2024-06-09
Su un’isola di Venezia fuori dalla routine prendono vita alberi di stoffa e cartone
Quadri intessuti, rami e installazioni nella mostra «Selva» di Eva Jospin al Museo Fortuny. Un edificio magico e poco noto.Pochi giorni fa sono tornato a visitare il mio luogo preferito di Venezia: il Museo Fortuny. Abitai in sestiere San Marco per un breve periodo, 18 anni fa, e questo spazio fu uno dei miei rifugi preferiti. L’ingresso nel giardino manteneva quest’atmosfera dal sapore medioevale, come se Venezia non fosse cambiata affatto dai tempi in cui era una città quasi deserta, vissuta anzitutto dai proprio abitanti, e non il museo a cielo aperto che oramai è diventato, come Firenze o Roma, ma molto oltre, come sappiamo, forse addirittura impossibilitata oramai a essere vissuta, se non da coloro che ci lavorano, dagli studenti e dai docenti universitari.Palazzo Fortuny sembrava un’isola dimenticata, 18 anno fa, quando ci mettevo piede una volta al mese. Pochi i visitatori e le sale quasi spente, con tutti questi splendidi quadri appesi, le statue, le stoffe, le fotografie, gli arazzi, i costumi, le sue invenzioni d’illuminazione, e poi gli affreschi alle pareti di un vero e proprio giardino incantato, uno dei pezzi forti, se così si può dire, delle sale al primo piano, denso di presenze animali e figure allegoriche, quell’antichità mitologica che tanto piaceva ai signori delle grandi ville edificate tra Seicento e Ottocento. E poi la facciata da cui mi attendevo che si presentassero gli attori di una compagnia shakespeariana, in calzamaglia, essendo un luogo perfetto ad esempio per ospitare una scena da Romeo e Giulietta. Incanto senza tempo, immaginavo le ore della vita di questo curioso Mariano Fortuny: inventore, pittore, fotografo, stralunata anima immersa nella bellezza, tra donne splendide, tessuti e invenzioni. Ma chi era davvero Fortuny? Mariano Fortuny y Madrazo nasce in Spagna nel 1871, a 18 anni si sposta a Venezia - mi avevano raccontato che scelse la città lagunare al posto di una Parigi o di una Milano poiché Venezia era l’unica città senza cavalli, aveva una perniciosa allergia al pelo di questi animali, ma di tale notizia ultimamente non trovo conferma - e inizia a lavorare per i teatri realizzando costumi, scenografie e aggiornando le tecniche di illuminazione e proiezione dei fondali. Fotografo, disegnatore di tessuti e stampe, inventa una carta fotografica a colori, avvia un’industria per realizzare in proprio i suoi tessuti, è insomma un artista totale, un Michelangelo artigianale del XX secolo. La sua personale storia con quel che era stato il Palazzo della famiglia Pesaro ha inizio nel 1898, quando vi installa il suo studio, acquisendolo integralmente in seguito e ristrutturandolo. Un secolo dopo noi ci entriamo e ci guardiamo intorno stupefatti, incantati, una wunderkammer di buon gusto dove ogni pezzo è scelto con cura.E 18 anni dopo la mia ultima visita - e dicono che la vita non sia un soffio... - l’ingresso è a lato, più ufficiale e moderno, se vogliamo, mentre la facciata e il giardino interno sono chiusi e ci si arriva visitando i due piani. I passaggi interni facilitano una visione dal basso verso l’alto degli spazi e dei saloni di 40 metri di lunghezza. Meravigliosa la collezione di quadri, con diversi nudi e nature morte, per non parlare delle fotografie e delle stampe. Mariano muore nel 1949, la moglie dona la casa al Comune di Venezia, rendendolo museo aperto al pubblico nel 1975. E sono trascorsi già altri 50 anni.Come accade non di rado la concentrazione porta a una saturazione e dopo un’oretta di visita ci si sente stanchi. Consiglierei al visitatore, se ne ha l’opportunità, di separare la visita: un giorno dedicato al primo piano e un giorno, o una seconda visita, per il secondo piano.Al termine della mia visita mi avvicino con scetticismo alla personale predisposta nel piano inferiore, pensando chissà cosa avranno mai allestito, qualche giovane artista colmo di idee già vecchie a 20 anni, magari un newyorkese, o un lodigiano che imita, a distanza, il Mauri, ma sbaglio perché invece incontrerò le opere di un’artista parigina, Eva Jospin, mia coetanea, molto celebre e premiatissima Oltralpe, Prix de l’Académie des Beaux-Arts nel 2015 e residente a Villa Medici a Roma nel 2017, la Jospin ha esposto al Palais de Tokyo, al Palazzo dei diamanti di Ferrara, alla Hayward gallery di Londra, all’Het Noordbrabants museum di Den Bosch nonché, se non bastasse, al Musée de la chasse et de la nature e al Château de Versailles di Parigi.Titolo della mostra: Selva. Potevo forse esimermi? Siamo infatti di fronte a opere di vario materiale, anzitutto carta, cartone, stoffe, fili, tessuti e metalli con cui indaga le forme della natura, degli alberi in primis; vera Phoemina Radix. Quadri intessuti, piccole foreste, rami, installazioni. La sorpresa è garantita da un percorso tutto lavorato e ingegnoso, con una galleria interna a botte e il soffitto a cassettoni, come se la prospettiva ideale del Rinascimento fosse stata scolpita dentro una foresta pluviale inaccessibile. Curiosa dicotomia di volumi e di superfici. Questa galleria è miniaturizzata nei dettagli, una selva in cartone, dove ritrovare la perdizione di fronte all’ingresso di un bosco ma ovviamente nelle potenzialità artigianali delle mani umane. Così viene presentato il suo lavoro: «Il lavoro di Eva Jospin prospera in uno spazio liminale tra realtà e finzione, tra elementi familiari e insoliti. Negli ultimi 15 anni ha dato vita a foreste e paesaggi architettonici meticolosi, esplorandoli attraverso diversi media, tra cui cartone, bronzo, ricamo e disegno». Foreste dense e misteriose, fatte di cartone, un materiale così facile da trovare e da lavorare, da scolpire, e così simile, per delicatezza alle superficie vegetali, siano radici, ramificazioni, cortecce scortecciate. Recentemente la Jospin ha realizzato alcuni set per le sfilate della Paris fashion week: un pezzo di foresta e un portale monumentale con diverse inserzioni grottesche, nel senso di grotte, forme che ricordano pietre e stalattiti ma anche architetture lineari, mescolate insieme, e non si capisce se l’arte sia stata estrapolata dalla materia grezza o se la materia grezza sia stata plasmata appesantendo l’architettura regolare, neoclassica.Curatori della personale veneziana i critici Chiara Squarcina e Pier Paolo Pancotto, già fautori di diverse altre mostre negli spazi del Museo Fortuny come al Museo Correr. Dovrebbe uscire nelle prossime settimane un catalogo. Selva resta aperta fino al 24 novembre.
Giancarlo Fancel Country Manager e Ceo di Generali Italia
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