2018-05-15
Piero Angela usa la scienza per fare politica
Lo storico divulgatore segue l'esempio di Roberto Burioni e ribadisce che, di fronte alla verità assoluta creata nei laboratori, la democrazia non vale. È l'ultima tendenza: tifare per il predominio degli esperti sul popolo bue che rifiuta di votare «bene».Ciascuno è libero di scegliersi gli amici che preferisce. Dispiace un po', tuttavia, vedere un signore elegante e simpatico come Piero Angela accomodarsi al fianco di personaggi come Roberto Burioni, di cui l'eleganza e la simpatia non sono esattamente i punti forti. Si trovano assieme, i due, in uno schieramento di recente costituzione, una compagine battagliera che usa la scienza come una clava, piegandola alle esigenze della politica. In occasione del «Solone del libro di Torino» - nota manifestazione di propaganda in cui sfilano le grandi menti del progressismo italico - Piero Angela ha partecipato a un incontro pubblico nella «Arena Robinson», spazio gestito da Repubblica. E ne ha approfittato per illuminare le menti dei profani all'ascolto. «La scienza non è un talk show», ha spiegato. «La velocità della luce non si decide a maggioranza o per alzata di mano. In fin dei conti la scienza è la forma più alta di buon senso». La scienza, insomma, «non è democratica». Grande idea. Originale, soprattutto. Il medesimo concetto, infatti, è ribadito a ripetizione dal dottor Burioni, luminare del San Raffaele, che infatti ama citare Angela nelle interviste. «Non tutti hanno diritto di parola su tutto, nel campo scientifico conta il parere solo di chi ha studiato, non del cittadino comune», proclama Burioni. E lo storico conduttore di Superquark si colloca sulla stessa linea. In particolare quando si tratta di affrontare il tema vaccini. «Tutti noi abbiamo bisogno di divulgazione scientifica e formazione scientifica, altrimenti ci esponiamo a rischi», ha detto Angela a Torino (citiamo testualmente da Repubblica). «I vaccini è un caso. Basta poco per incendiare i discorsi. Cosa fate, i vaccini uccidono i vostri figli, dicono quelli contrari. Ma su che basi? Ci sono stati giornalisti perseguitati per queste cose».Attenzione, qui non vogliamo riaprire il dibattito sui vaccini, già abbondantemente affrontato nei mesi scorsi. Notiamo semplicemente una fastidiosa tendenza: quella di trasformare la «verità scientifica» in un blocco granitico con cui mettere a tacere ogni opinione dissonante. È vero che la velocità della luce non dipende dall'alzata di mano, ci mancherebbe. Ma è anche vero che la storia della scienza procede per tentativi ed errori, per teorie elaborate per essere smentite. La scienza è una ricerca costante, un esercizio del dubbio, non un martello con cui sbriciolare gli avversari. Forse la scienza non è democratica, ma in democrazia è permesso chiedere conto a un governo delle proprie decisioni, anche in materia di vaccini. La posizione di Angela (che è anche quella di Burioni) è molto diversa. La sua è una fede nella scienza che assume i connotati di una religione ricca di dogmi e di divieti. Una fede i cui ministri usano rivolgersi al popolo bue gridando: «Taci, ignorante». In una certa misura, la scienza è diventata l'ultima barriera contro l'avanzata del populismo. Le argomentazioni classiche - ovvero le accuse di fascismo, razzismo eccetera - hanno da tempo mostrato la corda. Ecco che allora si ricorre alla «verità suprema», si sventolano alambicchi e provette sotto il naso dell'avversario per identificarlo come oscurantista e bigotto. Si dice che la «scienza non è democratica» non perché sia ama la scienza, ma perché si detesta la democrazia. Si detesta il popolo nel momento in cui osa obiettare e chiedere spiegazioni o, peggio, contestare. Si ripete che il popolo è ignorante così si può impedire che esso eserciti la propria sovranità. Meglio che a governare siano «gli esperti», i «competenti». Lo sostengono autorevoli studiosi di Harvard come Yascha Mounk e Tom Nichols. Il primo, in un saggio appena pubblicato da Feltrinelli, parla di «dittatura elettorale», spiegando che i cittadini - obnubilati dal populismo - non sono più in grado di prendere decisioni. Nichols, invece, si dispera per la «fine delle competenze», e s'indigna per il potere decisionale concesso a chi non padroneggia la «vera conoscenza». Fatto curioso: posizioni di questo genere si sviluppano all'interno dell'ambiente progressista, lo stesso che per decenni ha voluto imporre una «arte democratica», in cui ogni minoranza trovasse spazio e ogni rivendicazione sociale fosse ascoltata. Ora gli illustri intellettuali liberal ci vengono a dire che bisogna ripristinare le gerarchie, e rispedire nella fogna il popolino ignorante. «Vota la scienza, scegli il Pd», berciavano i manifesti elettorali diffusi dal Partito democratico lo scorso gennaio. Perché da una parte ci sono i «giusti», i «competenti», dall'altro la massa bovina che agita fiaccole e forconi. Sentenziava l'analista Massimo Fagioli: «Chi è sano di mente non può che essere di sinistra». Ecco, siamo sempre lì, alla prevalenza dell'élite, e per tutti gli altri nessuna pietà. Basta con la tolleranza nei confronti dei creduloni e dei populisti, ribadisce il direttore del Foglio, Claudio Cerasa, nel pamphlet Abbasso i tolleranti (Rizzoli). Non per nulla, il Foglio ha lanciato mesi fa una campagna per nominare Piero Angela senatore a vita. Nominare, mica eleggere. In fondo, è bene che anche la democrazia la smetta di essere democratica.