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2021-07-27
Il popolo anti green pass domani torna in piazza. Lega e Fdi ci fanno i conti
Ansa
Il popolo anti green pass sta rapidamente lasciandosi alle spalle la fase spontaneista, per passare a quella più strutturata. Dopo le prime manifestazioni dei giorni scorsi, nate come reazione istintiva alle misure annunciate dal governo sull'obbligo del lasciapassare vaccinale, c'è grande fermento tra tutte le associazioni e i comitati di cittadini, in vista della manifestazione di domani sera alle 20 a Piazza del popolo, nella Capitale. Nella mente degli organizzatori, infatti, quest'occasione dovrebbe rappresentare da una parte il culmine della protesta civile, dall'altra l'avvio di un'azione più incisiva a livello politico e programmatico, che fissi degli obiettivi precisi da portare al contenzioso con il governo e con le autorità sanitarie.
Un primo sforzo di coordinamento superiore a quanto accaduto per le manifestazioni dello scorso weekend è testimoniato dal fatto che le piazze di domani saranno in qualche modo connesse: in contemporanea alla manifestazione principale di Roma, infatti, si svolgeranno nella medesima forma delle fiaccolate una serie di manifestazioni minori nelle varie province, delle quali - cosa più importante - sono state avvertite le autorità. Inoltre, vi sarebbe sul tavolo anche l'ipotesi di rendere periodiche la proteste, indicendo delle manifestazioni ogni settimana. C'è poi uno sforzo di comunicazione, per far passare l'idea della legittimità costituzionale delle manifestazioni, resa più faticosa da alcune prese di posizione di una parte delle forze di governo e dell'ala più aggressiva degli scienziati. Il ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese, ieri, ha usato toni inconsueti e irrituali per condannare le scorse manifestazioni, premettendo, per quello che le compete, che non erano autorizzate ma andando oltre, quando è entrata nel merito e ha detto in soldoni che le opinioni che sono state espresse erano sbagliate.
C'è poi il rischio concreto della strumentalizzazione politica, che i promotori vorrebbero evitare, tenendo a debita distanza i partiti e i movimenti pronti a «mettere il cappello» su una nuova ondata di proteste contro il governo: a prendere le redini dell'organizzazione è stato, sui social, il comitato «Libera scelta», che sta rivendicando fortemente la propria caratterizzazione apartitica, mentre sul versante delle forze politiche ogni tipo di adesione sarà strettamente personale. Le prime conferme dei parlamentari sono giunte da alcuni leghisti come Simone Pillon, Armando Siri, Alberto Bagnai e Claudio Borghi e da «cani sciolti» come Vittorio Sgarbi e Gianluigi Paragone, mentre dall'entourage di Matteo Salvini, che pure ha parlato di «piazze da ascoltare e da capire», filtra l'orientamento a non presenziare, per non creare problemi alla maggioranza.
Problemi che non avrebbe invece Giorgia Meloni, in qualità di leader d'opposizione, ma che almeno per il momento, come fanno sapere dal suo staff, non ha inserito in agenda la partecipazione alla manifestazione di Piazza del popolo, per evitare eventuali assimilazioni del suo partito con i no vax. Su buona parte della istanze dei manifestanti, però, sia la Meloni che Salvini concordano, a partire dal giudizio critico sull'obbligo estensivo del green pass, arrivando alla mancata riapertura delle discoteche. In piazza, infatti, ci sarà anche l'altra «gamba» del movimento di protesta, quella costituita da imprenditori e lavoratori già vessati dalle precedenti chiusure, che temono di fermarsi di nuovo, con conseguenze letali per le loro attività.
Su questo fronte, un «antipasto» delle proteste sarà fornito oggi alle 15 dal movimento #IoApro, nato durante la pandemia per iniziativa di alcuni ristoratori, per opporsi al lockdown indiscriminato adottato dal governo di Giuseppe Conte.
Ma quello che sta turbando maggiormente i sonni dei promotori della manifestazione romana è il rischio - da mettere purtroppo in conto - di infiltrazioni di personaggi violenti, eccentrici o che in qualche modo possano screditare la protesta. Lo «sciamano», il neofascista folcloristico di turno o l'individuo da Tso con la Stella di Davide al petto su cui, ineluttabilmente, si concentrerebbe l'attenzione dei media, facendo perdere di vista alla cittadinanza il vero oggetto del contendere. Di carne al fuoco, invece, ce n'è e anche molta: sta emergendo infatti nelle ultime ore l'orientamento di Mario Draghi e dei settori più intransigenti della maggioranza di procedere, quando ancora le nuove norme sul green pass non sono entrate in vigore, a un'ulteriore stretta, che potrebbe coinvolgere presto i trasporti su scala nazionale e non solo - come avviene oggi - quelli internazionali. Il che significherà green pass obbligatorio, ad esempio, sul treno o sul volo Roma-Milano o sul traghetto per la Sardegna. Resta poi sul tavolo la questione dell'obbligo vaccinale per i lavoratori della scuola, che potrebbe essere introdotto in quelle Regioni in cui la percentuale di personale vaccinato restasse troppo bassa.
