanti santi nascosti che ogni giorno contribuiscono, in silenzio, alla costruzione di una società civile più giusta e più a misura d'uomo». Identificano poi nella famiglia l'architrave e il motore della nostra civiltà: «Guarda alle tante famiglie, le sole capaci di generare futuro. Riconosci con gratitudine la loro fede in Dio e il loro esempio». Un concetto su cui tornano attingendo alle parole di papa Francesco: «Per un nuovo umanesimo europeo, capace di dialogare, di integrare e di generare, valorizzando nel contempo ciò che è più caro alla tradizione del continente: la difesa della vita e della dignità umana, la promozione della famiglia e il rispetto per i diritti fondamentali della persona». Il messaggio fa da pungolo a una società ripiegata su sé stessa e incapace di trarre beneficio dalla grandezza delle proprie tradizioni e allo stesso tempo mette in evidenza quelle che definisce «contraddizioni esistenti» di un'Europa che disperde quel bisogno di buono e di trascendente insito in ogni persona. Ecco così elencati dai presuli quei paradossi della nostra epoca: «Il desiderio di Dio e allo stesso tempo la fragilità della vita cristiana; il desiderio di diritti umani universali e allo stesso tempo la perdita del rispetto della dignità umana; il desiderio di armonia nella società e con il creato, ma anche la perdita di ogni senso di verità oggettiva; il desiderio di una felicità duratura, ma anche la perdita di un senso condiviso del destino a cui l'umanità è chiamata; il desiderio di pace interiore e coerenza espressi in una ricerca spirituale, ma anche la negazione di quella ricerca in molti discorsi pubblici». Parole in cui si legge il riferimento ai tanti aneliti di giustizia e trascendenza che però vengono vanificati nel relativismo assoluto dei valori e nell'espulsione della religione dalla dimensione pubblica. Infine i vescovi europei si sono «soffermati sulle domande esistenziali che si trovano nel profondo del cuore umano e che non scompaiono mai, anche se oscurate da risultati materiali», quali «il futuro oltre la morte» e «il male che ferisce l'umano». Interrogativi a cui il messaggio della Ccee risponde in maniera inequivocabile: «Noi crediamo che la vera risposta a tutte le domande di senso è Gesù Cristo, volto del Padre, unico salvatore dell'uomo e del mondo». È solo tramite Gesù che il cuore di un uomo può cambiare poiché «egli rende chi lo accoglie disponibile ad ascoltare, ad amare e a farsi prossimo, mettendosi, nel nome di Cristo, a servizio dell'uomo». Che la deriva laicista e relativista dell'Europa non sia ineluttabile lo hanno affermato con forza domenica anche 600.000 francesi, che sono scesi in piazza a Parigi contro la nuova legge quadro sulla bioetica che allarga alle coppie lesbiche e alle donne single la fecondazione eterologa. Una norma che in pratica elimina la figura paterna e il diritto dei bambini di avere un padre. Alla manifestazione anche una rappresentanza italiana guidata da il vicepresidente di Pro vita & famiglia, Jacopo Coghe, che è intervenuto dal palco: «Se una madre non è più colei che partorisce, se un padre non è più colui che genera, se i figli si possono comprare, se il sesso si decide con la mente, significa che non è solo questione di modello della società da contestare, ma di cambio del paradigma dell'umanità». La mobilitazione ha avuto anche il plauso di monsignor Éric de Moulins Beaufort, presidente della Conferenza episcopale francese. «Noi vescovi abbiamo attirato l'attenzione sulla gravità rispetto a quello che si è in procinto di decidere», ha detto il presule, incoraggiando «con forza i cittadini a esprimersi a proposito della legge». Il presidente dei vescovi francesi ha quindi chiesto un'ulteriore riflessione ai deputanti e senatori su ciò che andranno a decidere: «Comprendiamo profondamente la sofferenza di chi non può avere figli, ma torniamo a dire che non si può dare una risposta a questo dolore trasformando la procreazione in fabbricazione. Che lo si voglia o no, questo progetto di legge ci sta conducendo a questo».
