
Il vicepremier Matteo Salvini presenterà il «pacchetto sicurezza» nel prossimo Consiglio dei ministri.Contro i profughi che delinquono è quasi pronto il «Pacchetto sicurezza»: Matteo Salvini, vicepremier e ministro dell'Interno, intende portarlo in un prossimo consiglio dei ministri, forse già nella prima metà di settembre, per poi affidarlo alla discussione parlamentare. I tecnici del Viminale stanno dando gli ultimi ritocchi al Pacchetto, che sarà affiancato da altri due provvedimenti, ancora in fase di elaborazione: la Verità può anticipare che il primo semplificherà le procedure per gli sgomberi di immobili e alloggi occupati abusivamente; l'altro servirà a contrastare lo spaccio di droga.Un provvedimento per negare lo status di rifugiato a chi delinque è stato più volte annunciato da Salvini: l'ultima lo scorso Ferragosto, durante la sua visita a San Luca di Calabria, in terra di 'ndrangheta. La norma è però difficile da realizzare. Perché, per configurare la colpevolezza del richiedente asilo, e per poterlo allontanare legalmente dall'Italia, serve una sentenza di condanna. Il problema che gli uffici del ministero stanno cercando di risolvere è proprio questo. La soluzione individuata è quella di accelerare al massimo le procedure per la valutazione delle domande d'asilo, e insieme renderle più severe. In una circolare dello scorso luglio, del resto, Salvini segnalava che «attualmente sono in trattazione circa 136.000 richieste di protezione internazionale» (erano state 130.000 in tutto il 2017), e confermava l'indicazione di una stretta soprattutto sui «permessi di carattere umanitario»: quelli concessi insomma a chi non fugge proprio da guerre, dittature o situazioni. Due mesi fa, il ministro dell'Interno contestava proprio l'eccessiva facilità dell'accesso dei migranti irregolari alle forme della tutela sussidiaria per motivi umanitari che, scriveva Salvini, «viene concessa in una varia gamma di situazioni, collegate per esempio allo stato di salute, alla maternità, alla minore età, al tragico vissuto personale, alle traversìe affrontate nel viaggio verso l'Italia, alla permanenza prolungata in Libia, per arrivare anche a essere uno strumento premiale dell'integrazione». Questo tipo di permessi «secondari» di soggiorno, lo scorso luglio, era arrivato a rappresentare il 28% delle decisioni assunte da parte delle 50 Commissioni territoriali prefettizie, le strutture cui è affidato il delicatissimo compito di valutare lo status dei richiedenti asilo. Al contrario, aggiungeva il ministro, i «rifugiati» veri e propri, cioè i profughi di prima istanza, erano il 7%. I dinieghi erano il 67%.È proprio questa situazione anomala (ed esclusivamente italiana) che, da anni, legittima la presenza nel nostro Paese di un numero crescente di richiedenti asilo che in realtà non avrebbero alcun presupposto per il riconoscimento della protezione internazionale. Molti di loro, purtroppo, delinquono. Nella circolare, Salvini sollecitava pertanto le 50 Commissioni territoriali a una maggiore severità, e per accelerarne il lavoro annunciava l'ingresso in organico di 250 nuovi funzionari, formati espressamente per quel compito. La misura, nelle intenzioni del Viminale, dovrebbe ottenere un importante «effetto deterrenza» sui flussi migratori dall'Africa. Per rafforzare quei controlli, il Pacchetto sicurezza vuole anche allungare i tempi di trattenimento degli immigrati nei Centri di permanenza e rimpatrio, i Cpr istituiti nel 2017 dall'ex ministro Marco Minniti proprio per svolgere le procedure d'identificazione dei profughi veri e per rimpatriare gli altri. Il Pacchetto prevede a questo scopo il raddoppio secco dei termini: dagli attuali 90 giorni fino a 180. Si torna quindi al periodo di detenzione dei migranti irregolari previsto quando al Viminale sedeva ancora Roberto Maroni, e quando c'erano i Cie, Centri di identificazione ed espulsione. Per accrescere il volume dei controlli, inoltre, ai sei Cpr oggi in funzione a Roma, Torino, Bari, Brindisi, Potenza e Caltanissetta, per un totale di circa 850-890 posti, dovrebbero aggiungersene altri quattro a Milano, Nuoro (dove si sta lavorando al recupero dell'ex carcere di Macomer), Modena e Gorizia, per circa 400 posti in più. Il ministero dell'Interno sta pensando anche a qualche altra sede, ovviamente da concordare con gli enti locali.
Zohran Mamdani (Ansa)
Nella religione musulmana, la «taqiyya» è una menzogna rivolta agli infedeli per conquistare il potere. Il neosindaco di New York ne ha fatto buon uso, associandosi al mondo Lgbt che, pur incompatibile col suo credo, mina dall’interno la società occidentale.
Le «promesse da marinaio» sono impegni che non vengono mantenuti. Il detto nasce dalle numerose promesse fatte da marinai ad altrettanto numerose donne: «Sì, certo, sei l’unica donna della mia vita; Sì, certo, ti sposo», salvo poi salire su una nave e sparire all’orizzonte. Ma anche promesse di infiniti Rosari, voti di castità, almeno di non bestemmiare, perlomeno non troppo, fatte durante uragani, tempeste e fortunali in cambio della salvezza, per essere subito dimenticate appena il mare si cheta. Anche le promesse elettorali fanno parte di questa categoria, per esempio le promesse con cui si diventa sindaco.
Ecco #DimmiLaVerità del 10 novembre 2025. Il deputato di Sud chiama Nord Francesco Gallo ci parla del progetto del Ponte sullo Stretto e di elezioni regionali.
Donald Trump (Ansa)
La Corte Suprema degli Stati Uniti si appresta a pronunciarsi sulla legittimità di una parte dei dazi, che sono stati imposti da Donald Trump: si tratterà di una decisione dalla portata storica.
Al centro del contenzioso sono finite le tariffe che il presidente americano ha comminato ai sensi dell’International Emergency Economic Powers Act (Ieepa). In tal senso, la questione riguarda i dazi imposti per il traffico di fentanyl e quelli che l’inquilino della Casa Bianca ha battezzato ad aprile come “reciproci”. È infatti contro queste tariffe che hanno fatto ricorso alcune aziende e una dozzina di Stati. E, finora, i tribunali di grado inferiore hanno dato torto alla Casa Bianca. I vari casi sono quindi stati accorpati dalla Corte Suprema che, a settembre, ha deciso di valutarli. E così, mercoledì scorso, i togati hanno ospitato il dibattimento sulla questione tra gli avvocati delle parti. Adesso, si attende la decisione finale, che non è tuttavia chiaro quando sarà emessa: solitamente, la Corte Suprema impiega dai tre ai sei mesi dal dibattimento per pronunciarsi. Non è tuttavia escluso che, vista la delicatezza e l’urgenza del dossier in esame, possa stavolta accelerare i tempi.






