2023-11-18
Le pressioni Usa sortiscono effetti. Israele non chiude la porta all’Anp
Antony Blinken e Benjamin Netanyahu (Ansa)
Funzionari dello Stato ebraico aprono alla possibilità che la Striscia sia governata dall’Autorità nazionale palestinese, come chiede Washington. Netanyahu: «Non terremo truppe all’interno dopo il conflitto». Bibi ammette il numero eccessivo di vittime nelle azioni militari in corso a Gaza. Trovate altre bombe di Hamas nascoste in un asilo. Folla ai funerali di Noa Marciano. Lo speciale contiene due articoli. Sembrerebbe che le posizioni di Washington e Gerusalemme sulla crisi di Gaza stiano diventando maggiormente convergenti. Ieri, un funzionario israeliano ha detto al Times of Israel che lo Stato ebraico non esclude un futuro governo della Striscia guidato dall’Autorità nazionale palestinese, purché quest’ultima si sottoponga a delle «riforme significative». Si tratta di una mezza svolta, soprattutto alla luce del fatto che, la scorsa settimana, Benjamin Netanyahu era sembrato contrario all’ipotesi che Gaza potesse essere in futuro posta sotto il controllo dell’Anp. Eppure adesso si registra una parziale apertura: segno che probabilmente le pressioni americane stanno sortendo degli effetti. Non dimentichiamo infatti che, nelle scorse settimane, Washington si è notevolmente adoperata per far sì che, dopo lo sradicamento di Hamas, la Striscia possa essere governata dall’Anp, escludendo invece una «rioccupazione» da parte dello Stato ebraico. In tal senso, sempre ieri, Netanyahu ha espresso dubbi sul mantenimento di truppe israeliane a Gaza. «Non sono sicuro di tenere truppe all’interno. Non lo credo particolarmente necessario, perché è molto piccola». Sul futuro politico della Striscia ha inoltre auspicato «un cambiamento culturale nell’amministrazione civile a Gaza». Il piano statunitense sul post Hamas è appoggiato anche dalla Commissione europea. Ieri, durante una visita a Ramallah, l’Alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, Josep Borrell, si è detto favorevole al «ritorno dell’Autorità palestinese a Gaza», per poi auspicare un «coinvolgimento forte dei Paesi arabi» e «un grande coinvolgimento dell’Ue». Tutto questo mentre, sempre ieri, il Times of Israel ha sottolineato come il presidente del Consiglio per la sicurezza nazionale israeliano, Tzachi Hanegbi, abbia evitato di rispondere, in conferenza stampa, alle domande sul futuro di Gaza, sottolineando che la priorità per lo Stato ebraico è al momento l’eliminazione di Hamas e la liberazione degli ostaggi. Un altro segnale della maggiore convergenza tra Gerusalemme e Washington risiede nel fatto che il gabinetto di guerra israeliano ha acconsentito a far entrare a Gaza dall’Egitto due cisterne di carburante al giorno. Secondo Axios News, la decisione è stata presa «a seguito delle forti pressioni dell’amministrazione Biden». Insomma, è abbastanza chiaro come il governo israeliano si stia (almeno in parte) allineando ai desiderata della Casa Bianca, la quale sta cercando sia di evitare un allargamento del conflitto sia di rovinare i rapporti con i Paesi arabi. Non mancano tuttavia delle incognite e dei problemi. Innanzitutto, il via libera al carburante ha creato delle significative fibrillazioni in seno all’esecutivo guidato da Netanyahu. L’ala destra del governo, principalmente rappresentata dai ministri Bezalel Smotrich e Itamar Ben Gvir, ha tacciato questa mossa di debolezza. «Finché i nostri ostaggi non ricevono nemmeno la visita della Croce Rossa, non ha senso fare doni umanitari al nemico», ha tuonato Ben Gvir, aggiungendo che la decisione del gabinetto di guerra «trasmette debolezza, dà ossigeno al nemico e permette al leader di Hamas Yahya Sinwar di sedersi comodamente nel suo bunker con aria condizionata, guardare le notizie e continuare a manipolare la società israeliana e le famiglie dei rapiti». A difendere la scelta sul carburante è stato invece Hanegbi, il quale ha sostenuto che essa si è resa necessaria per impedire la diffusione di malattie nella Striscia, visto che il locale sistema di trattamento delle acque reflue è ormai al collasso. «Se dovesse scoppiare una pestilenza, dovremmo fermare la guerra», ha detto. Come che sia, per cercare di smorzare le tensioni interne, Netanyahu ha convocato il gabinetto di sicurezza per stasera. L’altra incognita riguarda il futuro di Gaza. Gli Usa stanno infatti cercando di spingere alcuni dei principali sponsor di Hamas, soprattutto Qatar e Turchia, ad abbandonare l’organizzazione terroristica, per favorire un futuro insediamento dell’Anp al governo della Striscia. È anche in questo quadro che vanno letti i recenti viaggi di Blinken ad Ankara e del direttore della Cia, William Burns, a Doha. Tra l’altro, proprio ieri, l’emiro del Qatar Al Thani ha avuto una telefonata con Joe Biden. Secondo Reuters, un papabile nome per guidare la Striscia sarebbe l’ex leader di Fatah a Gaza, Mohammed Dahlan. Costui, secondo la stessa fonte, avrebbe l’appoggio degli Emirati arabi e risulterebbe probabilmente «accettabile» per Israele ed Egitto. Tuttavia Washington non sarebbe del tutto convinta rispetto a una sua