2023-04-04
Dopo la tregua portata dalla neve piovono missili sui palazzi civili
Nel Donbass il tempo cambia e ferma l’artiglieria solo qualche ora. I soldati e i volontari ucraini sono esausti. Uno di loro esce illeso da una vettura deformata. Mentre la gente rientra negli edifici colpiti e si mette a pulire.da Kostjantynivka La bufera di neve, che due giorni fa ha colpito in pieno il fronte del Donbass, ha dato una tregua di qualche ora ai bombardamenti di artiglieria, che da giorni erano incessanti. In poche ore si sono riversati sul terreno circa 20 centimetri di neve e il panorama è cambiato radicalmente. È stata una sorpresa anche per chi vive qui, che ormai sperava in una primavera avanzata. Invece è venuto il momento per tutti - anche per noi - di cambiare i kit e di tirare fuori di nuovo i vestiti invernali. La neve ha portato acqua su un terreno che ormai era asciutto da tempo e che fino a ora era ben praticabile. Dunque, oltre ai vestiti, occorre cambiare velocemente le strategie di combattimento e l’organizzazione delle linee di rifornimento.Il giorno dopo la grande nevicata raggiungiamo comunque Chasiv Jar, mettendoci il doppio del tempo, ma la nostra macchina regge bene il viaggio. Ci sono momenti, anche durante una guerra, in cui si riesce a godere del paesaggio. La neve non perde il suo fascino e nei momenti di calma, tra un colpo e l’altro, le campagne imbiancate, che nascondono i segni della guerra, sono uno spettacolo da attraversare.Questa sensazione di pace però dura poco. Dopo qualche minuto di silenzio, in cui si sentono gli uccellini cinguettare, l’artiglieria infatti ricomincia a lavorare, approfittando del cielo limpido, che permette all’intelligence di puntare il nemico. Sentiamo colpi in entrata e in uscita, come sempre. A Chasiv Jar parcheggiamo la macchina al riparo, vicino a dei palazzi, sul lato opposto al fronte da dove arrivano i colpi dell’artiglieria russa. Sfidiamo la neve per seguire le operazioni di un gruppo di volontari polacchi, che cerca di convincere le persone a evacuare dalla cittadina, a cui la linea del fronte si avvicina ogni giorno di più. In questi luoghi ci si sente proprio fuori dal mondo, soprattutto per la mancanza di segnale per il cellulare, che qui è assicurato solo dai collegamenti di Starlink (il metodo di connessione satellitare che l’imprenditore Elon Musk ha messo a disposizione dell’esercito ucraino). L’unico luogo in cui ci è consentito l’accesso è il cosiddetto punto di stabilizzazione. Si tratta di una tappa fissa per noi e per molti soldati che passano di qui per riuscire ad avere un po’ di connessione e per mandare almeno un messaggio alle famiglie. la processione dei feritiC’è un corridoio che congiunge l’entrata, da dove arrivano i mezzi blindati con i feriti, alla sala di stabilizzazione e alle altre sale utilizzate dagli infermieri. Ai lati lungo il muro sono disposte le sedie dove siedono i militari, intenti a mandare messaggi al cellulare. Nel mezzo passano le barelle con i feriti. Dentro si sta giusto il tempo di effettuare le necessarie comunicazioni e poi si deve uscire, per lasciare quanto più spazio possibile ai medici e agli infermieri.Il dottore qui è sempre lo stesso. Da mesi svolge il suo lavoro con turni impossibili: riposa e mangia quando non arrivano feriti, si dà il cambio con un altro collega, quando c’è. E poi ci sono gli infermieri, i medici del battaglione ospedalieri, tutti volontari che fanno servizio qui per un paio di settimane. Chi può permetterselo anche di più, poi torna a casa a lavorare (ovviamente chi un lavoro ce l’ha ancora). Vediamo anche un volontario che lavora in remoto per una banca europea: nei turni di riposo svolge i suoi compiti online, per il resto offre il suo volontariato qui al fronte, sotto un bombardamento costante. Questo posto è stato colpito al tetto qualche giorno fa, ma qui nessuno ha intenzione di andarsene.Quando, dopo vari tentativi, capiamo che non riusciremo a metterci in contatto con i volontari, decidiamo di tornare verso la macchina e di dirigerci verso posti più sicuri. Anche perché i bombardamenti riprendono ora che il cielo è limpido e il sole inizia a sciogliere lentamente la neve. A piedi dobbiamo percorrere circa un chilometro tra le strade della cittadina. I carri armati si muovono tra i palazzi per riposizionarsi tra un fronte e l’altro. volti conosciutiCi troviamo vicino al monumento ai caduti, che onora i soldati ucraini morti nella guerra dell’ex Unione sovietica contro l’Afghanistan degli anni Ottanta. C’è un mezzo di trasporto delle truppe: un blindato inglese a un angolo della piazza è fermo e fa fumo dal motore. Ci avviciniamo e scorgiamo, girando intorno alla carena, due soldati distrutti, sporchi e appoggiati al mezzo. D’istinto tiriamo su la macchina fotografica, ma loro portano le mani davanti al viso e urlano un netto «Niet!». Avvicinandoci gli porgiamo la mano per scusarci, ma non facciamo in tempo ad