2021-01-19
Il premier senza vergogna. Dal populismo rivendicato alla «vocazione europeista»
Show trasformista di Giuseppe Conte: chiama a raccolta contro nazionalismo e sovranismo ma è lo stesso che sbandierava il vessillo della sovranità persino alle Nazioni unite.Il giro del mondo in otto parole. «Questa alleanza dovrà esprimere una imprescindibile vocazione europeista». E Jules Verne è sconfitto, improvvisamente banale, scontato rispetto alle favolistiche pennellate di Giuseppe Conte. Il periplo è compiuto, la rotazione attorno alla pochette adesso è completa: l'avvocato di periferia mandato a Palazzo Chigi dalla coalizione più populista e sovranista della storia d'Italia conclude la sua mutazione genetica. Due anni fa il suo totem era Nigel Farage, adesso è Valdis Dombrovskis. «È una chiara scelta di campo contro le derive nazionaliste e le logiche sovraniste». Mentre noi poveri di spirito ci scandalizziamo con Clemente Mastella, dai banchi del Pd parte un peloso applauso.Conte conferma d'essere un premier che vende fumo in bottiglia, da fiera di paese di fine '800, e si aggrappa alla poltrona piantando le unghie dentro il legno della spalliera. È uno scaltro mestierante della politica (ha imparato in fretta) che avanza a colpi di contraddizioni. Superata la prima, quella più clamorosa, le altre vengono come le ciliegie. Esempio di fregolismo in tre atti: il Conte 1 sovranista e populista che andava a Bruxelles a prendere schiaffi, il Conte 2 populista euroscettico («ma ho sempre votato a sinistra») e il Conte 3 di ieri, praticamente la caricatura di Konrad Adenauer. C'era una volta un Conte nominato da Movimento 5 stelle e Lega che nel discorso di insediamento ricordava il valore storico-istituzionale dei termini populismo e sovranismo. Una lezione imparata citando passaggi di un articolo della rivista Il Primato Nazionale, vicina a Casapound, in cui si raccontava come Fedor Dostoevskij sontetizzasse il pensiero di Aleksandr Puskin: «Populismo significa ascoltare la voce del popolo, comprenderne il linguaggio e le ragioni profonde». E infatti il premier, già in modalità strumento a fiato di Rocco Casalino, allora disse: «Se populismo è l'attitudine della classe dirigente ad ascoltare i bisogni della gente; se antisistema significa mirare a introdurre un nuovo sistema che rimuova vecchi privilegi e incrostazioni di potere, queste forze politiche meritano entrambe queste qualificazioni».La citazione sembrò dotta, Dostoevskij invece di Gigliola Cinquetti e degli 883 (capisaldi del pensiero renziano) spiazzò la critica. Conte decise che era una buona metafora e la aggiornò qualche mese dopo in un discorso all'Onu: «Quando qualcuno ci accusa di populismo e sovranismo amo sempre ricordare che sovranità e popolo sono richiamati dall'articolo 1 della Costituzione italiana, ed è esattamente in quella previsione che interpreto il concetto di sovranità e l'esercizio della stessa da parte del popolo». Due anni fa. Un'altra era geologica per il principe dei trasformisti che oggi sfrutta l'amnesia collettiva della sinistra avvinghiata al potere.Sembra la piroetta più eclatante della giornata ma subito dopo arriva una seconda che ne mette in dubbio il primato. Ricordiamo che sta parlando Giuseppi, l'orsacchiotto politico battezzato così da Donald Trump, amico principale dell'avvocato degli italiani. Tanto da fare endorsement per lui come ringraziamento per avergli aperto le porte dello scottante filone italiano del Russiagate nei due incontri con il ministro della Giustizia Usa, William Barr. Conte è stato anche il premier più tiepido del mondo nello stigmatizzare l'assalto a Capitol Hill. Ecco, da mezza giornata il Giuseppi con le corna di bisonte è un fedelissimo di Joe Biden. «La sua agenda è la nostra agenda. L'Italia in questo momento può giovarsi di una forte sintonia con l'indirizzo politico dell'Unione europea, guardiamo poi con grande speranza alla presidenza Biden. Con lui ho avuto una lunga e calorosa telefonata, ci aggiorneremo presto in vista del nostro G20. L'agenda della nuova amministrazione è la nostra agenda. È importante lavorare per rinnovare le istituzioni internazionali».Eurolirico con in tasca l'agenda di Biden. Domani è un altro giorno, che problema c'è? Il resto arriva di conseguenza, una ciliegia dopo l'altra. Da 11 mesi Fregoli Conte blinda il Paese con i Dpcm supportati da Iss, Cts e ministero della Salute, ma non dimentica di fare lo scaricabarile sanitario: «La gestione della Sanità spetta alle regioni». Poi annoia la Camera con il libro dei sogni digitali (automotive, digital divide) senza ricordare il fallimento dell'app Immuni, il crash del sito dell'Inps e il pasticcio del cashback. Fa l'elenco dei convegni in Italia nel 2021 scambiando in nostro Paese per un bed&breakfast. Evoca la legge elettorale proporzionale e la soluzione del problema intelligence (lasciate marcire in cortile come tutto il resto), solo perché Matteo Renzi ha fatto saltare il banco. Arriva al punto di accarezzare anche l'opposizione («Ho apprezzato la coscienza istituzionale quando ha votato gli scostamenti di bilancio») nella speranza di raccattare da terra qualche voto oggi alle Termopoli del Senato.I valori di Conte sono un trasformismo resiliente (per usare una brutta parola che ama) e la dottrina del professor Bellavista, quello che diceva: «Eppure è sempre vero anche il contrario». Più lui parla di principi e di ideali, più questi si sfaldano privi di significato. Il premier servitore di tutti i padroni somiglia sempre più a un travet di lusso da curia di provincia. Quegli uomini senza orizzonte, che si preparano minestrine col formaggino, si annodano cravatte fuori moda e ritagliano gli articoli di Beppe Severgnini. Poi danno ragione a tutti, soprattutto al parroco per non rischiare di bucare l'estrema unzione. La crisi non è il virus, la crisi è Conte.