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2022-03-14
Più di 600 poltrone da assegnare. Draghi pronto a sfidare i partiti sulle partecipate
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Mario Draghi (Ansa)
Manca poco alla data di convocazione delle assemblee delle società partecipate italiane. Ci sono da approvare i bilanci, ma per ben 107 società del ministero dell’Economia ci sono anche da rinnovare o cambiare i vertici: in totale si parla di quasi 640 incarichi da riassegnare. Come ogni anno a fare la stima di quanti incarichi dovranno essere assegnati ci ha pensato il centro studi Comar. Sarà con tutta probabilità un'annata diversa di nomine. Il governo analizzerà con dovizia ogni dossier. L'obiettivo è segnare il passo rispetto al passato, lontano dalla politica. Non sono escluse sorprese.
Secondo il calcolo si parla di 146 Organi sociali, di cui 91 consigli d’amministrazione e 55 Collegi sindacali, in 107 società del ministero dell'Economia, attualmente composti da 639 persone, di cui 399 Consiglieri e 240 Sindaci. Delle 639 persone totali in scadenza, 72 siedono in 15 Società controllate direttamente dal Mef (22 Consiglieri e 50 Sindaci), mentre 567 sono in 92 controllate indirette (377 Consiglieri e 190 Sindaci), attraverso le sue capogruppo Amco, Banca MPS, Cassa Depositi e Prestiti, Enav, Enel, Eni, Eur, Ferrovie dello Stato, Invitalia, Istituto Poligrafico Zecca dello Stato, Leonardo, Poste Italiane, Rai, Sace, Sport e Salute, Stmicroelectronics.
I riflettori sono puntati soprattutto su Invitalia, dove da più di un decennio resiste Domenico Arcuri, l’ex commissario straordinario per l’emergenza contro la pandemia. Più che mai affermato durante il governo di Giuseppe Conte, Arcuri vive da qualche mese invece in un limbo, senza sapere ancora del suo destino. A palazzo Chigi, pare, vogliano finalmente cambiare, assegnando il posto di amministratore delegato di Invitalia a Bernardo Mattarella (ora in Mediocredito centrale), nipote del presidente della Repubblica. La voce circola da mesi, ma non è detto che nel frattempo sia cambiato qualcosa. In Snam si attende la riconferma di Marco Alverà, mentre c’è attesa anche per i destini di Fincantieri, con l’amministratore delegato Giuseppe Bono in scadenza, dopo vent’anni alla guida della società. A quanto pare per il suo posto la sfida è tra l’attuale direttore generale Fabio Gallia e il direttore della divisione navi militari, Giuseppe Giordo. C’è attesa anche per Sace dopo le dimissioni di Rodolfo Errore. In Sport e Salute è in scadenza Vito Cozzoli, mentre in Simest si attende il cambio di Pasquale Salzano, ex ambasciatore in Qatar. In scadenza anche Italgas e Ansaldo Energia. E’ evidente che il nuovo governo di Mario Draghi, con il ministro dell’Economia Daniele Franco e il numero uno di Cdp Dario Scannapieco, potrebbe dare un impronta di forte cambiamento ai consigli di amministrazione. Con tutta probabilità ci sarà meno politica rispetto all’ultimo governo Conte.
Secondo il centro studi Comar le partecipate dal settore pubblico (ministeri, regioni, province, comuni, ecc.) sono in totale 8.510 (Istat, dicembre 2020) e, di queste, sono 6.085 le imprese partecipate dell’industria e dei servizi; le controllate sono 3.585, con 587.890 dipendenti. E’ il Mef ad esercitare il ruolo di gran lunga prevalente, sotto tutti i parametri economici, finanziari, occupazionali, con le sue 49 Società controllate, direttamente o indirettamente, con la Cassa depositi e prestiti (Comar non ha considerato le 11 Società dove Cassa depositi e prestiti non va oltre un controllo congiunto o un potere d’influenza, pur notevole, come Enciclopedia Treccani, Rocco Forte Hotels, Telecom Italia, Webuild, ecc.).
