2022-03-31
Più si combatte, più l’Europa ha da perdere
(Joseph Galanakis/NurPhoto via Getty Images)
Gli Stati Uniti continuano a soffiare sul fuoco, la propaganda vuol far credere che inviare altre armi agli ucraini sia nostro interesse. Mario Draghi deve chiarire se il governo sta lavorando per sostenere il prolungamento della guerra oppure per raggiungere presto la pace. Esiste ancora l’interesse nazionale? Un tempo, pur avendo ben presente la nostra collocazione in un mondo diviso in due blocchi, la nostra politica era in grado di ritagliarsi uno spazio di autonomia. È sufficiente ricordare i primi governi democristiani del Dopoguerra, che consentirono a Enrico Mattei di stringere accordi nel Medioriente al di fuori degli interessi delle Sette sorelle, cioè delle multinazionali del petrolio. Gli esecutivi dell’epoca ignorarono le pressioni americane e lasciarono che il presidente dell’Eni raggiungesse un’intesa commerciale che consentì l’importazione di greggio perfino dall’Unione sovietica. Per non parlare poi di Bettino Craxi, che in nome dell’interesse del nostro Paese a restare fuori dalla campagna di attentati organizzati in Europa dai palestinesi, si rifiutò di cedere agli americani il terrorista che organizzò il sequestro dell’Achille Lauro e l’assassinio di Leon Klinghoffer, pensionato in sedia a rotelle ucciso a sangue freddo per la sola colpa di possedere un passaporto degli Stati Uniti. L’interesse nazionale era ben chiaro anche a Giulio Andreotti, il quale la teoria dei due forni in cui cuocere l’azione di governo non la praticò solo in casa, per non veder naufragare i suoi esecutivi, ma anche all’estero, dichiarandosi filoamericano, ma anche amico del Medioriente.Se prendo esempi dal passato è per dire che oggi l’interesse nazionale non può essere inviare più armi agli ucraini, affinché la guerra scatenata da Mosca continui. Questo può interessare agli Stati Uniti, che vorrebbero ridimensionare l’influenza delle potenze cresciute nella parte orientale del globo. A noi la guerra non conviene, perché più si combatte e più noi abbiamo tutto da perdere. So che il mio ragionamento sarà spacciato per cinismo, ma in realtà si tratta solo di pragmatismo: meglio guardare in faccia la realtà prima di esserne travolti. La Gran Bretagna, con il suo premier Boris Johnson, è insieme con l’America uno dei Paesi più fortemente decisi a sostenere gli ucraini anche con l’invio di armi. Per il primo ministro inglese è anche un modo di trarsi d’impaccio dopo i recenti scandali sui festini a Downing Street in tempi di Covid. Tuttavia, mentre BoJo mette l’elmetto, il giornale in cui è cresciuto come leader politico e che ha anche diretto, ossia The Spectator, scrive chiaro e tondo che né l’Ucraina né la Russia hanno alcuna possibilità di vincere la guerra, ma ne hanno più d’una di trovarsi impantanate in un conflitto lungo, con le conseguenze che si possono immaginare. Non c’è solo il costo di vite umane, che giorno dopo giorno diventa più pesante. C’è anche quello economico, che non pesa nelle tasche degli Stati Uniti, ma in quelle dell’Europa. Non parlo solo della spesa militare, aumentata fino a raggiungere il 2 per cento del Pil. Mi riferisco alle ricadute che questa guerra avrà sui principali Paesi. Ieri la Germania ha annunciato un piano di emergenza nel caso venissero tagliate le forniture di gas. In pratica, stiamo parlando di un razionamento dei consumi energetici, che però equivarrebbe anche a un rallentamento della produzione e, quindi, della locomotiva tedesca. Se gran parte dell’economia di Berlino è attaccata