2024-06-19
L’ok al premierato fa esultare la Meloni. Ora per l’Autonomia sono i giorni cruciali
Il testo passa al Senato con 109 voti, 77 no e un astenuto. Fdi festeggia con un flash mob. Anche il Carroccio vede il traguardo.La sinistra grida al regime per le proposte del governo. Ma tace sulle manovre anti Cav di Scalfaro rivelate da Ruini. E sulle maggioranze costruite a tavolino al Quirinale.Lo speciale contiene due articoli.«Un primo passo in avanti per rafforzare la democrazia, dare stabilità alle nostre istituzioni, mettere fine ai giochi di palazzo e restituire ai cittadini il diritto di scegliere da chi essere governati». Nel tardo pomeriggio di ieri, Giorgia Meloni pubblica questo breve post sui suoi profili social per manifestare tutta la sua soddisfazione per il primo via libera parlamentare incassato dal ddl Casellati sull’elezione diretta del premier, ottenuto nell’aula di Palazzo madama. Un voto che stavolta è giunto al termine di una seduta sostanzialmente tranquilla, forse perché la vis polemica dell’opposizione era tutta stipata nella vicina Piazza Santi Apostoli, dove il campo largo a trazione dem si era dato appuntamento per protestare contro le riforme del governo, in primis l’autonomia differenziata in dirittura d’arrivo a Montecitorio. Il testo sul premierato è passato con 109 voti a favore, 77 contrari e un astenuto, e ora passa alla Camera: si tratta - come ha ricordato il premier - della prima tappa del vero e proprio tour de force riservato alle leggi costituzionali che prevede, come è noto, una doppia lettura. Una volta approvato anche alla Camera, il premierato dovrà attendere almeno tre mesi per il «secondo giro», e se questa volta non otterrà una maggioranza dei due terzi delle Camere (praticamente sicuro con i numeri attuali) dovrà essere sottoposto a referendum confermativo. Intanto, dopo il buon risultato alle elezioni e la riuscita del G7 in Puglia, in casa Fdi c’è voglia di festeggiare, come testimonia il clima festoso che ha accompagnato il voto, con il successivo flash mob in cui i senatori di Fdi hanno intonato l’inno di Mameli e srotolato uno striscione con scritto: «Fine dei giochi di Palazzo». Il dibattito pre voto, come detto, non ha offerto momenti di tensione lontanamente assimilabili alla rissa di Montecitorio della settimana scorsa, ma una serie di interventi in cui ogni gruppo ha ribadito le proprie posizioni. Nelle more, però, è risultato abbastanza evidente che la tensione, in questa fase, risiede prevalentemente nel dossier Autonomia, data la vicinanza all’ok definitivo del testo Calderoli, atteso impazientemente dalla Lega. «L’Italia ha un problema di stabilità», ha osservato Marco Lisei, di Fdi, «che ci portiamo dietro dalla notte dei tempi e che ha un costo. Le argomentazioni usate dall’opposizione nel corso del dibattito sono soprattutto un’offesa al popolo italiano: sostenere che gli italiani siano abbastanza intelligenti per votare un sindaco, per pagare le tasse ma non per scegliere il presidente del Consiglio, che invece dovrebbe essere eletto dai parlamentari», ha concluso, «è un’offesa». Per Maurizio Gasparri «la scelta è tra questa democrazia affidata ai cittadini e l’intrigo che è quello che è servito a qualcuno per arrivare al governo», mentre il capogruppo leghista, Massimiliano Romeo, ha replicato al dem Francesco Boccia, che accusava Fdi e Lega di aver fatto uno scambio tra premierato e autonomia, affermando che «si chiama accordo politico». Un accordo che, per dirsi onorato, dovrà vedere entro domani l’approvazione definitiva del testo Calderoli alla Camera, che anche ieri è faticosamente avanzato verso il traguardo, nonostante l’ostruzionismo del centrosinistra e una pausa dei lavori chiesta dai parlamentari dell’opposizione per poter presenziare alla manifestazione di Piazza Santi Apostoli. A tenere banco in Aula è stato l’intervento del ministro leghista per gli Affari regionali e l’Autonomia, nonché intestatario della legge, che ha tenuto a smontare tutti gli argomenti allarmistici finora utilizzati da Pd, sinistra e M5s: «Quando sento che ci sarebbe la previsione di più risorse per le regioni che già stanno meglio», ha affermato Calderoli, «rispetto a quelle in difficoltà, mi spiace, ma state parlando di un’altra legge perché all’interno di questa legge c’è scritto il contrario. Qualunque tipo di trasferimento non sarà possibile se non quando saranno definiti i Lep, i costi e i fabbisogni standard senza nessun rischio per la tenuta del Paese, che è andato avanti comunque». «La mia contrarietà», ha proseguito, «nasce dal fatto che stiamo discutendo una legge di rango ordinario che non può modificare una nostra disposizione costituzionale se non attraverso una riforma costituzionale. Non è la legge in discussione in questi giorni che crea l’autonomia differenziata. L’autonomia differenziata è nella nostra Costituzione dal 2001, è stata approvata dal Parlamento e da un referendum popolare. Può piacere o no ma stiamo dando attuazione alla Costituzione. Le 23 materie esclusive dello Stato e le altre 20 concorrenti non sono state introdotte dalla legge oggi in discussione ma nascono dal combinato degli articoli 116 e 117 della Costituzione», ha concluso, «che possono piacere e non piacere». Proprio i Lep sono sostanzialmente l’oggetto di quattro ordini del giorno di Forza Italia relativi al ddl, nel tentativo di rassicurare il proprio elettorato meridionale, e un settore del partito capitanato dal governatore calabrese, Roberto Occhiuto.