
Volano gli stracci nella corrente progressista, l'ex leader di Area attacca: «Chi oggi si scandalizza per le mie chat con Palamara chiedeva favori per sé e per gli altri». E dopo la nomina di Raffaele Cantone alla Procura di Perugia si ribella Magistratura indipendente.Ci perdonerà l'ex consigliere del Csm, Valerio Fracassi, se infrangiamo il suo «divieto di pubblicazione» della lunga e succosa mail inviata agli associati di Area, il cartello di sinistra delle toghe. Una difesa ciceroniana, verrebbe da dire, dagli attacchi casalinghi - raccontati dalla Verità nei giorni scorsi - dopo la pubblicazione delle sue chat con Luca Palamara. Ma il diritto di cronaca è, a nostro avviso, prevalente sulle richieste di riservatezza di una testimonianza che potremmo definire di smascheramento dell'ipocrisia delle toghe rosse di cui egli stesso è stato autorevolissimo rappresentante durante la consiliatura 2014-2018 a Palazzo dei marescialli. Il magistrato pugliese - scherzosamente soprannominato nella mailing list della corrente «Capitan Fracassi» - non nasconde infatti il suo «rapporto personale» decennale con il pm romano sott'inchiesta, un «rapporto di amicizia», lo definisce. Epperò al contempo lo degrada a macchietta («preso da mille «pensieri», da mille impegni contemporanei o parole date sullo stesso oggetto a varie persone») col quale era difficile anche solo comunicare («per catturare la sua attenzione o solo per costringerlo a concentrarsi 5 minuti su un argomento occorreva, talvolta, estremizzare il messaggio, dirgli cose che non erano vere...»). Un tipo inaffidabile, insomma, con cui era obbligatorio però rapportarsi perché il meccanismo della rappresentanza, in fondo, funziona(va) così. E, dice Fracassi, chi oggi fa il mujahiddin dovrebbe controllare bene la memoria del suo cellulare. «Vedo poi volteggiare nell'area della purezza dei valori più di qualcuno che oggi scopre che il sistema è marcio e aspetta la definitiva eliminazione dei suoi protagonisti negativi. Quasi un sacrificio purificatore. In alcuni casi è addirittura chi ne è stato «beneficiato», spara Fracassi. Sì, perché alla fine tutti sapevano tutto, par di comprendere. La necessità di confrontarsi con Palamara e col suo universo di relazioni faceva parte della linea politica della corrente progressista, «più volte chiarita (ed è anche documentata) nelle varie occasioni di confronto all'interno di Area». Fracassi la definisce addirittura «strategia palese e, per quello che ricordo nei vari incontri, largamente condivisa. Anche da chi aveva responsabilità politiche all'interno del panorama di Area. E anche tra coloro che non la condividevano, c'è stato chi poi chiedeva un importante impegno “di risultato" se non addirittura risultati per sé stesso o altri, ovviamente sul presupposto di essere la scelta migliore secondo una tradizione consolidata dalle nostre parti». E questo perché, argomenta ancora il giudice pugliese, «un organo collegiale elettivo a composizione mista ha, evidentemente, una sua ragion d'essere nel confronto e nella ricerca delle soluzioni condivise e, soprattutto, maggioritarie. Confronto con altre persone che non sono delinquenti, ma altri con una diversa sensibilità con cui dialogare. Pensare di essere gli unici nel giusto è non solo antidemocratico ma anche, a mio parere, presuntuoso». Fracassi passa poi a smantellare la nuova filosofia di pensiero che sta facendo proseliti tra le toghe sdegnosamente anti-carrieriste. «Noto che molti sostengono un ritorno all'anzianità che, come i «diversamente giovani» ricordano, ha prodotto pessimi risultati. Certo vedere oggi alcuni testimonial dell'anzianità, a suo tempo nominati molto giovani in posti direttivi o semidirettivi a cui tenevano molto, mi lascia un po' perplesso». E ritorniamo così al punto di partenza: «Ma, quale che sia l'opinione su Area, eviterei le professioni di integralismo e superiorità morale. Inutili e controproducenti». Appello alla conciliazione che però non ha convinto granché gli esponenti di Magistratura indipendente che contestano ai colleghi di sinistra di aver tradito il programma elettorale del 2018 per il rinnovo di Palazzo dei marescialli, quello che avrebbe dovuto dimostrare che «Un autogoverno diverso è possibile». Il motivo del contendere è la recentissima nomina di Raffaele Cantone alla guida della Procura di Perugia, la stessa che sta indagando sulla presunta corruzione di Luca Palamara e che ha in mano la bomba atomica delle intercettazioni ambientali e telefoniche dell'ex boss di Unicost. Mi, infatti, imputa alla corrente di sinistra, risultata determinante insieme ai laici per assegnare l'incarico al magistrato napoletano, di aver usato il più classico dei doppiopesismi a favore dell'ex presidente dell'Anac. In teoria dicendosi contraria a candidati provenienti dai ranghi del fuori ruolo, ma di fatto regolandosi diversamente con il «suo» candidato. Tant'è che Loredana Miccichè, Paola Braggion e Antonio D'Amato, in un documento, chiedono ai rappresentanti di Area nel Consiglio superiore della magistratura «perché, questa volta, le esperienze curriculari di rilievo estranee all'esercizio diretto della giurisdizione (la guida dell'Anticorruzione, ndr) abbiano […] avuto un valore decisivo e perché, in ogni caso, non sia stata accordata prevalenza alle prolungate e valide esperienze nella attività giurisdizionale degli altri candidati». Uno dei quali svolgeva, da tempo, le funzioni di procuratore aggiunto in un tribunale simile a quello umbro con risultati unanimi di apprezzamento. Ma questi, probabilmente, per qualcuno, son dettagli.
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