
Sei giovani tra i 19 e i 22 anni (e un ricettatore) sono stati arrestati per avere usato una sostanza urticante la notte dell'8 dicembre. Crearono il panico alla Lanterna azzurra, strapiena per Sfera Ebbasta, per derubare i clienti. Morirono cinque ragazzi e una madre.L'accusa è pesantissima: omicidio. Sei ragazzi fra i 19 e i 22 anni, tra cui un marocchino e un tunisino, e un settimo uomo, indicato come un ricettatore, sono stati arrestati ieri mattina per la strage della discoteca Lanterna Azzurra di Corinaldo, vicino Ancona. Nel locale la notte fra il 7 e l'8 dicembre 2018, morirono cinque giovani tra i 19 e i 22 anni e una mamma di 39. Erano una banda dedita «in maniera sistematica», sostiene l'accusa, alle rapine in discoteca con spray al peperoncino. E tra i tanti colpi riusciti ce n'è uno perfino a Disneyland Paris. Segno che la gang non si muoveva soltanto tra il Centro e il Nord Italia. E che non agiva solo durante i concerti di Trap, genere molto in voga tra gli adolescenti che, hanno accertato gli investigatori, erano le prede preferite. Per questo gli indagati avevano organizzato tutto per colpire la sera del concerto con dj set del trapper Sfera Ebbasta (performance che poi non si è tenuta). Le carte dell'inchiesta che ricostruiscono furti in autogrill e rapine in discoteca ricordano tanto le baby gang che si muovono a Napoli nella Gomorra tanto cara a Roberto Saviano. Soprattutto le chiacchierate al telefono. Che raccontano di prodezze in scooter per seminare gli sbirri. E di bravate. Tante. Come quella in una discoteca della Repubblica Ceca. «[...]) siamo entrati, la serata faceva schifo, era un posto grandissimo mezzo vuoto, io spray per farmi un 40 (riferito al peso o ai carati di una collana, ndr) tedeschi di merda, sono venuto fino qua e non ne faccio nemmeno una?». Oppure a Milano, all'Alcatraz: «L'ho fatta... che ho messo la mano quasi sotto la giacca... anche quella... tu hai perso un minuto a guardarmi in faccia a dirmi, ce l'hai in bocca?». Tutti gli arrestati (manca all'appello un altro giovane, che durante lo svolgimento delle indagini è deceduto in un incidente stradale) avevano un tenore di vita alto, nonostante il lavoro precario. Con le rapine riuscivano a guadagnare anche 15.000 euro al mese, che poi spendevano in beni di lusso, vacanze e droga. La tecnica era sempre la stessa. E, ormai, era collaudata. Perfino all'aperto. In pieno centro, a Milano. «In quattro o cinque accerchiavano la vittima e ognuno aveva il suo ruolo», raccontano gli investigatori del nucleo investigativo di Ancona. «Poi una volta presa la refurtiva, la portavano subito fuori dal locale». E per farsi spazio nella fuga usavano lo spray al peperoncino. Anche la sera della tragedia di Corinaldo erano tutti pronti. Sono stati proprio loro a raccontarla così: «In mezzo alla pista io correvo e scappavo». E subito dopo: «Siamo andati a una festa fra' e son morte sei persone [...] e noi potevamo restare lì, o io o [...] o [...]... Vecchio, spray, iniziava a tossire fra', la gente che urlava, la gente che iniziava a cadere, io ho saltato tre persone fra', ho passato certe cose fra'...». Gli spray erano sempre a portata di mano: «Era il periodo che... [...] gas, gas, gas [...] andavamo avanti a sgasare. Io le facevo... per riuscire anche a non pagare fra', lo usavamo anche per non pagare. Mamma mia fra' ci aveva preso la mano! [...] Ti ricordi a Firenze, in Toscana, entravi... eri il maestro dello spray». E nelle loro conversazioni telefoniche è saltato fuori più volte anche il nome di Sfera Ebbasta. «Io sono stato con [...] a Sfera Ebbasta, di nuovo, senza di te, abbiamo preso Flixibus, ti ricordi che siamo andati a prenderlo con [...]». E probabilmente l'hanno anche incontrato il trapper, in un'area di servizio. Proprio la sera della tragedia. Uno di loro era quasi intenzionato a rubargli la collana. Il gip di Ancona che ha privato i ragazzi della libertà personale riporta l'intercettazione nella sua ordinanza di