Considerando le sole 33 società industriali e di servizi del Mef, l’aggregato mostrava i seguenti dati (ultimi bilanci disponibili, al 31 dicembre 2020): fatturato di 193,5 miliardi di euro (in calo del 19,8% sui 241,4 miliardi del 2019); perdite per 4,2 miliardi di euro (mentre nel 2019 si erano avuti utili per 7,1 miliardi); 461.394 dipendenti (in diminuzione del 2,3% sui 472.344 del 2019); debiti finanziari per 165,1 miliardi (in aumento del 5,1% sui 157 miliardi del 2019); ormai superiori all’85,3% del fatturato (nel 2019 il rapporto era del 65%). Di queste 33 Società industriali e di servizi, 12 sono quotate in Borsa (Enav, Enel, Eni, Fincantieri, Leonardo, Italgas, Poste Italiane, Rai Way, Saipem, Snam, Stmicroelectronics, Terna), per una capitalizzazione che a fine dicembre 2021 era di 178 miliardi di euro, il 23,16% del valore complessivo; di quasi 10 miliardi superiore sui 168,4 miliardi a fine dicembre 2020. A queste 12, si aggiungono 2 Società che hanno strumenti finanziari quotati (Ferrovie dello Stato e Rai).
Come settori di intervento, la presenza dello Stato si esprime soprattutto nell’energia, che assorbe oltre il 72% del fatturato, seguito dalla meccanica (14,3%) e dai trasporti e tlc (10,2%), con quote marginali nell’ict, in editoria-spettacolo-sport, in servizi alla P.A., in ambiente-territorio. La necessità di sopperire a diffuse situazioni di difficoltà economiche o a dissesti non più rimediabili ha determinato, negli ultimi due anni, una rinnovata espansione dello “Stato-imprenditore”. A titolo di esempio, sono nate nuove docietà, come Ita-Italia Trasporto Aereo o Holding Reti Autostradali o Itsart o Dri d’Italia (in Invitalia, per la filiera siderurgica e il risanamento ex Ilva) o, connesse alla transizione ecologica, Green.It (Cdp e Eni) o Renovit (Cdp e Snam); mentre Infrastrutture Milano Cortina 2020-2026 è funzionale ai Giochi Olimpici invernali; e, sempre a proposito di “grandi eventi”, la legge di Bilancio 2022 ha previsto la costituzione di una nuova Società, denominata “Giubileo 2025”, in capo al Mef, aperta alla partecipazione di altre Società dello stesso dicastero. Altre sono state trasferite al Mef a seguito di commissariamenti della Controllante, come accaduto per Anpal Servizi. A fronte, Expo 2015 ha cessato l’attività ed è in liquidazione, mentre Italia Infrastrutture, introdotta con la Legge di Bilancio 2020, finalizzata alla celere cantierizzazione delle opere pubbliche, non è ancora stata costituita.
La necessità di implementare il Pnrr ha, poi, determinato la necessità di affidare o sviluppare un ruolo consulenziale ad alcune società del Mef, perché assistano le amministrazioni centrali nella redazione dei bandi o i soggetti attuatori (Regioni, Comuni e altri Enti locali) nella presentazione dei progetti; un compito che vede Cdp, al di là del suo riconosciuto ruolo storico, in prima fila; cui, più recentemente, si sono aggiunte Invitalia, Sogei e Studiare Sviluppo.