Il grande direttore d'orchestra rilancia l'appello alla politica affinché trovi una via diplomatica per convincere la Francia a far tornare nella sua città natale il compositore fiorentino, che ora riposa al cimitero di Père-Lachaise. Il sogno? Dirigere il Requiem del genio toscano nella Basilica di Santa Croce, dove è già pronto il suo cenotafio.
Maurizio Landini (Ansa)
Nessun sindacalista lo ammetterà mai, ma c’è un dato che più di ogni altro fa da spartiacque tra uno sciopero riuscito e un flop. Una percentuale minima al di sotto della quale è davvero difficile cantare vittoria: l’adesione almeno degli iscritti. Insomma, se sostieni, come fa ripetutamente Maurizio Landini di essere il portavoce di un sedicente malcontento montante che sarebbe addirittura maggioranza nel Paese e ti intesti una battaglia in solitaria lasciando alle spalle Cisl e Uil e poi non ti seguono neanche i tuoi, c’è un problema.
E il problema, numeri alla mano, esiste. Ed è pure grosso. Basta vedere le percentuali dei lavoratori che hanno deciso di spalleggiare l’ennesima rivolta politica e tutta improntata ad attaccare il governo Meloni del leader della Cgil. Innanzitutto nel pubblico impiego. Tra gli statali (scuola, sanità, dipendenti di ministeri, enti locali ecc.) ci sono circa 2,7 milioni di dipendenti contrattualizzati. E tra questi il 12% ha in tasca la tessera della Cgil. Bene, a fine giornata i dati ufficiali parlavano di circa il 4,4% complessivo di adesione all’ennesimo logoro show di Landini. Messa in soldoni: ormai anche la Cgil si è stancata del suo segretario che combatte una battaglia personale e quasi sempre sulle spalle dei lavoratori.
Che in corso d’Italia monti il malcontento, La Verità lo evidenzia da un po’ di tempo, ma il dato degli impiegati dello Stato è particolarmente significativo. Perché è intorno agli statali che l’ex leader della Fiom ha combattuto e poi perso la sua battaglia più significativa. Per mesi e mesi, infatti, spalleggiato dalla Uil e dall’ex alleato Pierpaolo Bombardieri, Landini ha bloccato il rinnovo dei contratti della Pa.
Circa 20 miliardi, già stanziati dal governo, fermi. E aumenti tra i 150 e i 170 euro lordi al mese, con istituti di favore come la settimana cortissima e il ticket anche in smart working, preclusi ai lavoratori per l’opposizione a prescindere del compagno Maurizio. Certo, lui l’ha spiegata come una lotta di giustizia sociale che aveva l’obiettivo di recuperare tutta l’inflazione del periodo (2022-2024). Ma si trattava di un bluff. Perché la Cgil con governi di un colore diverso ha rinnovato contratti decisamente meno convenienti e che comunque non coprivano il carovita.
Insomma, quella sugli accordi della pubblica amministrazione è diventata l’ultima frontiera dell’opposizione a prescindere. E su quella battaglia Landini si è schiantato. Prima nel merito, perché alla fine la Uil l’ha mollato e i contratti sono stati firmati. E poi sul campo: perché se almeno la metà degli iscritti diserta sciopero (e siamo benevoli), vuol dire che i tuoi stanno bocciando una linea che porta nelle piazza, sulle barricate e sui giornali, ma lascia i lavoratori con le tasche sempre più vuote.
«Il dato», spiega alla Verità il ministro della Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo, «certifica l’ennesimo flop degli scioperi generali, un fallimento che finisce tutto sulle spalle della Cgil che nel pubblico impiego può contare su circa 300.000 iscritti. Pur ammettendo che tutti gli aderenti siano tesserati di Landini e che le proiezioni del pomeriggio vengano confermate, la bocciatura interna per la linea del segretario sarebbe evidente. E, del resto, questo disagio era palese anche sul tavolo delle trattative per il rinnovo del contratto. È arrivato il momento che anche all’interno del sindacato si apra una riflessione sincera».
