Più vinciamo in Siria più verranno da noi

Le grottesche acrobazie verbali in cui si sono esibiti il sindaco della Grande Mela e il governatore dello Stato di New York hanno segnato una nuova frontiera del politicamente corretto. Fare riferimento al fantomatico «terrorismo internazionale» è ovviamente un modo per non chiamare in causa l'islam, ma rivela anche un problema più grave: forse non abbiamo capito che genere di minaccia ci attende .

Lo Stato islamico arretra in Siria, tempestato da bombe di vari colori. Secondo alcuni ufficiali dell'esercito americano interpellati dal New York Times, nel giro di due o tre mesi la bestia immonda che ha nome Califfato potrebbe essere estirpata da Mosul e perfino da Raqqa. Ma è a quel punto che cominceranno i guai. Perché i combattenti al soldo di Al Baghdadi che non si saranno fatti esplodere o non saranno morti sul campo abbandoneranno la Siria. Dal 2011 a oggi, circa 42 mila foreign fighters sono partiti per unirsi ai carnefici di Allah. Difficile stimare quanti ne siano sopravvissuti, ma secondo le agenzie di intelligence statunitensi la cifra va dai 30 mila ai 10 mila uomini. Tanti di questi (quasi 8000) sono occidentali. Una parte di costoro, sostiene Peter Neumann del centro studi sulla violenza politica del King's College di Londra, si fermerà in Turchia, contribuendo a destabilizzare ulteriormente quell'area già martoriata. Altri, con tutta probabilità, si uniranno alle bande jihadiste in Egitto e in Tunisia. Ma una consistente fetta di guerriglieri rientrerà in Europa e negli Stati Uniti. Si tratta di «centinaia di assassini addestrati», come ha detto il direttore dell'Fbi James B. Comey.

Dick Schoof, capo dell'antiterrorismo olandese, ha spiegato al New York Times: «Quando i combattenti ritornano in Europa - dove lo Stato islamico ha cellule attive in Gran Bretagna, Germania, Italia e altri Paesi – possono mettersi in contatto con i network presenti sul territorio, e scomparire dai radar, almeno fino al momento in cui attaccheranno».

Mettiamo pure che il Califfato, nel medio periodo, scompaia. I foreign fighters di ritorno saranno solo uno dei grossi guai che si profilano all'orizzonte. Vediamo gli altri. Tanto per cominciare, più l'Isis arretra, più al-Qaeda avanza. L'organizzazione guidata da Al Zawahiri, il barbuto erede di Bin Laden, è tutt'altro che defunta. Anzi, sta guadagnando terreno grazie a una strategia subdola quanto efficace. «Già nel 2013, prima della separazione dallo Stato islamico», spiega un analista dell'Economist, «Zawahiri invitava i jihadisti alla moderazione. L'indicazione era quella di confliggere il meno possibile con i regimi esistenti».

È in questo modo che i qaedisti si sono affermati, per esempio, in Yemen: hanno evitato di vessare e terrorizzare la popolazione, e si sono radicati sul territorio. Lo stesso hanno fatto in Siria, dove la filiale locale chiamata al-Nusra si è da poco ribattezzata Jabhat Fatah al-Sham (Fronte per la conquista del Levante). Al-Qaeda, in Siria, occupa un ruolo fondamentale tra i ribelli che si oppongono ad Assad. Controlla un'area più piccola rispetto a quella nelle mani dello Stato islamico, ma - di nuovo - la gestisce senza la barbarie tipica del Califfato. Infatti fa proseliti: secondo l'Economist, circa due terzi dei suoi 7.000 combattenti sono siriani, mentre l'Isis si basa per lo più su arrivi dall'estero.

Che significa tutto ciò? Che al-Qaeda si è installata in varie zone con l'intenzione di rimanere a lungo. E può contare su una base solida su cui poggiare per perseguire il suo obiettivo di sempre: colpire l'Occidente. «Al Qaeda segue una strategia più “politica", meno appariscente rispetto al Califfato», spiega Marco Lombardi, professore all'Università Cattolica, tra i più autorevoli studiosi italiani di terrorismo. «Ma dobbiamo renderci conto che l'eventuale distruzione dello Stato islamico non ci farà tornare al modello qaedista». L'Isis, insomma, ha segnato la nuova frontiera. «È stato dirompente per brutalità, per l'utilizzo dei media», continua Lombardia. «Anche se sparisse, i semi che ha piantato sono fioriti in tanti Paesi». I semi sono quelli della radicalizzazione individuale, degli zombie che agiscono da soli, in assenza di cellule o di ordini esterni. In questa prospettiva, il termine «terrorismo internazionale» perde ogni senso. Grazie all'azione dell'Isis, la jihad sarà combattuta sempre più dentro l'Occidente, da combattenti rientrati o da fanatici solitari. Potremo annientare il Califfo, ma il male che ha creato gli sopravviverà. Prepariamoci.

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