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Riduci
146 organi sociali, di cui 91 consigli di amministrazione e 55 collegi sindacali, in 107 società del Mef, sono scaduti e andranno al rinnovo con le assemblee nei prossimi mesi: sono composti da 639 persone, di cui 399 Consiglieri e 240 Sindaci. E’ l'analisi del centro studi Comar per quella che rappresenta la prossima tornata di nomine del governo. Manca poco alla data di convocazione delle assemblee delle società partecipate italiane. Ci sono da approvare i bilanci, ma per ben 107 società del ministero dell’Economia ci sono anche da rinnovare o cambiare i vertici: in totale si parla di quasi 640 incarichi da riassegnare. Come ogni anno a fare la stima di quanti incarichi dovranno essere assegnati ci ha pensato il centro studi Comar. Sarà con tutta probabilità un'annata diversa di nomine. Il governo analizzerà con dovizia ogni dossier. L'obiettivo è segnare il passo rispetto al passato, lontano dalla politica. Non sono escluse sorprese.Secondo il calcolo si parla di 146 Organi sociali, di cui 91 consigli d’amministrazione e 55 Collegi sindacali, in 107 società del ministero dell'Economia, attualmente composti da 639 persone, di cui 399 Consiglieri e 240 Sindaci. Delle 639 persone totali in scadenza, 72 siedono in 15 Società controllate direttamente dal Mef (22 Consiglieri e 50 Sindaci), mentre 567 sono in 92 controllate indirette (377 Consiglieri e 190 Sindaci), attraverso le sue capogruppo Amco, Banca MPS, Cassa Depositi e Prestiti, Enav, Enel, Eni, Eur, Ferrovie dello Stato, Invitalia, Istituto Poligrafico Zecca dello Stato, Leonardo, Poste Italiane, Rai, Sace, Sport e Salute, Stmicroelectronics. I riflettori sono puntati soprattutto su Invitalia, dove da più di un decennio resiste Domenico Arcuri, l’ex commissario straordinario per l’emergenza contro la pandemia. Più che mai affermato durante il governo di Giuseppe Conte, Arcuri vive da qualche mese invece in un limbo, senza sapere ancora del suo destino. A palazzo Chigi, pare, vogliano finalmente cambiare, assegnando il posto di amministratore delegato di Invitalia a Bernardo Mattarella (ora in Mediocredito centrale), nipote del presidente della Repubblica. La voce circola da mesi, ma non è detto che nel frattempo sia cambiato qualcosa. In Snam si attende la riconferma di Marco Alverà, mentre c’è attesa anche per i destini di Fincantieri, con l’amministratore delegato Giuseppe Bono in scadenza, dopo vent’anni alla guida della società. A quanto pare per il suo posto la sfida è tra l’attuale direttore generale Fabio Gallia e il direttore della divisione navi militari, Giuseppe Giordo. C’è attesa anche per Sace dopo le dimissioni di Rodolfo Errore. In Sport e Salute è in scadenza Vito Cozzoli, mentre in Simest si attende il cambio di Pasquale Salzano, ex ambasciatore in Qatar. In scadenza anche Italgas e Ansaldo Energia. E’ evidente che il nuovo governo di Mario Draghi, con il ministro dell’Economia Daniele Franco e il numero uno di Cdp Dario Scannapieco, potrebbe dare un impronta di forte cambiamento ai consigli di amministrazione. Con tutta probabilità ci sarà meno politica rispetto all’ultimo governo Conte. Secondo il centro studi Comar le partecipate dal settore pubblico (ministeri, regioni, province, comuni, ecc.) sono in totale 8.510 (Istat, dicembre 2020) e, di queste, sono 6.085 le imprese partecipate dell’industria e dei servizi; le controllate sono 3.585, con 587.890 dipendenti. E’ il Mef ad esercitare il ruolo di gran lunga prevalente, sotto tutti i parametri economici, finanziari, occupazionali, con le sue 49 Società controllate, direttamente o indirettamente, con la Cassa depositi e prestiti (Comar non ha considerato le 11 Società dove Cassa depositi e prestiti non va oltre un controllo congiunto o un potere d’influenza, pur notevole, come Enciclopedia Treccani, Rocco Forte Hotels, Telecom Italia, Webuild, ecc.).Considerando le sole 33 società industriali e di servizi del Mef, l’aggregato mostrava i seguenti dati (ultimi bilanci disponibili, al 31 dicembre 2020): fatturato di 193,5 miliardi di euro (in calo del 19,8% sui 241,4 miliardi del 2019); perdite per 4,2 miliardi di euro (mentre nel 2019 si erano avuti utili per 7,1 miliardi); 461.394 dipendenti (in diminuzione del 2,3% sui 472.344 del 2019); debiti finanziari per 165,1 miliardi (in aumento del 5,1% sui 157 miliardi del 2019); ormai superiori all’85,3% del fatturato (nel 2019 il rapporto era del 65%). Di queste 33 Società industriali e di servizi, 12 sono quotate in Borsa (Enav, Enel, Eni, Fincantieri, Leonardo, Italgas, Poste Italiane, Rai Way, Saipem, Snam, Stmicroelectronics, Terna), per una capitalizzazione che a fine dicembre 2021 era di 178 miliardi di euro, il 23,16% del valore complessivo; di quasi 10 miliardi superiore sui 168,4 miliardi