Letta strapazza la Costituzione: «Tutti i candidati siano vaccinati»
Ogni mattina, quasi fosse reduce dall'Africa, Enrico Letta si sveglia e sa che deve spararla sempre più grossa per resistere. Ieri dal Corriere della Sera ha proposto un patto di maggioranza anti no vax e ha aggiunto: «Tutti i candidati siano vaccinati». Avesse ammonito: «Voglio il vaccino obbligatorio» sarebbe stato forse opinabile, ma sacrosanto. Avrebbe ordinato allo Stato: assumiti la responsabilità degli atti. Invece si va avanti a mezze verità sul vaccino che non è obbligatorio, ma è inevitabile. Dando ai cittadini una falsa illusione di democrazia: sei libero di scegliere ciò che io t'impongo.
Chi scrive è felicemente reduce da due dosi di Astrazeneca e sostiene convintamente la vaccinazione, ma lo spettacolo che lo Stato sta dando di sé è miserevole. Si comprime - peraltro con annunci a rate e provvedimenti illogici che sconvolgono la quotidianità delle famiglie impedendo ad esempio la programmazione delle vacanze, con danni rilevantissimi a quell'economia che si dice di voler salvaguardare - diritti fondamentali e costituzionalmente sensibili come la mobilità, il lavoro, l'educazione per assolvere il governo e lo Stato dalla loro incapacità di adeguare i trasporti, le scuole, i presìdi di prevenzione. Si consente di dire a Confindustria: chi non è vaccinato perde il lavoro, senza far sapere da che parte sta il governo, lasciando così che la minaccia resti nell'aria. Non è più nemmeno questione di «droit souple» (norme non cogenti, ma convincenti); siamo all'ignavia istituzionale. Del resto nulla di certo è stato detto sulla vaccinazione dei minori, ma c'è la minaccia del non accesso a scuola, all'atto della puntura ci viene fatto firmare un consenso informato che informato non è, ma è una manleva per tutti, tranne che per il vaccinando. Si scarica sui ristoratori e sugli operatori economici, sotto pena di sanzione, la responsabilità dei controlli e si tollerano con parzialità gli assembramenti.
Il ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese, tuona contro i cortei anti passaporto vaccinale: non erano autorizzati. Era autorizzato quello dei marocchini a Voghera? Quello Lgbt? E i raduni dei tifosi (a proposito che fine hanno fatto le denunce del prefetto di Roma?) erano autorizzati? E lo sono anche i clandestini che bighellonano senza permesso: né vaccinale né di soggiorno? C'è una profonda asimmetria - in spregio all'articolo 3 della Carta - che Letta ha amplificato. D'accordo che essere segretari del Partito soi disant democratico non necessariamente vuol dire avere dimestichezza con la democrazia, però non si può invocare l'elezione solo di chi rappresenta il pensiero unico dell'antivirus (e domani magari il pensiero unico sulle tasse, o sul gender: farebbe comodo, giusto?) perché est modus in legibus e si dà il caso che questo Paese abbia una Costituzione. Che ha un fastidiosissimo articolo 51: «Tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza». Non esiste un vincolo all'elettorato passivo se non in casi ben definiti: gli ambiti ristretti della legge Severino e quelli del decreto 267 sugli enti territoriali. Perdurando il virus cinese, Enrico Letta forse chiederà che il presidente della Repubblica giuri sulla Costituzione e sul suo certificato sierologico? In quest'ansia da immunizzazione che ha preso pure il generale Francesco Paolo Figliuolo che evoca nostalgici «imperativi categorici» - l'avesse detto Giorgia Meloni l'avrebbero fatta più nera di quel che è - per riaprire le scuole a costo di vaccinare coattivamente bidelli, professori e ragazzi, il segretario del Pd non si rende conto di aver aggredito, affermando che un non vaccinato deve votare un vaccinato, un diritto indisponibile; l'articolo 48 della Costituzione: «Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge».
Tra qualche settimana oltre dieci milioni di cittadini eleggono un migliaio di sindaci tra cui quello della Capitale d'Italia, oltre a rinnovare la Regione Calabria. Il 30 per cento di questi elettori potrebbe non avere il passaporto vaccinale. Se un elettore si presenta al seggio sprovvisto vota sì o no? Gli si richiede il tampone? E se si rifiuta? Da elettore non gli può essere opposto alcun vincolo, ma da cittadino ha compressi i suoi diritti fondamentali - dal lavoro alla mobilità fino alla patria potestà se s'imporrà il passaporto vaccinale per l'accesso dei figli a scuola - in nome di un bene superiore che lo Stato dichiara, ma non persegue, altrimenti porrebbe l'obbligatorietà vaccinale. Perdurante il ministro Roberto Speranza, si opera più per tenere lo Stato immune da responsabilità, che per la salute visto che sui protocolli terapeutici è nebbia fitta. Questioni troppo sottili? Può darsi, ma la democrazia, come dimostra l'infelice uscita di Enrico Letta, corre lungo un confine esile: separa la condizione di cittadino da quella di suddito.