alla canna del metano di Mosca, non va meglio per l’Italia. Infatti, nonostante le molte parole spese in queste settimane, a breve, cioè nei prossimi anni, non c’è alternativa al gas russo. E fa ridere che qualcuno si consoli dicendo che presto farà caldo, perché il gas fa funzionare le nostre centrali e non serve solo al riscaldamento, ma anche a far girare il motore dell’economia. Tutta una questione di combustibili? No, anche di materie prime. Se in Spagna (non in Russia) razionano gli acquisti nei supermercati, è evidente che il prolungamento del conflitto significherà che i nostri consumi e dunque anche il nostro Pil potranno subire dei bruschi cambiamenti.In nome della libertà (degli ucraini) si può anche patire il freddo, rassegnarsi agli scaffali vuoti e ad alcune migliaia di disoccupati in più in conseguenza delle fabbriche chiuse? In teoria sì. Ma in pratica, gli italiani sono disposti a farlo? Secondo un sondaggio reso noto da La 7, il 55 per cento degli intervistati è contrario a inviare armi a Kiev e appena il 35 per cento si dichiara favorevole. La maggioranza nel nostro Paese è forse composta da codardi o persone dal cuore di pietra, che assistono impassibili a un massacro di civili? Io credo di no. Semplicemente, più della metà degli italiani vuole che la guerra finisca, per non vedere altri bambini morti, ma anche per evitare uno scivolamento progressivo verso un punto di non ritorno. Lo storico inglese Niall Ferguson, ieri ha spiegato che l’amministrazione Biden si è imbarcata in una strategia che punta a prolungare la guerra, nella convinzione che questo porterà alla caduta di Putin. Il rischio, spiega il biografo di Kissinger, non è solo che nel frattempo le principali città ucraine siano rase al suolo, ma di spingere lo zar del Cremlino a mosse disperate e pericolose. E poi siamo sicuri che uccidere Putin sia il modo per risolvere il problema? Far fuori Saddam Hussein o Muammar Gheddafi non è servito a migliorare le cose, anzi le ha peggiorate. E stavolta potrebbe essere anche peggio e non perché morto un dittatore se ne fa un altro (l’Egitto insegna), ma perché la Cina potrebbe correre in soccorso della Russia. Ieri il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino ha ribadito che gli interessi dei due Paesi sono molto forti ma, aggiungo io, la guerra potrebbe rafforzarli, creando un asse del male che non giova a nessuno, men che meno all’Europa. Domenico Quirico, uno che di guerre se ne intende, sulla Stampa ha scritto che Unione europea e America combattono in Ucraina due guerre diverse, perché gli americani, più che inseguire la pace «hanno un progetto molto più ambizioso, di cui l’Ucraina, è amaro dirlo, non è che lo scenario geografico e a cui fornisce il materiale umano. Il progetto è quello di spazzare via Putin dallo scenario politico mondiale». E per questo, aggiunge Quirico, «elemento fondamentale della strategia è sabotare qualsiasi possibilità di negoziato». Ovviamente sulla pelle degli ucraini e dei russi, aggiungo io. E, tornando alla domanda iniziale, il nostro interesse nazionale, qual è? Facilitare un cambio di regime a Mosca con l’effetto collaterale di far entrare la Russia nell’orbita cinese e sostituire un nemico con un altro, passando da Putin a Xi Jinping? Sarò più schietto: il nostro governo lavora per sostenere una guerra alle porte di casa o si dà da fare per raggiungere la pace? Più che sull’aumento della spesa militare è su questo che Mario Draghi dovrebbe rispondere al Parlamento. Ammesso e non concesso che ci siano delle Camere interessate all’argomento.