a fine dicembre 2020. A queste 12, si aggiungono 2 Società che hanno strumenti finanziari quotati (Ferrovie dello Stato e Rai). Come settori di intervento, la presenza dello Stato si esprime soprattutto nell’energia, che assorbe oltre il 72% del fatturato, seguito dalla meccanica (14,3%) e dai trasporti e tlc (10,2%), con quote marginali nell’ict, in editoria-spettacolo-sport, in servizi alla P.A., in ambiente-territorio. La necessità di sopperire a diffuse situazioni di difficoltà economiche o a dissesti non più rimediabili ha determinato, negli ultimi due anni, una rinnovata espansione dello “Stato-imprenditore”. A titolo di esempio, sono nate nuove docietà, come Ita-Italia Trasporto Aereo o Holding Reti Autostradali o Itsart o Dri d’Italia (in Invitalia, per la filiera siderurgica e il risanamento ex Ilva) o, connesse alla transizione ecologica, Green.It (Cdp e Eni) o Renovit (Cdp e Snam); mentre Infrastrutture Milano Cortina 2020-2026 è funzionale ai Giochi Olimpici invernali; e, sempre a proposito di “grandi eventi”, la legge di Bilancio 2022 ha previsto la costituzione di una nuova Società, denominata “Giubileo 2025”, in capo al Mef, aperta alla partecipazione di altre Società dello stesso dicastero. Altre sono state trasferite al Mef a seguito di commissariamenti della Controllante, come accaduto per Anpal Servizi. A fronte, Expo 2015 ha cessato l’attività ed è in liquidazione, mentre Italia Infrastrutture, introdotta con la Legge di Bilancio 2020, finalizzata alla celere cantierizzazione delle opere pubbliche, non è ancora stata costituita.La necessità di implementare il Pnrr ha, poi, determinato la necessità di affidare o sviluppare un ruolo consulenziale ad alcune società del Mef, perché assistano le amministrazioni centrali nella redazione dei bandi o i soggetti attuatori (Regioni, Comuni e altri Enti locali) nella presentazione dei progetti; un compito che vede Cdp, al di là del suo riconosciuto ruolo storico, in prima fila; cui, più recentemente, si sono aggiunte Invitalia, Sogei e Studiare Sviluppo.
Ppalazzo Berlaymont (Getty Images)
In base allo schema ipotizzato, per quanto se ne può sapere, Bruxelles convoglierebbe le attività immobilizzate della Banca centrale russa in una linea di credito a tasso zero per l’Ucraina. L’Ue intenderebbe coprire 90 miliardi di euro del deficit di finanziamento dell’Ucraina, che è di 135 miliardi di euro, per i prossimi due anni attingendo a queste attività. A Kiev verrebbe chiesto di rimborsare il prestito solo dopo che Mosca avrà accettato di risarcire i danni causati dalla sua aggressione. Cosa che non avverrà mai. La proposta non ha precedenti nella storia moderna e solleva enormi dubbi e alcune contrarietà su aspetti di grande rilevanza.
Innanzitutto, sul tema delicato della compensazione monetaria destinata a coprire i danni o le perdite subite durante una guerra. Da che mondo è mondo, dalle imposizioni di Roma verso Cartagine dopo la prima e seconda guerra punica, alla guerra franco- prussiana fino a giungere alla Prima e Seconda guerra mondiale, sono sempre stati coloro che hanno perso le guerre che hanno dovuto pagare i debiti, e non il contrario. L’Ue su questa materia capovolge la storia.
In secondo luogo ci sono potenziali implicazioni economiche e strategiche: l’utilizzo degli asset sovrani russi per emettere il prestito di riparazione potrebbe avere effetti «a catena» in tutta l’Eurozona e provocare un esodo di investitori preoccupati da decisioni unilaterali delle autorità in futuro. Ma il punto dirimente e controverso in questo dibattito riguarda non tanto la già avvenuta immobilizzazione degli stessi, bensì l’effettiva possibilità di una confisca permanente. Nel caso degli asset di soggetti «riconducibili» al Cremlino (si pensi ad esempio agli oligarchi) inoltre, le confische rischierebbero di collidere col rispetto dei diritti di godimento di proprietà facenti parte della cornice dei diritti umani. Ancor più complicata è la confisca permanente di asset di diretta proprietà di uno Stato estero, che sono protetti dall’immunità e dal diritto internazionale. Inoltre, una delle più intuitive conseguenze di una confisca da parte dei Paesi europei sarebbe la sicura ritorsione russa. Il Cremlino ha infatti fatto sapere di avere pronta una lista di asset occidentali da aggredire a tal fine. A ogni modo, gli investimenti in Russia e riserve in rublo differiscono significativamente da Paese a Paese, e a essere particolarmente esposti sono proprio i paesi dell’Unione europea. Più che a livello di riserve delle varie banche centrali dei singoli Stati o della stessa Bce, una forte vulnerabilità risiede negli investimenti europei su suolo russo. Stando a fonti russe, su 288 miliardi di dollari la quota di asset degli Stati europei vale oltre 220 miliardi, ossia più del 75%.
