2023-04-05
A Piombino appalto da un miliardo. Ma il pericolo è che finisca in India
Secondo i sindacati non c’è garanzia che Jindal faccia le rotaie della commessa Rfi in Italia, nell’unico stabilimento che potrebbe produrle: però al momento è fermo e ha 1.428 lavoratori in Cig da dieci anni.Il 13 marzo Rete ferroviaria italiana (Rfi) ha firmato un affidamento diretto per una commessa da 922 milioni di euro a Jindal, l’azienda siderurgica indiana che dal 2018 ha preso l’acciaieria di Piombino consegnandone la gestione al vicepresidente Marco Carrai. A novembre ne aveva vinta un’altra da 390 milioni.L’affidamento diretto è stato possibile in forza di una clausola riservata alle aziende di aree di crisi complessa, diversamente sarebbe andato a gara internazionale nonostante Piombino sia l’unica acciaieria in Italia che fa rotaie. Ma, secondo i sindacati, non c’è alcuna garanzia che Jindal faccia le rotaie di quella commessa in Italia. «Se non revampa la linea di produzione binari, quel lotto a Piombino non lo può neanche fare, e lo porterà in India», dice Valerio D’Alò, segretario della Fim Cisl. Lo stabilimento di Piombino infatti al momento è in stato di obsolescenza e il treno rotaie è fermo. Mentre a gennaio scorso è stata firmata al ministero del Lavoro l’ennesima proroga di cassa integrazione per un altro anno per 1.428 lavoratori, in Cig da 10 anni. La cig costerà alle casse dello stato altri 21 milioni di euro, mentre Jindal non ha mai fatto nessun investimento.Jindal - quando arrivò a Piombino nel 2018 - firmò un accordo di programma con le istituzioni con il quale si impegnava a investire 500.000 euro per realizzare un forno elettrico. L’afo si è spento, ma l’azienda che Michele Emiliano voleva trasformasse tutta Ilva in forni elettrici a gas, in 5 anni a Piombino non è riuscita a farne neppure uno, e quell’accordo di programma firmato con le istituzioni non è mai stato rispettato. Ma ora il Pnrr prevede tantissime nuove rotaie, e Piombino è l’unica a farle. Così, a maggio 2022, i sindacati in un’assemblea partecipata da politici di ogni colore, si erano fatti promettere da tutti gli enti che avrebbero vincolato le eventuali commesse a un addendum che impegnasse l’azienda a farli in Italia, e a presentare un piano industriale col forno elettrico. Ora però per vie traverse hanno scoperto che la commessa è già stata assegnata, senza il promesso addendum, e senza che nessuna istituzione, dal ministero al sindaco, ne sapesse niente. Quando la settimana scorsa i metalmeccanici si sono recati al Mimit per consegnare una lettera al ministro, il consulente di Adolfo Urso che li ha ricevuti, Giampietro Castano, ha dovuto chiamare in loro presenza Rfi per sapere se era vera la notizia della commessa che il ministero aveva appreso in quel momento dai sindacati. Ieri però in un’intervista a Il Tirreno, Marco Carrai, confermando la novità, ha detto che è vincolata a un nuovo accordo di programma che verrà firmato entro l’estate. Mentre gli investimenti sono legati a un programma di sviluppo con Invitalia da far partire nella primavera 2024.Il ministero, contattato da La Verità, ci ha annunciato che proprio oggi è convocata una riunione con tutte le istituzioni. Secondo fonti ministeriali manca ancora un piano industriale serio così come merita Piombino. L’azienda ha presentato sinora solo un piano limitato al laminatoio con investimenti di 120/150 milioni (che sicuramente chiederà ad Invitalia) ma, da parte del ministero, manca proprio la parte qualificante sui forni elettrici, senza la quale per il governo non si può definire un accordo di programma.«Stiamo sollecitando precisi impegni dell’azienda in merito agli investimenti sui forni elettrici» ci fanno sapere dal Mimit. Questa notizia potrebbe soddisfare la Fim. Il segretario Valerio D’alò, ci aveva detto che per i metalmeccanici della Cisl fondamentale è vincolare la commessa alla realizzazione del forno, cosi da garantire tutto il ciclo dalla produzione alla finitura, e quindi il ritorno alla piena occupazione. Ma, come ricorda D’Alò, «scriverlo solo nei piani non basta, il governo deve farli rispettare, perché anche nell’accordo del 2018 era previsto il forno, ma non l’anno mai realizzato. E poi quello del 2018 era un accordo a zero esuberi. Adesso che ricaduta ha?», si chiede il sindacalista. Ancora più drastico è Lorenzo Fusco, della Uilm: «A noi ci hanno detto che il forno elettrico dovrà andare con il preridotto (dri) che faranno a Taranto, se è così non lo vedremo mai». In effetti se gli acciaieri del nord hanno sempre accettato un investimento pubblico su Ilva, unico impianto a ciclo integrale che quindi mantiene tutta la filiera, difficilmente accetterebbero altrettanto per un forno elettrico concorrenziale che gli toglierebbe il rottame, che già scarseggia. Solo se fosse alimentato col dri potrebbero accettarlo, ma l’impianto a Taranto non lo vedremo mai.Forse anche per questo si è chiusa con un nulla di fatto la due diligence che aveva costruito il governo Conte con Invitalia. Come pure nello stesso modo è finita quella con Arvedi. Il governo (non solo quello in carica) a più riprese ha promesso un piano nazionale dell’acciaio, che non è ancora arrivato.
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