2018-08-27
«Più gli emigrati dei residenti: il paese sta scomparendo»
Il sindaco di Castelnuovo di Conza: «Gli eredi degli espatriati vogliono la cittadinanza solo per i benefici del passaporto Ue»Erano le 19.34 di domenica 23 novembre 1980. Una scossa di magnitudo 6,9 della scala Richter sconquassò l’Irpinia, mietendo 2.914 vittime. L’epicentro del terremoto era a Castelnuovo di Conza, un paesino a cavallo tra le province di Salerno, Avellino e Potenza. Lì a morire furono in 85 (su 400 abitanti). Eppure, proprio il sisma avrebbe potuto offrire prospettive future di occupazione e sviluppo a un borgo che era stato praticamente svuotato dall’emigrazione della prima metà del XX secolo. Dopo un’ondata di arrivi (o di ritorni) di chi sperava nelle opportunità della ricostruzione, ricominciò tuttavia il declino demografico.Oggi Castelnuovo di Conza conta 600 abitanti, ma oltre 2.700 cittadini iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero. Un record assoluto. Che fa il paio con un’altra statistica poco incoraggiante: circa due nati ogni dieci morti. La Verità ha intervistato Michele Jannuzzelli, 56 anni, che amministra la cittadina dal 2014. E che rifiuta la retorica romantica sugli italiani emigrati. Alcuni dei quali, ci ha assicurato, si sono iscritti all’Aire per interessi che hanno poco a che fare con la nostalgia delle proprie radici.Jannuzzelli, lei è il sindaco di un paese che sta scomparendo?«Se il mio paese sta scomparendo è perché con le loro politiche, i governi che si sono succeduti fin qui non hanno dato alle giovani famiglie un motivo per rimanere».Ci ritroviamo come cent’anni fa, quando ci fu un esodo dal Sud Italia?«Da noi le occasioni di lavoro ci sono. Chi ha trovato una sistemazione rimane a Castelnuovo. I giovani preferirebbero restare in paese. Ma è indubbio che il Sud e le sue zone interne siano in difficoltà».Da esperto di italiani emigrati: i nostri connazionali che nel secolo scorso andavano nel resto d’Europa o in America possono essere paragonati ai migranti che sbarcano sulle nostre coste dall’Africa?«Ci ho riflettuto spesso, ma mi sembra che ci sia una sostanziale differenza».Quale? «Le partenze degli italiani erano regolamentate. Di solito succedeva che una persona emigrata in precedenza richiamasse parenti e amici. L’emigrazione, seppur massiccia, fu regolata. E le leggi che stabilivano le condizioni per l’accesso all’interno degli altri Paesi venivano rispettate». E da noi invece?«Qui da noi il flusso finora è stato totalmente disordinato».Sindaco, fa il leghista meridionale? «Ma no. Consideri che nel nostro Comune ci sono immigrati di prima generazione che vengono dal Nord Africa e si sono perfettamente integrati all’interno della comunità. Anzi, è grazie a loro se la scuola elementare del paese è rimasta aperta: sono loro che fanno figli».Mi vuol far credere che i suoi concittadini sono contenti di avere gli immigrati in paese?«Le ripeto, l’integrazione è stata ottima. Anzi, vorrei aggiungere una cosa». Aggiunga.«Questi nordafricani sono più castelnovesi dei castelnovesi emigrati». Ma mi faccia il piacere…«Mi creda».E allora mi spieghi perché i nordafricani sarebbero più italiani dei discendenti degli emigrati.«Le dico solo questo: la maggior parte degli iscritti all’Aire, di cui il nostro Comune vanta il record in Italia, ha ottenuto la cittadinanza per lo ius sanguinis, ma non ha alcun legame con la nostra terra». E allora perché tanti iscritti all’Aire?«È presto detto: se queste persone hanno voluto il passaporto europeo, è solo per godere dei vantaggi dell’area Schengen».Per farsi le vacanze in Europa?«Non solo. Ad esempio, nel caso degli emigrati che vivono in Sud America, per mandare i figli a studiare in Spagna. Le pare segno di attaccamento alle proprie radici?».Messa così, non proprio.«Ecco, vede? Sono un po’ stufo dei racconti strappalacrime sui figli degli emigrati che riabbracciano la loro terra…».Mi dica di lei allora. Ha qualche parente all’estero?«Mio padre, una vita in giro per il mondo». Me la riassuma, questa vita.«Lui andò prima in Guadalupa, poi in Francia e infine in Svizzera. Tornò a lavorare in paese dopo il terremoto del 1980».Sta dicendo che il terremoto dell’Irpinia creò opportunità di lavoro?«Paradossalmente sì. La devastazione richiamò nei cantieri della ricostruzione una parte dei cittadini di Castelnuovo che erano stati costretti ad andarsene».E lei non ha mai lasciato casa sua?«Appena laureato in ingegneria, in realtà, andai a lavorare a Roma». Non stiamo parlando mica della Guadalupa…«Ma mi sono spostato ancora, addirittura in Arabia Saudita». Ah, però. E poi?«Alla fine ho trovato un posto qui nella mia zona. Oggi faccio l’insegnante vicino a Contursi Terme».E come le è venuto in mente di fare il sindaco di un paese spopolato?«Ho voluto restituire qualcosa alla mia gente. Qui non tutti hanno occasione di studiare fuori. Chi ha avuto questa fortuna deve mettersi al servizio della comunità».Si è mai pentito? Ha molte grane?«Non mi sono pentito, ma ci sono tante cose che mi preoccupano». Quali, ad esempio?«I vincoli di bilancio che ci sono stati imposti dal patto di stabilità. Indipendentemente dalle disponibilità di cassa, ai Comuni viene impedito di spendere». Sa che me lo dicono tutti i sindaci che intervisto?«È un problema enorme».Sì, ma con gli sprechi che si sono visti negli anni forse è stato giusto mettere un freno.«Gli sprechi e le voragini di bilancio le trova nelle grandi città. Tipo Roma, che peraltro continua a spendere e spandere. Gli unici a rimetterci sono i piccoli Comuni»Vede che è leghista? «Roma ladrona!».«Per carità. Ma se continua così, Castelnuovo scompare davvero…».
Jose Mourinho (Getty Images)