Bisogna aggiungere anche che a preoccupare molti Paesi sarebbero anche le possibili conseguenze che una confisca così audace economicamente e «legalmente» avrebbe sulla stabilità dell’euro. Dando vita ad un importante precedente reputazionale, l’esproprio degli asset russi rischierebbe infatti di spingere molte banche centrali di vari Paesi stranieri a ridurre le loro riserve in euro come misura cautelare, indebolendo così la valuta dell’eurozona. È in parte un meccanismo già avviato non solo dalla Russia stessa, ma anche da paesi come Turchia o Cina, che da qualche anno stanno via via sganciandosi da valute come il dollaro e l’euro. Del resto chi si fiderebbe più dell’Europa se basta una decisione politica per sottrarre risorse finanziarie di proprietà di soggetti economici e di Stati esteri che hanno investito nel Vecchio continente? Deve averlo compreso bene la stessa Bce, condividendo le preoccupazioni emerse da più parti se ha deciso di rifiutare di fornire garanzie per il prestito di circa 140 miliardi di euro all’Ucraina, non solo perché la proposta della Commissione europea viola il suo mandato, ma si presume anche per le debolezze politiche e legali di una simile iniziativa.
Infine, una annotazione generale. Questa idea della Commissione europea fa, per così dire, uno scempio del concetto di libero mercato, introducendo una idea di capitalismo politico che si avvicina molto al cosiddetto capitalismo di Stato. Un capitalismo che si addice molto alle autocrazie che Bruxelles vorrebbe combattere. Davvero una gran bella pensata. Se invece di rischiare di pagare conseguenze che ricadrebbero sui cittadini europei, utilizzassero quel poco di sale in zucca rimasto per favorire un negoziato di pace ricostruirebbero un po’ di quella credibilità che allo stato attuale sembra decisamente smarrita.
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Riduci
Ursula von der Leyen (Ansa)
Nella visione del segretario generale della Nato, gli europei saranno «il prossimo obiettivo di Mosca» entro cinque anni. Ma non solo, il conflitto potrebbe addirittura essere «della stessa portata della guerra che hanno dovuto sopportare i nostri nonni e bisnonni». E su queste basi vaghe ha quindi esortato gli alleati ad aumentare gli sforzi di Difesa per scongiurare il temuto conflitto. Poco importa quindi a Rutte se Mosca ha confermato pure ieri che non nutre «alcun piano aggressivo nei confronti dei membri della Nato o dell’Ue». Nella conferenza stampa, a fianco del cancelliere tedesco, Friedrich Merz, il segretario generale della Nato ha poi tirato le orecchie ai Paesi della Nato, colpevoli di non prendere sul serio «la minaccia russa» e di essere «silenziosamente compiacenti».