La Casina delle Civette nel parco di Villa Torlonia a Roma. Nel riquadro, il principe Giovanni Torlonia (IStock)
Dalle sue finestre vedeva il Duce e la sua famiglia, il principe Giovanni Torlonia. Dal 1925 fu lui ad affittare il casino nobile (la villa padronale della nobile casata) per la cifra simbolica di una lira all’anno al capo del Governo, che ne fece la sua residenza romana. Il proprietario, uomo schivo e riservato ma amante delle arti, della cultura e dell’esoterismo, si era trasferito a poca distanza nel parco della villa, nella «Casina delle Civette». Nata nel 1840 come «capanna svizzera» sui modelli del Trianon e Rambouillet con tanto di stalla, fu trasformata in un capolavoro Art Nouveau dal principe Giovanni a partire dal 1908, su progetto dell’architetto Enrico Gennari. Pensata inizialmente come riproduzione di un villaggio medievale (tipico dell’eclettismo liberty di quegli anni) fu trasformata dal 1916 nella sua veste definitiva di «Casina delle civette». Il nome derivò dal tema ricorrente dell’animale notturno nelle splendide vetrate a piombo disegnate da uno dei maestri del liberty italiano, Duilio Cambellotti. Gli interni e gli arredi riprendevano il tema, includendo molti simboli esoterici. Una torretta nascondeva una minuscola stanza, detta «dei satiri», dove Torlonia amava ritirarsi in meditazione.
Mussolini e Giovanni Torlonia vissero fianco a fianco fino al 1938, alla morte di quest’ultimo all’età di 65 anni. Dopo la sua scomparsa, per la casina delle Civette, luogo magico appoggiato alla via Nomentana, finì la pace. E due anni dopo fu la guerra, con villa Torlonia nel mirino dei bombardieri (il Duce aveva fatto costruire rifugi antiaerei nei sotterranei della casa padronale) fino al 1943, quando l’illustre inquilino la lasciò per sempre. Ma l’arrivo degli Alleati a Roma nel giugno del 1944 non significò la salvezza per la Casina delle Civette, anzi fu il contrario. Villa Torlonia fu occupata dal comando americano, che utilizzò gli spazi verdi del parco come parcheggio e per il transito di mezzi pesanti, anche carri armati, di fatto devastandoli. La Casina di Giovanni Torlonia fu saccheggiata di molti dei preziosi arredi artistici e in seguito abbandonata. Gli americani lasceranno villa Torlonia soltanto nel 1947 ma per il parco e le strutture al suo interno iniziarono trent’anni di abbandono. Per Roma e per i suoi cittadini vedere crollare un capolavoro come la casina liberty generò scandalo e rabbia. Solo nel 1977 il Comune di Roma acquisì il parco e le strutture in esso contenute. Iniziò un lungo iter burocratico che avrebbe dovuto dare nuova vita alle magioni dei Torlonia, mentre la casina andava incontro rapidamente alla rovina. Il 12 maggio 1989 una bimba di 11 anni morì mentre giocava tra le rovine della Serra Moresca, altra struttura Liberty coeva della casina delle Civette all’interno del parco. Due anni più tardi, proprio quando sembrava che i fondi per fare della casina il museo del Liberty fossero sbloccati, la maledizione toccò la residenza di Giovanni Torlonia. Per cause non accertate, il 22 luglio 1991 un incendio, alimentato dalle sterpaglie cresciute per l’incuria, mandò definitivamente in fumo i progetti di restauro.
Ma la civetta seppe trasformarsi in fenice, rinascendo dalle ceneri che l’incendio aveva generato. Dopo 8 miliardi di finanziamenti, sotto la guida della Soprintendenza capitolina per i Beni culturali, iniziò la lunga e complessa opera di restauro, durata dal 1992 al 1997. Per la seconda vita della Casina delle Civette, oggi aperta al pubblico come parte dei Musei di Villa Torlonia.
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Oltre quaranta parlamentari, tra cui i deputati di Forza Italia Paolo Formentini e Antonio Giordano, sostengono l’iniziativa per rafforzare la diplomazia parlamentare sul corridoio India-Middle East-Europe. Trieste indicata come hub europeo, focus su commercio e cooperazione internazionale.