avvicinarci che ci riconoscono. Si ricordano di noi a Irpin, più di un anno fa. L’emozione è grande, cerchiamo di comunicare e di dare un po’ di calore a questi uomini, che quando parlano fanno fumo dalla bocca a causa del freddo. Stanno aspettando che l’olio del motore si raffreddi, prima di ripartire. Sono preoccupati di essere allo scoperto e che i compagni che devono recuperare dovranno aspettare troppo. Dopo i saluti e gli abbracci scattiamo una delle foto più significative degli ultimi tempi: un viso che raccoglie molto di questa guerra. Gli occhi blu, tipici degli uomini e delle donne ucraine. Lo sporco sul volto causato dai fumi e dagli schizzi che il mezzo che il soldato comanda gli sputa su tutto il corpo. La stanchezza che si vede nei muscoli tesi e un sorriso che non viene fuori completamente, a testimoniare il senso di sgomento che vivono questi soldati sul fronte più difficile della guerra. Andiamo via sotto il costante fuoco dell’artiglieria, nella speranza di non ricevere colpi sul nostro passaggio. Tra i palazzi intanto ci sono ancora dei civili. Sono anziani che sembrano incuranti di ciò che gli succede intorno e che pensano a spalare la neve, come in un normale giornata d’inverno.Da qui si esce sempre a grande velocità e così, in pochissimi minuti, ci ritroviamo nelle campagne verso le aree più sicure. Verso Kostjantynivka, la prossima cittadina a essere presa di mira se cadrà Bakhmut. Ancora più in là, sulla strada per Kramatorsk, c’è l’Hotel Mha. Avevamo alloggiato qui qualche settimana fa, per cui decidiamo di andarci a mangiare qualcosa, approfittando della linea Internet per inviare le fotografie della giornata, pensando che sia finita.vivo per miracoloSolo mezz’ora dopo, uscendo verso il parcheggio verso le cinque del pomeriggio, sentiamo un forte boato. E poi un altro ancora più forte che sposta l’aria. A poche centinaia di metri al di là della ferrovia c’è un paesino e vediamo una colonna di fumo che si alza per poi dissolversi velocemente. Indossiamo di nuovo i caschi e i giubbotti antiproiettile, per avvicinarci, mappa alla mano, al centro di Druzkivka. Nel frattempo piovono molti colpi, multipli, pensiamo a bombe a grappolo, e ci dirigiamo verso il luogo dal quale abbiamo sentito provenire il rumore. A un incrocio vediamo un militare fuori dalla macchina. È in piedi, al telefono, ma, guardando meglio, ha una mano insanguinata e il fuoristrada sul quale viaggiava è completante distrutto: i vetri, il tettuccio, le gomme... la jeep sembra implosa per lo spostamento dell’aria che l’ha deformata. Scendiamo e capiamo che questo soldato è stato fortunatissimo: ha solo qualche taglio alla mano per via del finestrino esploso e le schegge non l’hanno colpito. Lo medichiamo velocemente, non ha ferite che possano fargli rischiare la vita. La nostra presenza, le nostre cure e le nostre parole lo fanno stare comunque meglio mentre chiama freneticamente i compagni, spiegandogli di essersi trovato esattamente accanto all’esplosione dei missili, tra alcuni palazzi a qualche centinaio di metro da noi. Ci ricordiamo il bombardamento che abbiamo subito il 19 dicembre nella regione di Kherson, nel villaggio di Antonivka, e ci mettiamo a scherzare con lui. «Abbiamo lo stesso angelo», diciamo mostrandogli le foto della nostra macchina. «Vedi anche a noi è accaduta una cosa simile tempo fa». Anche questo è un modo per sdrammatizzare in questi momenti.Mentre siamo lì a cercare di capire dove sono caduti il resto dei missili arriva un altro bombardamento e ci ripariamo davanti alla sua macchina, coperti solo da una lato. Sulla sua faccia torna la paura, mentre guarda verso il cielo. Per fortuna i colpi cadono lontano da noi e a quel punto lo salutiamo per correre verso il punto in cui è caduto il missile, nel momento cui lui transitava con il suo fuoristrada. A poche centinaia di metri vediamo le prime sirene. Ci avviciniamo: un grosso missile si è abbattuto sul parco fra due palazzine, sventrando porte e finestre dei palazzi intorno, ma incredibilmente senza fare morti. Solo qualche ferito lieve. La terra si è stata catapultata sulla facciata, fino agli ultimi piani, e le persone stanno già pulendo i vetri dalle scale dei palazzi. Saliamo fino all’ultimo piano del palazzo più adiacente al cratere per fare una foto dall’alto e arrivati in cima comincia un altro bombardamento. Siamo affacciati a una finestra in cui sono rimasti incastrati ancora dei vetri rotti, quando sentiamo le esplosioni e vediamo la gente accorsa sul luogo scappare e rifugiarsi negli edifici. Il giardino innevato, con il suo cratere, rimane quasi vuoto e noi corriamo giù per le scale per provare a raggiungere il luogo del secondo bombardamento. Le seguenti due ore le passiamo a visitare tre punti d’impatto dei missili russi: sono tutti su palazzi civili nel centro dell’ennesima cittadina su cui si sfoga la forza dell’esercito invasore.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.