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Dopo le prove di sabato, i comitati si organizzano per respingere le etichette e isolare i provocatori: sfilate a Roma e in tutta Italia. «Sì personali» da Carroccio e meloniani.Il patto proposto da Enrico Letta fa a pugni con l'articolo 51 della Carta.Lo speciale contiene due articoli.Il popolo anti green pass sta rapidamente lasciandosi alle spalle la fase spontaneista, per passare a quella più strutturata. Dopo le prime manifestazioni dei giorni scorsi, nate come reazione istintiva alle misure annunciate dal governo sull'obbligo del lasciapassare vaccinale, c'è grande fermento tra tutte le associazioni e i comitati di cittadini, in vista della manifestazione di domani sera alle 20 a Piazza del popolo, nella Capitale. Nella mente degli organizzatori, infatti, quest'occasione dovrebbe rappresentare da una parte il culmine della protesta civile, dall'altra l'avvio di un'azione più incisiva a livello politico e programmatico, che fissi degli obiettivi precisi da portare al contenzioso con il governo e con le autorità sanitarie.Un primo sforzo di coordinamento superiore a quanto accaduto per le manifestazioni dello scorso weekend è testimoniato dal fatto che le piazze di domani saranno in qualche modo connesse: in contemporanea alla manifestazione principale di Roma, infatti, si svolgeranno nella medesima forma delle fiaccolate una serie di manifestazioni minori nelle varie province, delle quali - cosa più importante - sono state avvertite le autorità. Inoltre, vi sarebbe sul tavolo anche l'ipotesi di rendere periodiche la proteste, indicendo delle manifestazioni ogni settimana. C'è poi uno sforzo di comunicazione, per far passare l'idea della legittimità costituzionale delle manifestazioni, resa più faticosa da alcune prese di posizione di una parte delle forze di governo e dell'ala più aggressiva degli scienziati. Il ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese, ieri, ha usato toni inconsueti e irrituali per condannare le scorse manifestazioni, premettendo, per quello che le compete, che non erano autorizzate ma andando oltre, quando è entrata nel merito e ha detto in soldoni che le opinioni che sono state espresse erano sbagliate. C'è poi il rischio concreto della strumentalizzazione politica, che i promotori vorrebbero evitare, tenendo a debita distanza i partiti e i movimenti pronti a «mettere il cappello» su una nuova ondata di proteste contro il governo: a prendere le redini dell'organizzazione è stato, sui social, il comitato «Libera scelta», che sta rivendicando fortemente la propria caratterizzazione apartitica, mentre sul versante delle forze politiche ogni tipo di adesione sarà strettamente personale. Le prime conferme dei parlamentari sono giunte da alcuni leghisti come Simone Pillon, Armando Siri, Alberto Bagnai e Claudio Borghi e da «cani sciolti» come Vittorio Sgarbi e Gianluigi Paragone, mentre dall'entourage di Matteo Salvini, che pure ha parlato di «piazze da ascoltare e da capire», filtra l'orientamento a non presenziare, per non creare problemi alla maggioranza. Problemi che non avrebbe invece Giorgia Meloni, in qualità di leader d'opposizione, ma che almeno per il momento, come fanno sapere dal suo staff, non ha inserito in agenda la partecipazione alla manifestazione di Piazza del popolo, per evitare eventuali assimilazioni del suo partito con i no vax. Su buona parte della istanze dei manifestanti, però, sia la Meloni che Salvini concordano, a partire dal giudizio critico sull'obbligo estensivo del green pass, arrivando alla mancata riapertura delle discoteche. In piazza, infatti, ci sarà anche l'altra «gamba» del movimento di protesta, quella costituita da imprenditori e lavoratori già vessati dalle precedenti chiusure, che temono di fermarsi di nuovo, con conseguenze letali per le loro attività. Su questo fronte, un «antipasto» delle proteste sarà fornito oggi alle 15 dal movimento #IoApro, nato durante la pandemia per iniziativa di alcuni ristoratori, per opporsi al lockdown indiscriminato adottato dal governo di Giuseppe Conte. Ma quello che sta turbando maggiormente i sonni dei promotori della manifestazione romana è il rischio - da mettere purtroppo in conto - di infiltrazioni di personaggi violenti, eccentrici o che in qualche modo possano screditare la protesta. Lo «sciamano», il neofascista folcloristico di turno o l'individuo da Tso con la Stella di Davide al petto su cui, ineluttabilmente, si concentrerebbe l'attenzione dei media, facendo perdere di vista alla cittadinanza il vero oggetto del contendere. Di carne al fuoco, invece, ce n'è e anche molta: sta emergendo infatti nelle ultime ore l'orientamento di Mario Draghi e dei settori più intransigenti della maggioranza di procedere, quando ancora le nuove norme sul green pass non sono entrate in vigore, a un'ulteriore stretta, che potrebbe coinvolgere presto i trasporti su scala nazionale e non solo - come avviene oggi - quelli internazionali. Il che significherà green pass obbligatorio, ad esempio, sul treno o sul volo Roma-Milano o sul traghetto per la Sardegna. Resta poi sul tavolo la questione dell'obbligo vaccinale per i lavoratori della scuola, che potrebbe essere introdotto in quelle Regioni in cui la percentuale di personale vaccinato restasse troppo bassa. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/popolo-anti-green-pass-piazza-2653986293.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="letta-strapazza-la-costituzione-tutti-i-candidati-siano-vaccinati" data-post-id="2653986293" data-published-at="1627337434" data-use-pagination="False"> Letta strapazza la Costituzione: «Tutti i candidati siano vaccinati» Ogni mattina, quasi fosse reduce dall'Africa, Enrico Letta si sveglia e sa che deve spararla sempre più grossa per resistere. Ieri dal Corriere della Sera ha proposto un patto di maggioranza anti no vax e ha aggiunto: «Tutti i candidati siano vaccinati». Avesse ammonito: «Voglio il vaccino obbligatorio» sarebbe stato forse opinabile, ma sacrosanto. Avrebbe ordinato allo Stato: assumiti la responsabilità degli atti. Invece si va avanti a mezze verità sul vaccino che non è obbligatorio, ma è inevitabile. Dando ai cittadini una falsa illusione di democrazia: sei libero di scegliere ciò che io t'impongo. Chi scrive è felicemente reduce da due dosi di Astrazeneca e sostiene convintamente la vaccinazione, ma lo spettacolo che lo Stato sta dando di sé è miserevole. Si comprime - peraltro con annunci a rate e provvedimenti illogici che sconvolgono la quotidianità delle famiglie impedendo ad esempio la programmazione delle vacanze, con danni rilevantissimi a quell'economia che si dice di voler salvaguardare - diritti fondamentali e costituzionalmente sensibili come la mobilità, il lavoro, l'educazione per assolvere il governo e lo Stato dalla loro incapacità di adeguare i trasporti, le scuole, i presìdi di prevenzione. Si consente di dire a Confindustria: chi non è vaccinato perde il lavoro, senza far sapere da che parte sta il governo, lasciando così che la minaccia resti nell'aria. Non è più nemmeno questione di «droit souple» (norme non cogenti, ma convincenti); siamo all'ignavia istituzionale. Del resto nulla di certo è stato detto sulla vaccinazione dei minori, ma c'è la minaccia del non accesso a scuola, all'atto della puntura ci viene fatto firmare un consenso informato che informato non è, ma è una manleva per tutti, tranne che per il vaccinando. Si scarica sui ristoratori e sugli operatori economici, sotto pena di sanzione, la responsabilità dei controlli e si tollerano con parzialità gli assembramenti. Il ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese, tuona contro i cortei anti passaporto vaccinale: non erano autorizzati. Era autorizzato quello dei marocchini a Voghera? Quello Lgbt? E i raduni dei tifosi (a proposito che fine hanno fatto le denunce del prefetto di Roma?) erano autorizzati? E lo sono anche i clandestini che bighellonano senza permesso: né vaccinale né di soggiorno? C'è una profonda asimmetria - in spregio all'articolo 3 della Carta - che Letta ha amplificato. D'accordo che essere segretari del Partito soi disant democratico non necessariamente vuol dire avere dimestichezza con la democrazia, però non si può invocare l'elezione solo di chi rappresenta il pensiero unico dell'antivirus (e domani magari il pensiero unico sulle tasse, o sul gender: farebbe comodo, giusto?) perché est modus in legibus e si dà il caso che questo Paese abbia una Costituzione. Che ha un fastidiosissimo articolo 51: «Tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza». Non esiste un vincolo all'elettorato passivo se non in casi ben definiti: gli ambiti ristretti della legge Severino e quelli del decreto 267 sugli enti territoriali. Perdurando il virus cinese, Enrico Letta forse chiederà che il presidente della Repubblica giuri sulla Costituzione e sul suo certificato sierologico? In quest'ansia da immunizzazione che ha preso pure il generale Francesco Paolo Figliuolo che evoca nostalgici «imperativi categorici» - l'avesse detto Giorgia Meloni l'avrebbero fatta più nera di quel che è - per riaprire le scuole a costo di vaccinare coattivamente bidelli, professori e ragazzi, il segretario del Pd non si rende