È stato ufficialmente lanciato al Parlamento italiano il gruppo di amicizia dedicato all’India-Middle East-Europe Economic Corridor (IMEC), sotto la guida di Paolo Formentini, vicepresidente della Commissione Affari esteri, e di Antonio Giordano. Oltre quaranta parlamentari hanno già aderito all’iniziativa, volta a rafforzare la diplomazia parlamentare in un progetto considerato strategico per consolidare i rapporti commerciali e politici tra India, Paesi del Golfo ed Europa. L’Italia figura tra i firmatari originari dell’IMEC, presentato ufficialmente al G20 ospitato dall’India nel settembre 2023 sotto la presidenza del Consiglio Giorgia Meloni.
Formentini e Giordano sono sostenitori di lunga data del corridoio IMEC. Sotto la presidenza di Formentini, la Commissione Esteri ha istituito una struttura permanente dedicata all’Indo-Pacifico, che ha prodotto raccomandazioni per l’orientamento della politica italiana nella regione, sottolineando la necessità di legami più stretti con l’India.
«La nascita di questo intergruppo IMEC dimostra l’efficacia della diplomazia parlamentare. È un terreno di incontro e coesione e, con una iniziativa internazionale come IMEC, assume un ruolo di primissimo piano. Da Presidente del gruppo interparlamentare di amicizia Italia-India non posso che confermare l’importanza di rafforzare i rapporti Roma-Nuova Delhi», ha dichiarato il senatore Giulio Terzi di Sant’Agata, presidente della Commissione Politiche dell’Unione europea.
Il senatore ha spiegato che il corridoio parte dall’India e attraversa il Golfo fino a entrare nel Mediterraneo attraverso Israele, potenziando le connessioni tra i Paesi coinvolti e favorendo economia, cooperazione scientifica e tecnologica e scambi culturali. Terzi ha richiamato la visione di Shinzo Abe sulla «confluenza dei due mari», oggi ampliata dalle interconnessioni della Global Gateway europea e dal Piano Mattei.
«Come parlamentari italiani sentiamo la responsabilità di sostenere questo percorso attraverso una diplomazia forte e credibile. L’attività del ministro degli Esteri Antonio Tajani, impegnato a Riad sul dossier IMEC e pronto a guidare una missione in India il 10 e 11 dicembre, conferma l’impegno dell’Italia, che intende accompagnare lo sviluppo del progetto con iniziative concrete, tra cui un grande evento a Trieste previsto per la primavera 2026», ha aggiunto Deborah Bergamini, responsabile relazioni internazionali di Forza Italia.
All’iniziativa hanno partecipato ambasciatori di India, Israele, Egitto e Cipro, insieme ai rappresentanti diplomatici di Germania, Francia, Stati Uniti e Giordania. L’ambasciatore cipriota ha confermato che durante la presidenza semestrale del suo Paese sarà dedicata particolare attenzione all’IMEC, considerato strategico per il rapporto con l’India e il Medio Oriente e fondamentale per l’Unione europea.
La presenza trasversale dei parlamentari testimonia un sostegno bipartisan al rapporto Italia-India. Tra i partecipanti anche la senatrice Tiziana Rojc del Partito democratico e il senatore Marco Dreosto della Lega. Trieste, grazie alla sua rete ferroviaria merci che collega dodici Paesi europei, è indicata come principale hub europeo del corridoio.
Il lancio del gruppo parlamentare segue l’incontro tra il presidente Meloni e il primo ministro Modi al G20 in Sudafrica, che ha consolidato il partenariato strategico, rilanciato gli investimenti bilaterali e discusso la cooperazione per la stabilità in Indo-Pacifico e Africa. A breve è prevista una nuova missione economica guidata dal vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Tajani.
«L’IMEC rappresenta un passaggio strategico per rafforzare il ruolo del Mediterraneo nelle grandi rotte globali, proponendosi come alternativa competitiva alla Belt and Road e alle rotte artiche. Attraverso la rete di connessioni, potrà garantire la centralità economica del nostro mare», hanno dichiarato Formentini e Giordano, auspicando che altri parlamenti possano costituire gruppi analoghi per sostenere il progetto.
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