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/premierato-meloni-autonomia-giorni-cruciali-2668542992.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lunico-golpe-sono-i-giochi-di-palazzo" data-post-id="2668542992" data-published-at="1718752597" data-use-pagination="False"> L’unico golpe sono i giochi di palazzo Il regime, la Costituzione! Liliana Segre, insultata nei comizi dai pro Pal che ingrossano le fila della sinistra, ha gridato contro il premierato e tutti a osannarla. Ben 180 costituzionalisti le si sono stretti attorno. Che fossero zitti e muti quando lei ha tuonato contro l’uso della parola «genocidio» per le azioni d’Israele è un particolare trascurabile nella retorica antifascista. L’intento dichiarato è fermare Giorgia Meloni che «prova a minare le basi democratiche della nostra Costituzione» con il premierato e l’autonomia differenziata. Perché le «riforme costituzionali non si fanno a colpi di maggioranza». Che il titolo quinto - quello sulle Regioni - sia stato cambiato dal centrosinistra in spregio agli altri ai tempi non conta. Eppure Franco Bassanini - fido scudiero degli interessi Pci-Ds-Pds-Pd da ministro e da presidente di Cdp - così la presenta: «La più grande riforma costituzionale finora approvata». Ma sul premierato si sgolano perché riduce «sia i poteri del Parlamento che le prerogative del capo dello Stato». Hanno ragione i piazzisti della Costituzione: la Meloni va fermata. Perché la vera riforma dovrebbe essere l’elezione diretta del presidente della Repubblica. È strano che i 180 costituzionalisti guardia d’onore della Segre abbiano taciuto di fronte alle rivelazioni del cardinal Camillo Ruini su Oscar Luigi Scalfaro. Il prelato, che per 17 anni ha guidato la Chiesa italiana, in questi giorni ha rivelato: «Il presidente convocò me, il cardinale Angelo Sodano e monsignor Jean Louis Tauran e ci chiese di aiutarlo a far cadere il governo di Silvio Berlusconi. La nostra decisione di opporci a quella che ci appariva come una manovra, al di là della indubbia buona fede di Scalfaro, fu unanime». Tutti zitti di fronte alla rivelazione che il Quirinale aveva tramato per coartare la volontà del popolo sovrano. Tutto avviene nel 1994, all’indomani di Mani pulite, quando Achille Occhetto segretario del Pds che manteneva nel simbolo la scritta Pci con la falce e il martello perde, con la sua gioiosa macchina da guerra, le elezioni contro Berlusconi. Si capisce - dopo le rivelazioni di Ruini - perché Mani pulite lasciò indenne il Pci e si capisce perché l’invito a comparire - in pieno G8 - fu recapitato via Corriere della Sera dalla Procura di Milano. Ciò che non era stato possibile coinvolgendo i rappresentanti di Cristo fu possibile coinvolgendo i rappresentanti della legge che sovente si sentono - quando si parla di certe Procure - un gradino sopra al Nazareno (e non si parla della sede del Pd). Come si possa considerare il Quirinale arbitro e non attore, come si possa ritenere che da Mani pulite in poi non vi sia un filo rosso che tesse una trama di potere è davvero difficile da comprendere. E come non vedere che Scalfaro ha costituito un precedente. Il 5 agosto 2011 Mario Draghi firma, con Jean Calude Trichet in procinto di lasciare la Bce, la famosa lettera di messa in mora del governo italiano. Non sfuggirà che Draghi nel 1992 comincia l’opera di privatizzazione che con l’avvento di Berlusconi rischia di fermarsi o di far si che al banchetto non partecipino gli amici. Egualmente nel 2011 Giulio Tremonti - ministro dell’Economia del governo Berlusconi - rischia di vincere la battaglia sugli Eurobond e di far saltare lo schema per la spoliazione dell’Italia. Giorgio Napolitano - il tifoso dei carri armati sovietici portatori di democrazia mentre massacravano gli ungheresi - crea Mario Monti senatore a vita e di lì a poco nomina, a novembre, il suo governo tecnico. È la seconda volta che il Quirinale interviene a modificare l’esito delle libere elezioni. E la storia, sempre grazie a Napolitano, si ripete con Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni. Nel frattempo al Quirinale sale Sergio Mattarella, che di fronte alle dimissioni di Renzi il 7 dicembre del 2016 non indice le elezioni, ma affida il governo a Gentiloni. Insomma, si è passati da un governo all’altro con formule di ogni tipo (l’ultima è stata la grande ammucchiata attorno a Draghi) pur di non ridare la parola ai cittadini. Ma non diciamolo ai piazzisti della Costituzione.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)