conto di aver aggredito, affermando che un non vaccinato deve votare un vaccinato, un diritto indisponibile; l'articolo 48 della Costituzione: «Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge». Tra qualche settimana oltre dieci milioni di cittadini eleggono un migliaio di sindaci tra cui quello della Capitale d'Italia, oltre a rinnovare la Regione Calabria. Il 30 per cento di questi elettori potrebbe non avere il passaporto vaccinale. Se un elettore si presenta al seggio sprovvisto vota sì o no? Gli si richiede il tampone? E se si rifiuta? Da elettore non gli può essere opposto alcun vincolo, ma da cittadino ha compressi i suoi diritti fondamentali - dal lavoro alla mobilità fino alla patria potestà se s'imporrà il passaporto vaccinale per l'accesso dei figli a scuola - in nome di un bene superiore che lo Stato dichiara, ma non persegue, altrimenti porrebbe l'obbligatorietà vaccinale. Perdurante il ministro Roberto Speranza, si opera più per tenere lo Stato immune da responsabilità, che per la salute visto che sui protocolli terapeutici è nebbia fitta. Questioni troppo sottili? Può darsi, ma la democrazia, come dimostra l'infelice uscita di Enrico Letta, corre lungo un confine esile: separa la condizione di cittadino da quella di suddito.
(IStock)
Tecnologia e innovazione, poi, vanno in scena nel centro di intrattenimento multidisciplinare Area15, che ha di recente ampliato la sua offerta con nuove installazioni di realtà virtuale e aumentata, rendendo ogni visita un’esperienza immersiva e coinvolgente. Qui si può vivere il brivido di un viaggio nello spazio, partecipare a giochi interattivi o assistere a performance artistiche che uniscono arte, musica e tecnologia.
Per chi cerca un’esperienza più avventurosa, sono state inaugurate nuove attrazioni come il Flyover Las Vegas, un’attività di volo simulato che permette di sorvolare paesaggi spettacolari di tutto il mondo, e la Zero Gravity Experience, un volo parabolico che permette di provare la sensazione di assenza di gravità. L’High Roller presso il Linq Hotel è uno straordinario esempio di architettura e ingegneria moderna. Con un’altezza di 167 metri, questa meraviglia di vetro e acciaio è la ruota panoramica più alta degli Stati Uniti e la seconda più alta del mondo. Insomma, ce n’è davvero per tutti i gusti. Las Vegas, la città che non dorme mai, rappresenta da decenni uno dei poli turistici più iconici al mondo. Famosa per i suoi casinò sfavillanti, i suoi spettacoli di livello mondiale e la vita notturna sfrenata, questa città del Nevada ha saputo reinventarsi nel tempo, offrendo ai visitatori esperienze sempre nuove e coinvolgenti.
Uno degli aspetti più evidenti delle novità della città riguarda il settore alberghiero. Accanto ai famosissimi e spettacolari Caesars Palace; Circus Circus, Bellagio, Paris, The Venetian, la destinazione ha visto l’apertura di hotel di lusso e resort innovativi, capaci di attirare un pubblico sempre più eterogeneo. Tra i progetti più importanti va segnalato il Resorts World Las Vegas, un complesso di oltre 6.000 camere che combina tecnologia all’avanguardia, design sostenibile e un’offerta di intrattenimento di livello superiore. Questo resort si distingue per le sue strutture eco-compatibili, tra cui sistemi di risparmio energetico e gestione sostenibile delle risorse idriche.
D’altronde Las Vegas è nata negli anni Cinquanta dal nulla in mezzo al deserto al termine dalla «Valle della Morte» e, grazie alla monumentale diga di Hoover, è completamente autonoma dal punto di vista di acqua ed energia per tutte le luci, i neon, le insegne e la potente aria condizionata che consente di resistere anche a temperature esterne che raggiungono i cinquanta gradi.
L’attrazione più popolare della città è il Las Vegas Boulevard, comunemente noto come The Strip. Tutti i nuovi e lussuosi casinò sono costruiti su questa strada.
Nel centro della città «vecchia» degli anni Cinquanta ci sono, invece, alcuni hotel e casinò più retrò. Qui una delle attrazioni più distintive dell’area urbana è Fremont Street. Questa strada ha un enorme schermo sul soffitto dove vengono proiettate immagini di ogni tipo, e offre anche una divertente zipline, che permette di restare sospesi in aria da un’estremità all’altra della strada.
La parte di ristorazione è davvero molto variegata e va dai ristoranti gourmet a quelli etnici. Molti i piatti interessanti, nessuno a buon mercato. Ovviamente, come in tutti gli Stati Uniti, si trovano fast food a ogni angolo per chi non vole spendere troppo. Tra questi, l’ottimo e moderno Washin Patato at Fontainebleau o al Stubborn Seed at Resorts World.