E se tra gli statali la sconfitta è stata cocente, non meglio è andata nel privato. Dove, però, i dati sono più frammentati. Secondo le rilevazioni degli altri sindacati, ci sono alcune situazioni clamorose e altri meno, ma sempre di batoste si tratta.
Appartengono al primo caso le adesioni ferme a quota 1% nei cantieri delle grandi opere: dal Brennero fino al Terzo valico e alla Tav. Si risale al 5% negli stabilimenti di produzione e lavorazione di cemento, legno e laterizi, ma in generale la partecipazione nell’edilizia è stata bassissima.
Come nell’agroalimentare, dove, se si fa eccezioni per la rossa Emilia-Romagna (ai reparti produttivi della Granarolo si è arrivati a sfiorare il 50%), i risultati nelle piccole e medie imprese sono quasi tutti sotto il 5%. La media tra le aziende elettriche è del 5%, nelle Poste siamo fermi al 2,5% e nelle banche si sfiora l’1%. Leggermente meglio nel terziario e nel commercio (dove viene toccato il 10%), così come si contano sulle punte delle dita i siti delle realtà industriali in doppia cifra (Ex Ilva a Novi, Marcegaglia di Dusino San Michele in Piemonte e alcuni siti di Leonardo).
Insomma, al balletto delle cifre nelle manifestazioni siamo abituati e che ci siano delle enormi differenze numeriche tra promotori dello sciopero e controparte sta nelle regole del gioco, eppure si fa davvero fatica a capire da dove il sindacato rosso abbia tirato fuori il dato del 68% delle adesioni. Se 7 lavoratori su 10 si fermano, l’Italia si blocca. Non solo i trasporti, ma tutto il sistema finisce in una sorta di pericoloso stand by collettivo. Nulla a che vedere con quello che è successo sul territorio che ieri ha subito qualche prevedibile disagio da effetto-annuncio, ma poco più. Ma, del resto, nel Paese immaginario che sta raccontando Landini può succedere questo e altro.
Landini straparla di regime e agita lo sciopero infinito
«Fanno bene ad avere qualche timore, avere qualche paura, perché non ci fermano. Non so come dirlo, non ci fermano e, siccome siamo convinti di rappresentare la maggioranza del Paese, andremo avanti fino a quando questa battaglia l’abbiamo vinta». È stato questo il grido di battaglia, ieri, del segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, a Firenze dove ha partecipato al corteo nel giorno dello sciopero generale contro la legge di bilancio, salari bassi, precarietà e caro-vita.
Una protesta «per cambiare la manovra 2026, considerata del tutto inadeguata a risolvere i problemi del Paese, malgrado le modifiche appena approvate, per sostenere investimenti in sanità, istruzione, servizi pubblici e politiche industriali, per fermare l’innalzamento dell’età pensionabile, per contrastare la precarietà». Insomma, i temi sul tavolo di ogni governo degli ultimi 30 anni, basti pensare alla sanità da sempre gestita dalla sinistra da Rosy Bondi in poi, ma che, per Landini e sinistra, sembrano esplosi con l’arrivo del governo Meloni. E, ignorando totalmente i dati dell’occupazione che cresce in maniera costante, arriva a sostenere che «La precarietà non è un problema dei giovani: se vogliamo combattere e contrastare la precarietà, sono quelli che non sono precari che, innanzitutto, si devono battere e scioperare per cancellare la precarietà. Questa è la solidarietà, questo è il sindacato».