Ma chi non prende sul serio gli avvertimenti è Bruxelles in merito agli asset russi: il Comitato dei rappresentanti permanenti presso l’Ue (Coreper) ha raggiunto un accordo sulla visione rivista della proposta inerente all’articolo 122 del Trattato Ue. E ha dato il via libera alla procedura scritta che si concluderà entro le 17 di oggi. Qualora arrivasse il voto favorevole, il blocco degli asset russi sarà quindi a tempo indeterminato. Si completa così il primo step per far sì che siano utilizzati i beni russi congelati a sostegno Kiev, in vista del Consiglio Ue della prossima settimana. A commentare il risultato è stato il commissario europeo all’Economia, Valdis Dombrovskis: «È stato approvato in linea di principio un regolamento che proibisce il trasferimento» degli asset russi congelati. E ha quindi spiegato che il regolamento «dovrebbe aiutare con il prestito basato sugli asset russi» visto che «assicura che restino congelati», senza il bisogno di rinnovare il blocco all’unanimità ogni sei mesi. Anche il presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, è intervenuta in merito dicendo: «Domani (oggi, ndr) spero che sia compiuto il prima passo per l’uso degli asset russi, metterli al sicuro, poi la decisione su come usarli sarà presa al Consiglio Europeo la prossima settimana, in un voto a maggioranza qualificata». A non condividere la linea di Bruxelles sono sicuramente la Slovacchia e l’Ungheria. Il premier slovacco, Robert Fico, ha già scritto al presidente del Consiglio europeo, António Costa: «Vorrei affermare che, in occasione del prossimo Consiglio europeo, non sono in grado di sostenere alcuna soluzione alle esigenze finanziarie dell’Ucraina che preveda la copertura delle spese militari dell’Ucraina per i prossimi anni». Continuando a mettere i puntini sulle i, ha sottolineato: «La politica di pace che sostengo con coerenza mi impedisce di votare a favore del prolungamento del conflitto militare: fornire decine di miliardi di euro per le spese militari significa prolungare la guerra». «Profonda preoccupazione» è stata espressa da Budapest per «la recente tendenza» ad «aggirare le procedure di decisione all’unanimità». Anche perché l’articolo 122 non è «la base giuridica corretta» per bloccare senza scadenza gli asset russi.
Sul fronte delle trattative di pace il tempo stringe. E dopo che Kiev ha inviato la sua versione del piano a Washington, ieri pomeriggio la Coalizione dei volenterosi si è riunita virtualmente. Tra i leader che hanno preso parte, il presidente ucraino, Volodymyr Zelenskyy, il premier britannico, Keir Starmer, il presidente francese, Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco, Friedrich Merz. Al termine del meeting, il leader di Kiev ha dichiarato: «Stiamo lavorando per assicurare che le garanzie di sicurezza includano componenti serie di deterrenza europea e siano affidabili». E ha avvisato pure Washington: «È importante che gli Stati Uniti siano con noi e sostengano questi sforzi. Nessuno è interessato a una terza invasione russa». Von der Leyen ha ripetuto che «l’obiettivo è raggiungere una pace giusta e sostenibile per l’Ucraina». Le iniziative europee, in ogni caso, per Mosca non sono efficaci. Il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, ha infatti commentato: «L’Europa sta cercando in tutti i modi di sedersi al tavolo delle trattative, ma le idee che coltiva non saranno utili ai negoziati». E ha lanciato un avvertimento già noto ai leader europei: qualora venissero schierate le forze di peacekeeping in Ucraina saranno considerate «immediatamente» gli «obiettivi legittimi» di Mosca.
L’agenda dei negoziati intanto prosegue: domani è previsto un incontro a Parigi tra i funzionari ucraini, americani, francesi, tedeschi e britannici per tentare di raggiungere un consenso sul piano di pace. Secondo quanto riferito da Axios, a rappresentare i leader europei e l’Ucraina saranno i rispettivi consiglieri per la sicurezza nazionale, ma non è ancora chiaro se per gli Stati Uniti parteciperà il segretario di Stato americano, Marco Rubio.
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Riduci
Volodymyr Zelensky (Ansa)
«Al momento, ci sono tre documenti: i 20 punti fondamentali, le garanzie di sicurezza e il documento sull’economia e la ricostruzione», ha proseguito il funzionario. Sempre ieri, Volodymyr Zelensky ha avuto un colloquio, da lui stesso definito «costruttivo e approfondito», sulle garanzie di sicurezza con alcuni alti funzionari americani: il segretario di Stato, Marco Rubio, il capo del Pentagono, Pete Hegseth, e l’inviato per il Medio Oriente, Steve Witkoff.
Nel frattempo, le relazioni transatlantiche si stanno facendo sempre più tese. Mercoledì sera, Donald Trump ha commentato aspramente la telefonata che, alcune ore prima, aveva avuto con Keir Starmer, Friedrich Merz ed Emmanuel Macron.