Per raggiungere Las Vegas una delle combinazioni più interessanti è quella con la compagnia aerea Condor (www.condor.com/it) via Francoforte con ottimi orari di volo, coincidenze e comodità a bordo. Per maggiori informazioni sulla destinazione: www.lvcva.com.
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Bill Clinton e Jeffrey Epstein (Ansa)
Neanche a dirlo, è scoppiato uno scontro tra il Dipartimento di Giustizia e alcuni parlamentari. «La legge approvata dal Congresso e firmata dal presidente Trump era chiarissima: l’amministrazione Trump aveva 30 giorni di tempo per pubblicare tutti i file di Epstein, non solo alcuni. Non farlo equivale a violare la legge. Questo dimostra che il Dipartimento di Giustizia, Donald Trump e Pam Bondi sono determinati a nascondere la verità», ha tuonato il capogruppo dell’Asinello al Senato, Chuck Schumer, mentre il deputato dem Ro Khanna ha ventilato l’ipotesi di un impeachment contro la Bondi. Strali all’amministrazione Trump sono arrivati anche dai deputati Thomas Massie e Marjorie Taylor Greene: due dei principali critici repubblicani dell’attuale presidente americano.
«Il Dipartimento di Giustizia sta pubblicando una massiccia tranche di nuovi documenti che le amministrazioni Biden e Obama si sono rifiutate di divulgare. Il punto è questo: l’amministrazione Trump sta garantendo livelli di trasparenza che le amministrazioni precedenti non avevano mai nemmeno preso in considerazione», ha replicato il dicastero guidato dalla Bondi, per poi aggiungere: «La scadenza iniziale è stata rispettata mentre lavoriamo con diligenza per proteggere le vittime». Insomma, se per i critici di Trump la deadline di venerdì era assoluta e perentoria, il Dipartimento di Giustizia l’ha interpretata come una «scadenza iniziale». Ma non è finita qui. Ulteriori polemiche sono infatti sorte a causa del fatto che numerosi documenti pubblicati venerdì fossero pesantemente segretati: un’accusa a cui il Dipartimento di Giustizia ha replicato, sostenendo di aver voluto tutelare le vittime di Epstein.
Ma che cosa c’è di interessante nei file divulgati venerdì? Innanzitutto, tra i documenti pubblicati l’altro ieri, compare la denuncia presentata all’Fbi nel 1996 contro Epstein da una sua vittima, Maria Farmer. In secondo luogo, sono rispuntate le figure di Trump e Bill Clinton, anche se in misura differente. «Trump è appena visibile nei documenti, con le poche foto che lo ritraggono che sembrano essere di pubblico dominio da decenni. Tra queste, due in cui Trump ed Epstein posano con l’attuale first lady Melania Trump nel febbraio 2000 durante un evento nel suo resort di Mar-a-Lago», ha riferito The Hill. Svariate foto riguardano invece Bill Clinton. In particolare, una ritrae l’ex presidente dem in una piscina insieme alla socia di Epstein, Ghislaine Maxwell, e a un’altra donna dal volto oscurato. In un’altra, Clinton è in una vasca idromassaggio sempre in compagnia di una donna dall’identità celata: una donna che, secondo quanto affermato su X dal portavoce del Dipartimento di Giustizia Gates McGavick, risulterebbe una «vittima». In un’altra foto ancora, l’ex presidente dem è sul sedile di un aereo, con una ragazza che gli cinge il collo con un braccio. Clinton compare infine in foto anche con i cantanti Mick Jagger e Michael Jackson.
«La Casa Bianca non ha nascosto questi file per mesi, per poi pubblicarli a tarda notte di venerdì per proteggere Bill Clinton», ha dichiarato il portavoce di Clinton, Angel Ureña, che ha aggiunto: «Si tratta di proteggersi da ciò che verrà dopo, o da ciò che cercheranno di nascondere per sempre. Così possono pubblicare tutte le foto sgranate di oltre 20 anni che vogliono, ma non si tratta di Bill Clinton». «Persino Susie Wiles ha detto che Donald Trump si sbagliava su Bill Clinton», ha concluso. «Questa è la sua resa dei conti», ha invece dichiarato al New York Post un ex assistente di Clinton, riferendosi proprio all’ex presidente dem. «Voglio dire, se accendete la Cnn, è di questo che stanno parlando. Ho ricevuto un milione di messaggi a riguardo», ha proseguito. «La gente pensa: non posso credere che fosse in una vasca idromassaggio. Chi è quella donna lì dentro?», ha continuato, per poi aggiungere: «Voglio dire, è incredibile. È semplicemente scioccante», ha continuato. Vale la pena di sottolineare che né Trump né Clinton sono accusati di reati in riferimento al caso Epstein. Caso su cui i coniugi Clinton si sono tuttavia recentemente rifiutati di testimoniare alla Camera. Per questo, il presidente della commissione Sorveglianza della Camera stessa, il repubblicano James Comer, ha offerto loro di deporre a gennaio: in caso contrario, ha minacciato di avviare un procedimento per oltraggio al Congresso contro la coppia.