custodia cautelare: «Se non era stato per i morti te lo giuro [...] lì, gliela faceva». Nella conversazione si sente uno degli indagati dire «Sfera Ebbasta è solo un pagliaccio [...] lo schifo è una m..., ha rovinato tutto fra'». E un complice: «Pensa fra' che affamato quella sera lui è andato all'Altro Mondo e poi doveva venire lì... doveva fare due serate». E ancora: «Io lo schifo proprio come persona... ci stavo per litigare in autogrill lo stavo per bussare quel figlio di [...] diceva con quella faccia da [...] e la collana così fuori». E la replica: «La collana quella con la chitarra fra... lì se non era stato per i morti te lo giuro [...] lì gliela faceva, lo guardava in un modo...». Gli investigatori non hanno dubbi sulla loro presenza alla Lanterna Azzurra di Corinaldo. Oltre alle celle telefoniche e ai passaggi autostradali, sul tappo della bomboletta utilizzata quella sera sono state trovate tracce biologiche appartenenti a uno dei ragazzi della gang. Un approfondimento investigativo riguarda, poi, le ipotizzate carenze strutturali che, secondo i magistrati, potrebbero aver avuto un ruolo nella morte delle sei persone all'interno della discoteca. Stando a una consulenza tecnica arrivata in Procura nel maggio scorso, l'edificio non sarebbe stato «idoneo alla destinazione a locale di pubblico spettacolo ed è tale da non garantire, in caso di emergenza, le necessarie condizioni di sicurezza».«Quella sera la capienza massima», hanno spiegato i magistrati, «era stata ampiamente superata», hanno ribadito i magistrati. E fra gli indagati per omicidio colposo plurimo e disastro colposo ci sono anche i componenti della commissione comunale di controllo che rilasciò i permessi, tra cui il primo cittadino di Corinaldo, Matteo Principi.
Quest’anno in Brasile doppio carnevale: oltre a quello di Rio, a Belém si terrà la Conferenza Onu sul clima Un evento che va avanti da 30 anni, malgrado le emissioni crescano e gli studi seri dicano che la crisi non esiste.
Due carnevali, quest’anno in Brasile: quello già festeggiato a Rio dei dieci giorni a cavallo tra febbraio e marzo, come sempre allietato dagli sfrenati balli di samba, e quello - anch’esso di dieci giorni - di questo novembre, allietato dagli sfrenati balli dei bamba che si recheranno a Belém, attraversata dall’equatore, per partecipare alla Cop30, la conferenza planetaria che si propone di salvarci dal riscaldamento del clima.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Il 9 novembre 1971 si consumò il più grave incidente aereo per le forze armate italiane. Morirono 46 giovani parà della «Folgore». Oggi sono stati ricordati con una cerimonia indetta dall'Esercito.
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Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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Teresa Ribera (Ansa)
Il capo del Mef: «All’Ecofin faremo la guerra sulla tassazione del gas naturale». Appello congiunto di Confindustria con le omologhe di Francia e Germania.
Chiusa l’intesa al Consiglio europeo dell’Ambiente, resta il tempo per i bilanci. Il dato oggettivo è che la lentezza della macchina burocratica europea non riesce in alcun modo a stare al passo con i competitor mondiali.
Chiarissimo il concetto espresso dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti: «Vorrei chiarire il criterio ispiratore di questo tipo di politica, partendo dal presupposto che noi non siamo una grande potenza, e non abbiamo nemmeno la bacchetta magica per dire alla Ue cosa fare in termini di politica industriale. Ritengo, ad esempio, che sulla politica commerciale, se stiamo ad aspettare cosa accade nel globo, l’industria in Europa nel giro di cinque anni rischia di scomparire». L’intervento avviene in Aula, il contesto è la manovra di bilancio, ma il senso è chiaro. Le piccole conquiste ottenute nell’accordo sul clima non sono sufficienti e nei due anni che bisogna aspettare per la nuova revisione può succedere di tutto.