«Abbiamo parlato con i leader di Francia, Germania e Regno Unito, tutti ottimi leader, miei cari amici. E abbiamo discusso dell’Ucraina con parole piuttosto forti. E vedremo cosa succede. Voglio dire, stiamo aspettando di sentire le risposte», ha dichiarato il presidente americano, che ha anche rivelato di essere stato invitato a un incontro in Europa, dedicato alla questione delle garanzie di sicurezza. «Prima di andare a un incontro, vogliamo sapere alcune cose», ha affermato, per poi aggiungere: «Vorrebbero che andassimo a un incontro nel fine settimana in Europa, e prenderemo una decisione, a seconda di cosa ci diranno. Non vogliamo perdere tempo». In tal senso, la Casa Bianca ha fatto sapere che Trump non ha ancora deciso se mandare o meno un rappresentante al vertice di Parigi in programma sabato.
È in questo quadro che, ieri, Merz ha chiesto agli Stati Uniti di partecipare a un meeting che dovrebbe tenersi all’inizio della prossima settimana a Berlino. Il cancelliere tedesco ha inoltre sottolineato che il principale nodo sul tavolo risiede in «quali concessioni territoriali l’Ucraina è disposta a fare». Lunedì scorso, Zelensky aveva escluso delle cessioni di territorio, ribadendo una linea in netto contrasto con quella della Casa Bianca che, ormai da tempo, sta cercando di convincere il presidente ucraino a rinunciare al Donbass. A tal proposito, ieri Zelensky ha confermato che le questioni territoriali (soprattutto quelle del Donetsk e di Zaporizhia) sono ancora «in discussione» e che, secondo lui, dovrebbero essere decise tramite «elezioni o referendum. Deve esserci una posizione del popolo ucraino». Ha inoltre aggiunto che gli Usa vorrebbero creare una «zona economica libera» nell’area di Donbass che Kiev, stando ai desiderata della Casa Bianca, dovrebbe eventualmente abbandonare. Infine, secondo il leader ucraino, Washington ritiene che un cessate il fuoco totale sia possibile solo a seguito della firma di un accordo quadro. Ricordiamo che, negli scorsi giorni, Trump si era detto «deluso» da Zelensky, accusando inoltre i leader europei di debolezza. A complicare ulteriormente le relazioni transatlantiche ci si è poi messo Macron che, la scorsa settimana, si è recato in Cina, tentando maldestramente di avviare un processo di pace alternativo a quello condotto da Washington.
Mosca, dal canto suo, ha invece espresso sintonia con la Casa Bianca. «Di recente, quando il rappresentante speciale del presidente Trump, Stephen Witkoff, è stato qui, dopo il suo incontro con Vladimir Putin, entrambe le parti, russa e americana, hanno confermato le intese reciproche raggiunte in Alaska», ha dichiarato ieri il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov. «L’essenza di queste intese è che l’Ucraina deve tornare ai fondamenti non allineati, neutrali e non nucleari del suo Stato», ha aggiunto. «Dobbiamo dare il giusto riconoscimento al leader americano: dopo il suo ritorno alla Casa Bianca, ha affrontato seriamente la questione. A nostro avviso, si sta impegnando sinceramente per contribuire a risolvere il conflitto attraverso mezzi politici e diplomatici», ha proseguito. Non solo. Sempre ieri, Mosca ha mostrato apprezzamento verso l’eventualità, rivelata dal Wall Street Journal, che, nel quadro di un potenziale accordo di pace, Washington possa effettuare investimenti in energia russa. «Siamo interessati a un afflusso di investimenti esteri», ha dichiarato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. Ciò detto, ieri la Casa Bianca ha detto che il presidente americano è «estremamente frustrato» tanto da Kiev quanto da Mosca.
Trump punta a chiudere la crisi ucraina per sganciare Mosca da Pechino, facendo leva su economia e commercio. Vladimir Putin, dal canto suo, ha bisogno della Casa Bianca per cercare di riacquisire influenza in Medio Oriente: lo zar vuole infatti recuperare terreno in Siria e ritagliarsi il ruolo di mediatore tra Washington e Teheran sul nucleare. Ebbene, davanti ai significativi interessi che stanno alla base del riavvicinamento tra Usa e Russia, gli europei fanno fatica a ritagliarsi un ruolo diplomatico, oltreché geopolitico, di peso.
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