eventuale ascesa al potere. Abu Dhabi ha normalizzato i rapporti con lo Stato ebraico nel 2020, mentre Doha e Ankara intrattengono legami col network della Fratellanza musulmana. Si tratta di un puzzle delicato per Washington che deve cercare di favorire l’instaurazione di un governo solido nella Striscia, oltre a mettere d’accordo il mondo arabo e la Turchia (che ieri è tornata a chiedere un cessate il fuoco). Nel frattempo, Biden deve gestire due ulteriori problemi. Da una parte, ha necessità di tenere a bada l’ala sinistra dei dem statunitensi, in cui serpeggiano sentimenti filopalestinesi. Dall’altra, deve fare attenzione a come si muovono Russia e Cina. «Non voglio fare alcuna valutazione politica, ognuno ha la sua opinione. Ma a Gaza stanno accadendo cose terribili. Non ci sono adesso le condizioni per lavorare lì», ha detto ieri Vladimir Putin. Tutto questo, mentre - durante il recente faccia a faccia di San Francisco - Xi Jinping non ha dato garanzie concrete a Biden, che gli chiedeva di fare pressioni sull’Iran. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/pressioni-usa-israele-nonchiude-allanp-2666303894.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="non-abbiamo-tutelato-tutti-i-civili" data-post-id="2666303894" data-published-at="1700302024" data-use-pagination="False"> «Non abbiamo tutelato tutti i civili» C’erano centinaia di persone ieri al funerale di Noa Marciano, la ragazza rapita da Hamas il 7 ottobre e ritrovata morta ammazzata proprio vicino all’ospedale Shifa di Gaza City. La ragazza aveva solo 19 anni e Hamas a quattro giorni dal rapimento aveva diffuso un video in cui, visibilmente scossa, aveva detto come si chiamava e chi fossero i suoi genitori. Le immagini ad un certo punto si interrompevano e poi veniva mostrato il corpo esanime della soldatessa. «Abbiamo provato di tutto, ribaltato ogni pietra», hanno detto i genitori straziati dal dolore. «Oggi chiediamo perdono per non esserci riusciti. Tu ti sei presa cura di noi e noi non ci siamo presi cura di te». La madre ha poi voluto ringraziare i soldati «che hanno rischiato la vita affinché Noa tornasse a casa». Hamas ieri ha pubblicato un altro video: mostra Arye Zalmanovich, 86 anni, anche lui rapito dalla sua casa nel Kibbutz Nir Oz il 7 ottobre. L’uomo è malato e necessita di cure. Dal 7 ottobre la controffensiva israeliana non conosce sosta. Non senza morti, tanto che anche il primo ministro Benjamin Netanyahu ha riconosciuto alla Cbs che Israele non è riuscita a ridurre al minimo le vittime civili. Khaled Abu Halal, ex membro di Fatah, negli ultimi anni affiliato ad Hamas, ucciso ieri dall’Idf, era invece un obiettivo militare. Uno dopo l’altro i vertici del terrorismo palestinese vengono raggiunti ed eliminati. A Gaza così come in Cisgiordania. In un raid a Jenin due persone sono rimaste uccise e altre sette ferite. Sono decine gli arresti dell’ultima operazione. Due miliziani filo-iraniani sono rimasti uccisi nel raid di Israele che ha colpito e distrutto un deposito di armi di Hezbollah vicino a Damasco, in Siria. Nuovi scambi di fuoco anche al confine con il Libano. L’agenzia nazionale libanese Nna accusa Israele di aver fatto uso di bombe incendiarie e al fosforo in diverse località del Sud del Libano a ridosso della linea del fronte tra Hezbollah e Israele. I soldati israeliani durante un’operazione nel Nord di Gaza hanno trovato decine di bombe da mortaio nascoste, ancora una volta, all’interno di un asilo e poi altre armi in una scuola elementare a Gaza. Il terrorismo intanto continua a fare rete. Esmail Qaani, il comandante della Forza Quds, le forze speciali iraniane, in una lettera inviata a Mohammed Deif, il comandante delle Brigate Al Qassam, ha scritto: l’Iran farà «tutto il necessario in questa battaglia storica». Continuano le polemiche intorno a quanto accaduto nell’ospedale Al Shifa. Il suo direttore, Muhammed Abu Salmiya, ha negato che le forze israeliane abbiano consegnato le incubatrici e che in ogni caso «non ne hanno bisogno». Hanno bisogno invece di elettricità che a sua volta generi ossigeno. Secondo quanto riportato dalle Nazioni Unite l’esercito israeliano si troverebbe ancora all’interno della struttura impegnato in perquisizioni. Abeer Etefa, portavoce per il Medioriente del Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite (Pam), denuncia parlando dal Cairo: «La gente sta affrontando la possibilità immediata di morire di fame, i sistemi alimentari esistenti a Gaza stanno praticamente collassando». L’Organizzazione mondiale della Sanità invece ha espresso preoccupazione per la diffusione di malattie con l’arrivo dell’inverno. I funzionari dell’ente intendono inoltre allestire ospedali da campo nella Striscia per sopperire alla «grave distruzione di strutture mediche ed ospedali». Ieri dalla Striscia sono usciti 250 cittadini stranieri e 44 palestinesi feriti, nelle stesse ore entravano 20 camion carichi di aiuti e che trasportavano materiale sanitario, acqua, cibo e altri beni di soccorso.
Matteo Salvini (Imagoeconomica)
La stazione di San Zenone al Lambro, dove il 30 agosto scorso un maliano ha stuprato una 18enne (Ansa)