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Il Tribunale dei minori de l'Aquila. Nel riquadro, la famiglia Trevallion Birmingham (Ansa)
Un bambino è un teste fragile estremamente suggestionabile, perché è abituato al fatto che non deve contraddire un adulto, e, soprattutto se il bambino è spaventato, tende a compiacere l’adulto e a dire quello che l’adulto vuole. Ricordiamo che esiste la Carta di Noto, un protocollo di linee guida per l’ascolto del minore in caso di presunti abusi sessuali o maltrattamenti, elaborato da esperti di diverse discipline (magistrati, avvocati, psicologi, ecc.), che sono state sistematicamente disattese per esempio a Bibbiano. Un bambino deportato dalla sua famiglia è per definizione terrorizzato. Il termine corretto per i bambini tolti dalle famiglie dalle assistenti sociali è deportazione. La deportazione avviene all’improvviso, da un istante all’altro, con l’interruzione totale di tutti gli affetti, genitori, nonni, amici, eventuali animali domestici. Il deportato è privato dei suoi oggetti e del suo ambiente e con la proibizione di contatti con la sua vita precedente. Il deportato non ha nessuna padronanza della sua vita. Questo è lo schema della deportazione. Assistenti sociali possono mentire e psicologi possono avvallare queste menzogne con interrogatori suggestivi che portano i bambini a mentire. I motivi sono tre: compiacenza verso superiori o colleghi (è già successo), interesse economico (è già successo), fanatismo nell’applicare le proprie teorie: l’abuso sessuale dei padri sui bambini è diffusissimo, una famiglia non ha il diritto di vivere in un bosco, una madre povera non ha diritto ad allevare suo figlio, i bambini appartengono allo Stato, a meno che non siano rom allora appartengono al clan, un non vaccinato è un nemico del popolo oltre che della scienza e va deportato e vaccinato (è già successo).
Un’assistente sociale può mentire. E dato che la menzogna è teoricamente possibile deve essere necessario, per legge, che a qualsiasi interazione tra lo psicologo e l’assistente sociale e il bambino sia presente un avvocato di parte o un perito di parte, psicologo o altra figura scelta dalla famiglia. È necessario quindi che venga fatta immediatamente una legge che chiarisca che sia vietato una qualsiasi interazione tra il bambino e un adulto, assistente sociale, psicologo, ovviamente magistrato, dove non sia presente un perito di parte o un avvocato. Facciamo un esempio a caso. Supponiamo (siamo nell’ambito delle supposizioni, il posto fantastico dei congiuntivi e dei condizionali) che l’assistente sociale che ha dichiarato che i bambini della famiglia del Bosco sono analfabeti, oltre ad aver compiuto il crimine deontologico gravissimo della violazione di segreto professionale, abbia mentito. Certo è estremamente probabile che i figli di una famiglia con un livello culturale alto, poliglotta, la cui madre lavora in smart working siano analfabeti. È la cosa più logica che ci sia, però supponiamo per ipotesi fantastica che l’assistente sociale abbia mentito. In questo caso è evidente che i bambini non possono tornare a casa per Natale. Se i bambini tornassero a casa in tempi brevi, non sarebbe difficile fare un video dove si dimostra che scrivono benissimo, che leggono benissimo, molto meglio dei coetanei in scuole dove il 90% degli utenti sono stranieri che non sanno nemmeno l’italiano e meno che mai l’inglese, si potrebbe dimostrare che sono perfettamente in grado di farsi una doccia da soli e anche di cucinare un minestrone.
La deportazione di un bambino, coi rapporti troncati da un colpo di ascia, produce danni incalcolabili. I bambini sono stati sottratti ai loro affetti per darli in mano a una tizia talmente interessata al loro interesse che sputtana loro e la loro famiglia davanti a tutta l’Italia e per sempre (il Web non dimentica) con affermazioni (vere?) sul loro analfabetismo e sulla loro incapacità a fare una doccia. Questi bambini rischiano di essere aggrediti e sfottuti dai coetanei per questo, si è spianata la strada a renderli vittime di bullismo per decenni. Con impressionante sprezzo di qualsiasi straccio di deontologia gli operatori, tutti felici di squittire a cani e porci informazioni che dovrebbero essere assolutamente riservate (anche questi il segreto professionale e la deontologia non sanno che cosa siano), ci informano che i bambini annusano con perplessità i vestiti che profumano di pulito. I vestiti non profumano di pulito. Hanno l’odore dei pessimi detersivi industriali reclamizzati alla televisione che deve essere la fonte principale se non l’unica da cui nasce la cultura degli operatori. I loro componenti sono pessimi, non solo inquinanti, ma anche pericolosi per la salute umana a lungo termine: stesso discorso per lo sciampo e il bagno schiuma, soprattutto negli orfanatrofi di Stato, le cosiddette case famiglie, dove si comprano i prodotti meno cari, quindi quelli con i componenti peggiori.