«Quando ho lavorato», ha ricordato Landini, «io la precarietà non l’ho conosciuta. E vorrei che fosse chiaro, non è merito mio, eh, io non avevo fatto niente, ero andato semplicemente a lavorare. Ma mi sono trovato dei diritti, perché quelli prima di me, che quei diritti lì non ce ne avevano, si erano battuti per ottenerli. Non per loro, ma per tutti. Tre mesi dopo che ero assunto come apprendista, ho potuto operare e partecipare a una manifestazione senza essere licenziato. Non m’hanno fatto prove del carrello», ha detto riferendosi ai tre lavoratori della catena Pam allontanati dopo un controllo a sorpresa che ha simulato un furto. «Dobbiamo far parlare il Paese reale, perché dobbiamo raccontare quel che succede: qui siamo, ormai, a un regime, ci raccontano un Paese che non c’è, ci raccontano una quantità di balle, che tutto va bene, tutto sta funzionando. Non è così».
Il leader della Cgil ha, poi, sottolineato che oggi c’è «un obiettivo esplicito della politica e del governo: mettere in discussione l’esistenza stessa del sindacato confederale come soggetto che ha diritto di negoziare alla pari col governo». Al segretario che un anno fa voleva «rivoltare il Paese come un guanto», lo sciopero politico di ieri gli è comunque costato la mancata unità sindacale con Cisl, Uil e Ugl ormai fuori sintonia. Landini ha chiarito che «il diritto di sciopero è un diritto costituzionale e non accetteremo alcun tentativo di metterlo in discussione o di limitarlo. Oggi siamo in piazza non contro altri lavoratori o altri sindacati, ma per estendere questi diritti a tutti. Quando un governo prova a delegittimare chi protesta o a ridurre gli spazi di partecipazione democratica, significa che non vuole ascoltare il disagio reale che attraversa il Paese. Lo sciopero è per cambiare politiche sbagliate. E la grande partecipazione che vediamo oggi dimostra che c’è un Paese che chiede un cambio di rotta».
«Il Paese non è più disponibile a un’altra legge di bilancio di austerità e di tagli», ha affermato il leader di Avs, Nicola Fratoianni, presente alla manifestazione con Angelo Bonelli. Sul palco in piazza del Carmine ha trovato posto anche la protesta dei giornalisti de La Stampa e Repubblica, in sciopero dopo l’annuncio di Exor della cessione del gruppo editoriale Gedi al magnate greco Theodore Kyriakou. Mai così in prima fila nella solidarietà ad altre crisi di giornali meno «amici», Landini ha spiegato il perché: «Pensiamo che quello che sta succedendo sia un tentativo esplicito di mettere in discussione la libertà di stampa e la possibilità concreta di proseguire e di fare serie politiche industriali. Mi sembra evidente quello che sta succedendo: abbiamo imprese e imprenditori che, dopo aver fatto i profitti, chiudono le imprese, se ne vogliono andare dal nostro Paese per usare i soldi e quella ricchezza che è stata prodotta da chi lavora, da altre parti. Ecco, quelli che fanno i patrioti dove sono? Stanno difendendo chi? Difendono quelli che pagano le tasse che tengono in piedi questo Paese o difendono quelli che chiudono le aziende che investono da un’altra parte?». C’è voluta la vendita di Repubblica perché Landini attaccasse Elkann visto che dalla nascita di Stellantis, nel gennaio 2021, l’azienda ha licenziato solo in Italia attraverso esodi incentivati 7.500 lavoratori. Del restom lo ha detto chiaramente Carlo Calenda di Azione: «Da quando la Repubblica è stata comprata da Elkann, Fiom e Cgil hanno smesso di dare battaglia che prima facevano con Sergio Marchionne quando la produzione aumentava, adesso che è crollata non li senti più dire nulla».
Intanto ieri Landini non ha nascosto la sua soddisfazione per la risposta allo sciopero, «le piazze si sono riempite e le fabbriche svuotate», rinfocolando la polemica a distanza con il ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, che aveva definito «irresponsabile» bloccare il Paese. «Noi stiamo facendo il nostro mestiere, quello che non fa Salvini», la replica del segretario della Cgil. Il vicepremier leghista ieri ha visitato la centrale operativa delle Ferrovie dello Stato per verificare le ricadute dello sciopero, ed ha definito «incoraggianti» i dati sull’adesione, «con disagi limitati» dovuti soprattutto all’effetto «annuncio».
Continua a leggere
Riduci