Nessuno dei libricini su cui hanno studiato gli operatori ha spiegato che ci sono ben altri sistemi per garantire una pulizia impeccabile. In tutte le foto che li ritraggono con i genitori, ai tempi distrutti per sempre in cui erano felici, i bambini sono pulitissimi. Tra l’altro tutte queste incredibili esperte di comportamento infantile, non hanno mai sentito parlare di comportamento oppositivo? Un bambino normale, una volta deportato con arbitrio dalla sua vita e dalla sua famiglia, può spezzarsi ed essere malleabile o può resistere ed essere oppositivo. Fai la doccia. Non la voglio fare. Scrivi. Non sono capace. Il bambino oppositivo deve essere frantumato. Non ti mando a casa nemmeno per Natale.
Sia fatta una legge immediatamente. Subito. I bambini del bosco devono avere di fianco un avvocato. Noi popolo italiano, che con le nostre tasse paghiamo i servizi sociali e la deportazione dei bambini, abbiamo il diritto a pretendere che non siano soli. I bambini nel bosco passeranno un Natale da deportati. Qualcuno si sentirà in dovere di informarci che in vita loro non avevano mai mangiato un qualche dolce industriale a base di zucchero, grassi idrogenati e coloranti e che grazie alla deportazione questa lacuna è stata colmata.
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La famiglia Trevallion-Birmingham (Ansa)
È infatti una prepotenza senza significato confrontare una bomba affettiva e esistenziale come tre fratellini che giocano e si vogliono evidentemente bene, accompagnata da genitori altrettanto uniti, e naturalmente affettivi con norme e abitudini di un Paese dove il nucleo abitativo più frequente nelle città più prestigiose consiste in un cittadino singolo. Pretendere che i pochi figli superstiti in qualche «terra di nessuno», con i suoi boschi e le affettuosità (che ancora esistono fuori dalle famiglie-tipo), si uniformino ai secchi diritti e cupe abitudini del sociologico e disperato «gruppo dei pari» è un’operazione di una freddezza stalinista, per fortuna destinata allo scacco. È coltivata da burocrazie che scambiano relazioni profonde e vere, comunque indispensabili alla vita e alla sua felicità, con strumenti tecnici, adoperabili solo quando la famiglia purtroppo non c’è più, molto spesso per l’ottusità e la corruzione dello Stato stesso che le subentra (come racconta Hanna Arendt) quando è riuscito a distruggerla. Se non si vuole creare danni inguaribili, tutti, anche i funzionari dello Stato, dovrebbero fare attenzione a non sostituire gli aspetti già legati all’umano fin dalla creazione del mondo, con pratiche esterne magari infiocchettate dalle burocrazie ma che non c’entrano nulla con la sostanza dell’uomo e la sua capacità di sopravvivere.
Certo, la bimba Utopia Rose, citata nel bel pezzo di Francesco Borgonovo del 18 dicembre, è una testimone insostituibile di un’altra visione del mondo rispetto alle varie ideologie che prevalgono in questo momento, unendo ferocia e ricchezza, cinismo e follia. Impossibile di fronte ai fratellini che tanto scandalizzano le burocrazie perbene non ricordare (oltretutto a pochi giorni dal Natale) l’ordine di Gesù: «Lasciate che questi piccoli vengano a me». Nessuno dubita che entreranno nel Regno prima degli assistenti sociali. Utopia Rose, la più grande, è affettuosa e impegnata, lavoratrice e giocattolona, organizzatrice e sognatrice. Però non è sola (Come si fa a non amarla, e anche un po’ invidiarla?). Non soltanto perché ha i suoi due fratellini, e i tre quarti del pubblico fa il tifo per loro. Ma perché questa visione loro e dei genitori di cercare una vita buona e naturale, semplicemente felice e affettuosa verso sé e verso gli altri e tutto il mondo vivente, cresce con la stessa velocità con la quale si sviluppa l’idolatria verso tutto ciò che è artificiale, fabbricato, mentale, non affettivo. È già qualche anno che chi viene in analisi scopre soprattutto questo: l’urgenza di mettersi al riparo dagli egoismi e pretese grandiose, vuote e fredde, e invece amare. Ormai il fenomeno trasborda nelle cronache. Trasgressione conclusiva, dialettale e popolaresca (milanese): «Spérèm»!
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